Mario Avagliano

Mario Avagliano

Intervista a Mara Carfagna, presentatrice

di Mario Avagliano
 
“La Costiera amalfitana è uno dei posti più belli del mondo”. Parola di Mara Carfagna. La bella presentatrice di Mediaset, 27 anni, mora, di origine salernitana, è ormai diventata una profonda conoscitrice del BelPaese. Negli ultimi quattro anni ha girato l’Italia in lungo e in largo con La domenica del villaggio, l’appuntamento settimanale di Retequattro con la cultura, le tradizioni e la gastronomia. Nella sua casa romana, parla con orgoglio della Salerno di oggi, ma lancia un grido di allarme per lo stato di abbandono del litorale tra Pontecagnano e Paestum: “Piange il cuore a vedere il degrado di quei luoghi. E’ un vero peccato non sfruttarli turisticamente”. Poi racconta di essere “dolce ma determinata” e di sognare una trasmissione come showgirl e “magari il cinema”.
 
La sua famiglia è salernitana?
Salernitana di adozione. Mio padre Salvatore, che è preside a Sarno, è di origine irpina. Mia madre Angela è della provincia di Potenza, anche se insegna in una scuola salernitana. Si sono conosciuti all’Università e, quando si sono sposati, hanno deciso di vivere a Salerno.
Ed è nata lei…
Già, io ho vissuto tutta mia infanzia e adolescenza a Salerno, e con grande intensità. Ho frequentato il Liceo Scientifico “Da Vinci” e partecipavo alle maratone della “Strasalerno” con mio nonno Michele e mio fratello Gianrocco.  Anche i miei inizi nel mondo dello spettacolo sono - per così dire - “salernitani”…
Ce li descrive?
Avevo 4 anni quando mia madre mi iscrisse alla scuola di danza di Anna Iorio. E’ stata subito una passione fortissima, un vero e proprio amore.
Ricorda la sua prima volta sul palcoscenico?
Fu al Teatro Capitol, avevo cinque anni, e nel balletto interpretavo una damina polacca.
Nel frattempo lei studiava anche pianoforte.
Al Conservatorio di Salerno. La mia insegnante era la signora Mannara. Sono arrivata all’ottavo anno. Mi mancano due soli esami per il diploma. Il lavoro in televisione mi ha impedito di proseguire, ma prima o poi lo otterrò… 
Quando capì che lo spettacolo sarebbe stata la sua vita?
Intorno ai 13-14 anni. Se prima di allora ballavo e studiavo pianoforte per divertimento e per far piacere alla mamma, da quel momento in poi è diventata una scelta di vita. Non saltavo una lezione neppure se stavo male. Ricordo che appena ho avuto l’età per viaggiare da sola, scappavo a Roma di nascosto da papà, per seguire lezioni di danza.
Nel 1996, ad appena venti anni, arriva il debutto in tv, come ballerina, alla trasmissione "I cervelloni" in onda su RaiUno, il sabato in prima serata.
Nel corso di una delle mie “fughe” a Roma, mi capitò sotto gli occhi l’annuncio di un’audizione per la trasmissione condotta da Paolo Bonolis. Quando mi presentai agli studi della Dear, eravamo in 700. Scelsero solo 8 di noi. E così mi ritrovai sotto i riflettori. Certo, per chi viene dalla danza classica, la tv è una delusione.
Anche per lei fu una delusione?
No, fu una bella esperienza e anche l’occasione per conoscere molti personaggi famosi. Però decisi che quella sarebbe stata una parentesi nella mia carriera.
L’anno dopo partecipò a Miss Italia 1997.
Nacque tutto per caso, da una sfilata di alta moda a Roma. In platea c’erano il patron di Miss Italia Enzo Mirigliani e una giuria di fotografi. Mi notarono e mi proposero di partecipare direttamente alle prefinali del concorso nazionale, senza passare dalla fase delle selezioni.
Come andò?
Bene, anche se fu davvero un’esperienza faticosa. Ciò nonostante non ho avuto crisi di nervi. Io ho un carattere tranquillo, mi adatto alle circostanze e non mi faccio prendere dalla frenesia e dall’ansia. Quindi ho affrontato il concorso con serenità.
E con successo: si classificò sesta, conquistando il titolo di Miss Cinema '97 e Miss TV Sorrisi e Canzoni '97. La bellezza l’ha aiutata nella carriera?
Io non mi sento bella, non lo dico per falsa modestia. Ho un aspetto piacevole, e cerco di curarlo, anche per rispetto del pubblico. 
Non ha risposto alla domanda.
La bellezza aiuta, ti apre le strade in maniera più diretta. Però da sola non basta. Nel mio caso ha contato molto poco. Tutte le cose che ho fatto, le ho dovute “sudare”. E devo dire che sono contenta di essermele guadagnate con il lavoro e la professionalità.
Essere belle può avere anche controindicazioni. Ha mai ricevuto proposte di un certo tipo per fare carriera?
No, sarò stata fortunata, ma non mi è mai capitato. Forse perché si capisce subito che sono un tipo deciso e che ho principi e valori che non sacrificherei per nessuna cosa al mondo. Gli uomini non sono tanto stupidi da esporsi a figuracce.
Dopo una fugace esperienza a Domenica in e la conduzione di Miss Italia 1998 al fianco di Frizzi, nel 2000 approdava a Mediaset e alla Domenica del villaggio.
Merito dell’allora direttore di rete Giovannelli, una persona eccezionale, un uomo di grande cultura e sensibilità. Fu lui a presentarmi a Davide Mengacci.
Com’è Mengacci dal punto di vista umano e professionale?
E’ una persona perbene, un vero signore. E’ anche molto simpatico. Il sabato sera, a cena, ci facciamo sempre delle grandi risate. Sul lavoro è preciso e puntiglioso, ma anche prodigo di consigli preziosi. Ci troviamo bene insieme perché io sono esattamente come lui.
Quattro anni in giro per l’Italia.
La Domenica del Villaggio mi ha arricchita professionalmente: due ore e mezza di diretta od ogni puntata, con un pubblico vero. Mi sono messa davvero alla prova. Ne ho avuto anche un arricchimento culturale, scoprendo luoghi meravigliosi…
Un’esperienza bella ma anche faticosa.
Beh, è sicuramente un grande sacrificio dover stare fuori tutti i week end, da settembre a giugno. La vita privata è quasi cancellata.
La città o la località che le è rimasta nel cuore?
Non saprei citarne una sola. L’Italia è un paese straordinario che riserva talmente tante sorprese, da Nord a Sud…
E in Campania?
La costiera amalfitana e la costiera sorrentina sono posti unici al mondo, per il paesaggio, la musica, le tradizioni culturali, la gastronomia, ma sono valorizzati fino a un certo punto. Ci sono posti molto meno belli in Italia che sono curati e valorizzati molto di più. Per non parlare del litorale di Pontecagnano.
Parliamone invece.
La costa che va da Pontecagnano a Paestum è in uno stato di degrado vergognoso. Andare lì è una tristezza infinita. Eppure si tratta di zone che potrebbero essere sfruttate in modo ideale dal punto di vista turistico. Ci sono boschi di pini, spiagge dorate, un mare bellissimo, grandi spazi.
E Salerno, la trova cambiata rispetto agli anni della sua adolescenza?
Molto cambiata, e in meglio. Ogni volta che scendo giù, trovo qualcosa di nuovo e qualche zona recuperata. Mi sento orgogliosa di essere salernitana.
Quest’anno, però, almeno dal punto di vista sportivo Salerno ha perso colpi…
Sono davvero dispiaciuta della retrocessione della Salernitana in serie C. Credo che Salerno e il suo pubblico meritino una squadra non in serie B ma in serie A. Speriamo che l’anno prossimo la squadra granata ricominci a salire la china.
Torna spesso a Salerno?
Appena posso vengo a trovare i miei genitori e i miei amici. La mia migliore amica, Erminia, è salernitana. Ci sentiamo al telefono praticamente tutti i giorni.
Le manca Salerno?
Mi manca soprattutto il lungomare. Lo considero uno degli angoli più belli di Salerno, tutto da vivere. Ancora oggi, quando vengo giù, indosso la tuta e le scarpette di ginnastica e vado a correre al lungomare… 
Cosa farà la prossima stagione? Dopo la Domenica del Villaggio, ha progetti nuovi?
Sto vagliando alcune proposte, sia di Mediaset che della Rai. M farebbe piacere restare a Mediaset. Sono quattro anni che ci lavoro e mi sono trovata bene, ma ho anche voglia di cambiare registro, di fare una trasmissione dove mettere a frutto quello che ho studiato.
Una trasmissione dove cantare e ballare?
E perché no. Sono diplomata in danza, ho studiato musica al conservatorio e ho studiato canto a Roma, credo di avere tutte le carte in regola. 
Ha le carte in regola anche per fare cinema?
Fino a poco tempo fa pensavo che non avrei mai fatto cinema, adesso invece spero di riuscire ad entrare in questo mondo che mi affascina molto. Certo, vorrei fare cinema di qualità, magari con un regista come Gabriele Muccino. Il mio sogno sarebbe un film hollywoodiano con il mio attore preferito, Tom Cruise… ma, per iniziare, mi accontenterei anche di una fiction! 
 
 (La Città di Salerno, 11 maggio 2003)
 
Scheda biografica
 
Mara Carfagna è nata a Salerno il 18 dicembre del 1975. Ha frequentato la scuola di danza salernitana di Anna Iorio e si è diplomata in danza classica e moderna. Ha anche studiato pianoforte al Conservatorio di Salerno e canto leggero a Roma. Si è laureata in giurisprudenza all’Università di Salerno. Ha debuttato in televisione nel 1996, prendendo parte come ballerina alla trasmissione di Paolo Bonolis I cervelloni in onda su RaiUno. Nel 1997 ha partecipato a Miss Italia, classificandosi sesta e conquistando il titolo di Miss Cinema '97 e Miss TV Sorrisi e Canzoni '97. Sempre nel ’97 ha partecipato a Vota la Voce e a Domenica In. Nel ‘98 ha presentato il concorso Miss Italia al fianco di Fabrizio Frizzi. Nel 2000 è passata a Mediaset e da quattro anni affianca Davide Mengacci nella conduzione della trasmissione La domenica del villaggio, in onda su Retequattro.

 

Intervista a Neffa, cantante

di Mario Avagliano
 
Chi non ha canticchiato “La mia Signorina” o “Prima di andare via”, grande successo dell'estate musicale 2003, premiato anche al Festivalbar? Però pochi sanno che l’autore di queste hit, Giovanni Pellino, in arte Neffa, è originario di Scafati, in provincia di Salerno. Neffa, 36 anni, ex batterista e componente dei “Negazione” e dei “Sangue Misto”, un passato da rapper, ha pubblicato di recente un nuovo cd, intitolato I molteplici mondi di Giovanni. Quindici canzoni sulla difficoltà di incontrarsi e intrecciare rapporti nel mondo contemporaneo, ricche di cori e musicalità molteplici che spaziano dal reggae, al soul, dal blues al funky. Neffa accetta volentieri di parlare di sé e rivendica con orgoglio le sue origini salernitane: “Mi piacerebbe fare qualcosa nella mia terra”.
 
Lei è nato a Scafati ma ci ha vissuto poco…
Mia madre Angela è di Scafati, mio padre Giuseppe è napoletano. Si sono conosciuti in treno: mia madre andava a scuola a Nocera e mio padre lavorava a Salerno. Nella mia infanzia ho girato come una trottola, sono stato a Scafati, a Milano, a Roma. Poi, quando avevo 8 anni di età, la mia famiglia si è trasferita a Bologna. 
Che ricordi ha di Scafati?
Ricordo in particolare l’anno della primina. E’ stato un periodo molto bello per me, perché avevo la possibilità di giocare ogni giorno in cortile, all’aria aperta. Nelle grandi città era impossibile! Mi piaceva anche la villa comunale, veramente fantastica. E poi rimpiango i mitici Natali a casa dei miei nonni, le zeppole con il miele, le giocate a tombola, le rimpatriate con tutti gli zii, le zie, i cugini.
Aveva amici a Scafati?
Il mio miglior amico è di Scafati, si chiama Franco Cimmino, e ci frequentiamo tuttora. Io sono nato nelle palazzine dell’Ina Casa e lui abitava vicino a me. Correvo sempre a giocare a pallone nel suo cortiletto. Ricordo che quando si univa a noi qualche ragazzina, facevamo il gioco del dottore. A Scafati, a causa della rigida educazione cattolica, il modo di percepire la sessualità era abbastanza mistico. Il sesso era visto come un tabù che era sempre lì per essere violato, una bomba ad orologeria sempre pronta ad esplodere. 
Rimpiange anche il fiume Sarno?
Quello proprio no. Qualche volta mi capita di pensare che da vecchio potrei tornare a Scafati, ma l’immagine del fiume Sarno mi blocca. E’ un vero disastro, con tutte quelle fabbriche di pomodori e cartiere che per anni hanno riversato i loro scarichi nelle acque. Le esalazioni del fiume sono terribili.
Com’era Neffa da ragazzo?
Ero molto anonimo. Un marziano. Non mi trovavo bene con gli altri, ero diverso. Osservavo molto. Così via via si è formata una camera di compressione in me, che poi è scoppiata. Ribollivo di vita, era inconcepibile fermarsi, stare a casa una sera. Volevo far tutto, conoscere tutti. Mio fratello era appassionato di astronomia e da bambino io sapevo riconoscere tutte le costellazioni. 
Come ha vissuto il distacco dalla sua città?
Molto male, anche perché a Bologna mi chiamavano “meridionale”, e quando d’estate o durante le feste scendevo giù a Scafati, mi davano del “bolognese”. Negli anni Settanta, al Nord, c’era un po’ di razzismo nei confronti dei meridionali. Ero un po’ imbarazzato delle mie origini. Devo confessare che, per questo motivo, a lungo ho abolito il concetto di territorio-patria-appartenenza. 
Anche adesso si sente un senza-patria?
Niente affatto. Quando ho preso coscienza delle meraviglie dell’arte e della cultura campana e napoletana, mi sono sentito molto orgoglioso di avere radici meridionali.
Come è nata la sua passione per la musica? E come diventò un batterista?
Per me è stata una cosa naturale. Quand’ero bambino cantavo sempre. Mio fratello Gaetano era chitarrista ed era il musicista di casa. Quando avevo 16 anni, cominciai a chiedergli di suonare con lui nei locali di Bologna. Lui mi disse che non ero granché portato con la voce e così mi buttai sulla batteria.
Il suo primo concerto?
Fu a 15 anni, in una scuola serale di Bologna, come cantante. Sarebbero passati diciotto anni prima che tornassi sul palco ad esibirmi con la mia voce… 
Dopo le prime esperienze in alcune cover-band, Giovanni Pellino approda ai Negazione.
Mi ero stufato delle cover, così entrai nel pianeta musicale underground che gravitava intorno ai centri sociali occupati. E con lo pseudonimo di Jeff Pellino, feci parte come batterista di alcuni gruppi hard-core italiani, tra cui in particolare  i "Negazione".
Negli anni Novanta, una nuova svolta: appende la batteria al chiodo e diventa cantante… 
A un certo punto della mia vita è venuta fuori dalla mia infanzia la voglia grande di cantare e di scrivere canzoni mie. 
Jeff Pellino cambia il nome in Neffa e si afferma come uno degli alfieri dell’hip hop italiano.
Con DJ Gruff diedi vita agli Isola Posse All Stars e poi insieme, con l’apporto anche di Deda, fondammo i Sangue Misto. E’ stato un periodo eccezionale, credo di aver dato un contributo all’affermazione del rap in Italia, di aver aperto delle strade a chi mi ha seguito. 
Nel ’96 Neffa sceglie la carriera di rapper solista ed arriva il primo disco d’oro.
Sì, con l’album "Neffa & i Messaggeri della Dopa", che fu trainato dall’exploit del mio singolo "Aspettando il Sole".
Due anni fa, nel 2001, una nuova svolta, con il cd "Arrivi e Partenze”. Un disco che sa di blues, di musica nera, del rock degli anni ’70, ed ha uno stile di canto che attinge all’emozionalità dei grandi maestri del soul. 
Quello fu un disco molto autobiografico, che rifletteva buona parte dei cambiamenti attraversati in quegli anni. Il punto è che volevo iniziare una nuova vita, e mi chiesi: "A 33 anni, vissuti anche con un po’ di stress, te la senti di nuovo di rimettere in gioco tutto? Dopo che avevi costruito una casa, uno studio, ecc. te la senti di distruggere tutto?” Queste sfide qua, da folli, sono le uniche che mi interessano e l’accettai.
Il suo ultimo singolo, “Prima di andare via”, è stato il tormentone dell’estate 2003…
Io non faccio tormentoni ma canzoni. Vorrei che Prima di andare via non fosse considerato come Chihuahua… L'ho scritta pensando a quando avevo 20 anni. Mi sono ricordato di quando a notte fonda, in un centro sociale, rimanevo nella mia confusione dopo aver bevuto e fumato troppo e mi capitava di guardare una ragazza e sperare che, se ricambiava lo sguardo, sarebbe cambiata tutta la notte. Poi la cosa non accadeva mai. Insomma, la canzone esprime la drammaticità della solitudine.
E’ vero che due anni fa Pippo Baudo scartò questa canzone da Sanremo?
Credo che la bocciarono perché aveva un ritmo simile a “Salirò”, la canzone di Daniele Silvestri. E tutto sommato forse si aspettavano un pezzo con più fronzoli, arrangiato alla maniera del festival di Sanremo.
Mi pare di capire che il Festival di Sanremo non la elettrizzi più di tanto.
Fino a quando continuerà a dare spazio solo ai cantanti tradizionali, non vedo perché mi dovrebbe elettrizzare. Se tornerà ad essere un festival musicale, perché no. Allora, se avrò una canzone che interessa il festival, potrei anche andarci. Ma non mi metterò mai a scrivere un pezzo in funzione di Sanremo.
A settembre è uscito il suo nuovo cd. “I molteplici mondi di Giovanni”. 
La vera scommessa di questo album sono le canzoni, o meglio, la mia capacità e volontà di partire dalla forma canzone e scrivere dei pezzi belli da cantare e capaci di emozionare come solo le grandi canzoni sanno fare. Dopo “Arrivi e Partenze”, ho deciso che avrei lavorato più da musicista sulle canzoni, e per fare questo avevo bisogno di imparare a suonare uno strumento seriamente. Oltre al piano, che avevo iniziato a strimpellare durante la lavorazione del precedente album, mi sono buttato sulla chitarra, e nel giro di un po’ di tempo ero in grado di tirarci fuori il necessario per poter iniziare a scrivere. Nel frattempo ascoltavo i grandi autori di canzoni, da Brian Wilson dei Beach Boys ai Beatles, passando attraverso vecchie passioni come Marvin Gaye e Stevie Wonder.
Le registrazioni dell’album si sono svolte principalmente nello studio di suo fratello Gaetano Pellino, ad Acqui Terme.
Mi sono trovato benissimo. Ho sempre stimato molto mio fratello, sia come musicista che come ingegnere del suono.
Sono canzoni che raccontano vita vissuta, quindi, storie e situazioni d’amore e di solitudine, il grande male dei nostri tempi. 
Credo che l’amore, vissuto in una dimensione a due ma anche in una più allargata, ci renda più forti, più felici, capaci di vivere meglio le cose importanti della vita. La solitudine è invece l’ultima spiaggia verso cui ci spinge il sistema produttivo di cui facciamo parte, con i suoi obblighi al consumo e un’eterna insoddisfazione. Come diceva Beppe Grillo, tutti sono lì a cercare di lavorare meno per avere più tempo da organizzarsi, ma poi quando hanno tempo libero lo usano per organizzare altro tempo e così via: alla fine, nessuno è capace di godere del momento, del presente.
Chi è Neffa adesso?
Sono un tipo ancora non formato, in evoluzione. Sento di avere avuto tante vite, mi sento ricco di questo, ma voglio continuare ad interrogarmi, cercare nuovi obiettivi senza riciclarmi mai. 
E di carattere?
Sono un po’ lunatico. A volte sono introverso e silenzioso, a volte invece ho voglia di far casino. Sono un istintivo, e anche uno abbastanza passionale. 
E le radici meridionali?
Sono forti. Io mi sento il prodotto di una cultura meridionale. Da ragazzo ascoltavo Bennato e Pino Daniele, e il mio piatto preferito è stato sempre il ragù di carne, cucinato come si fa dalle nostre parti.
I suoi progetti futuri riguardano anche Salerno?
Magari, mi piacerebbe molto. A gennaio parte il mio tour. Canterò soprattutto nei club. Spero che ci saranno delle date anche a Salerno e a Napoli.
 
(La Città di Salerno, 23 novembre 2003)
 
Scheda biografica
 
Neffa, all’anagrafe Giovanni Pellino, nasce a Scafati il 7 ottobre del 1967. La sua carriera musicale comincia verso il finire degli anni ’80, con una vocazione per gli strumenti a percussione. Nato come batterista, esprime il suo spontaneo talento ritmico suonando, con lo pseudonimo di Jeff Pellino, insieme ad alcuni gruppi hard-core italiani tra cui vale la pena ricordare i "Negazione", popolare formazione punk che, all’apice della carriera, riuscì persino ad aprirsi un varco nelle classifiche americane. 
Con gli anni ’90 alle porte, le passioni musicali di Giovanni incontrano un cambiamento risolutivo, ed i suoi contatti con la scena Rap italiana trasformano dei comuni interessi in una travolgente passione. 
Diventato Neffa, epiteto acquisito dal cognome di un giocatore della Cremonese ammirato dall’artista, inizia una fruttuosa collaborazione con l’amico DJ Gruff, insieme al quale darà vita al gruppo Isola Posse All Star, che diventerà presto un nome di culto nell’underground Hip Hop italiana.
Nel 1994, sciolta la Isola Posse, Neffa e DJ Gruff raggiungono il collega Deda con cui costituiscono la storica formazione dei Sangue misto, che inciderà una fortunata pietra miliare intitolata "SMX".
Nonostante il promettente esordio dei Sangue Misto, Neffa sceglie d’intraprendere un percorso d'indipendenza e, nel 1996, realizza con i suoi "Messaggeri della Dopa" un album omonimo che lo porterà per la prima volta all’attenzione del grande pubblico, grazie anche al successo del singolo "Aspettando il Sole". 
Due anni più tardi, nel 1998, esce "107 Elementi", secondo album della sua carriera solista, a cui segue nel 1999 “Chicopisco”. 
Poi, nel 2001, un altro cambiamento di rotta interviene a determinare la composizione del suo ultimo lavoro, "Arrivi e partenze", dove il musicista abbandona il Rap per dedicarsi alla forma-canzone, ad un genere certamente più fruibile, ma altrettanto complesso.
 

Intervista a Sabino Cassese

di Mario Avagliano
 
Il massimo esperto dello Stato e della burocrazia italiana è un salernitano, il professor Sabino Cassese, figlio dello storico Leopoldo. Già ministro per la Funzione Pubblica nel governo guidato da Carlo Azeglio Ciampi, Cassese conduce da almeno trent’anni una coraggiosa battaglia per la riforma della pubblica amministrazione. Da Roma, dove vive e insegna (è titolare della cattedra di Diritto Amministrativo nella facoltà di giurisprudenza dell'Università "La Sapienza"), parla con “poco rimpianto” della Salerno degli anni 40-50 e loda invece la città di oggi: “E’ rifiorita”.
 
Lei è salernitano, però all’anagrafe risulta nato ad Atripalda.
Mio padre Leopoldo era irpino, originario di Atripalda, e io sono nato lì, ma quando avevo appena un mese di vita ci siamo trasferiti a Salerno.
Come mai?
Mio padre lavorava già da tempo a Salerno, era Direttore dell’Archivio e poi diventò anche professore di archivistica.
Che ricordi ha di Salerno negli anni della sua infanzia?
Beh, ricordo soprattutto la guerra, la città sventrata dai bombardamenti, lo sbarco degli Alleati. Ovviamente tutti questi avvenimenti erano visti da me con gli occhi di un ragazzo di sette anni. Voglio dire che per me erano avvenimenti paurosi ma anche avventurosi, anzi il lato dell’avventura spesso prevaleva, anche se talvolta nei volti degli adulti leggevo un timore vero. 
Per esempio quando?
Una volta, durante i primi bombardamenti dal mare, eravamo nel rifugio della Prefettura. Le bombe caddero proprio accanto a noi. Il giorno dopo scoprimmo che il rifugio parallelo al nostro era stato distrutto e tutti gli occupanti erano morti.
Nel dopoguerra Salerno tornò a nuova vita. Com’era la città di allora?
Era una città piccola e anche molto provinciale. Tutta la vita mondana era concentrata nella passeggiata di via dei Mercanti. Il lungomare fu completato solo più tardi. Non c’erano grandi fermenti culturali. Mi è rimasto impresso che quando andavo alla Biblioteca provinciale, era complicatissimo  prendere in prestito qualche libro.
Qualche anno dopo lei si ritrovava sui banchi del Liceo Tasso.
Ero nella sezione A. Ebbi la fortuna di avere grandi professori: Guercio, che insegnava italiano e latino, la signora Amendola faceva matematica e Coppola mi iniziò al greco. Coppola era un vero personaggio, era allievo di Perrotta ed estimatore di Gentili.
Chi erano i suoi amici?
Tanti nomi li ho dimenticati. Si dice che chi ha avuto un’infanzia felice, ricorda poco di quel periodo. Comunque mi vengono in mente Enzo Barba, Enrico Vignes, i figli del preside Di Palo del Liceo Scientifico.
Prima di andare via da Salerno lei partecipò all’esperienza del “giornale parlato”, alla Libreria Macchiaroli di Piazza Malta.
Fu un’iniziativa interessante. Mi ci portò mio fratello Antonio, poi docente di diritto internazionale all’Università di Firenze e presidente del Tribunale internazionale sui crimini di guerra in Jugoslavia. Ma allora la vivacità culturale di Salerno era limitata a poche persone.
Nel ’52, a diciassette anni, lei s’iscrisse alla Normale di Pisa.
Era il primo anno che veniva bandito un concorso per il settore giuridico. Vinsi il concorso e così feci le valige per la Toscana.
Un bel salto per un adolescente.
Pisa era molto chiusa come città, solo che allora a Salerno c’era solo la città, a Pisa c’era la città e c’era la Normale.
E com’era l’ambiente della Normale?
Un ambiente vivacissimo sia dal punto di vista culturale che da quello politico. Nel 1953 fu approvata quella che poi fu definita la legge elettorale “truffa”. L’atmosfera era molto eccitata.
Salerno le mancava?
Allora il trasferimento in un'altra regione d’Italia era molto più difficile di adesso. La differenza di accento pesava, anche perché la tv non c’era ancora e non aveva contribuito, come ha detto De Mauro, a creare un linguaggio omogeneo nel Paese. Io però mi sono integrato bene. Appartengo alla categoria dei meridionali “traditori”, quelli che bruciano le tende e guardano avanti al futuro. Salerno è una città che apprezzo e che amo, ma mi sento un cittadino d’Italia.
Dopo la laurea e l’inizio della carriera come docente universitario, è diventato quasi subito uno dei protagonisti della battaglia per la riforma dello Stato. A trent’anni dalle sue prime riflessioni su questo tema, che cosa è cambiato?
Il fumo è stato tanto, l’arrosto è stato meno del fumo. 
Partiamo dall’arrosto.
Per certi versi ci siamo messi al passo con l’Europa. Il numero dei ministeri, che era intorno a 25, è stato ridotto della metà. L’amministrazione è meno pesante e costosa, grazie al contenimento della crescita dei dipendenti. Il rapporto di lavoro, che era dominato dallo statuto pubblicistico, ora è privatizzato. Funzionari di tutti i ministeri partecipano quotidianamente alle riunioni che si tengono a Bruxelles.
E il fumo?
I ministeri sono diminuiti ma sono rimasti dei complessi mastodontici. Le strutture interne dei ministeri si sono moltiplicate, invece di ridursi. Molte semplificazioni sono rimaste sulla carta, o hanno ulteriormente complicato il lavoro amministrativo. 
A cambiare lo Stato ci ha provato anche lei, da ministro del governo Ciampi. Che cosa ricorda di quell’esperienza?
E’ stato un periodo difficile e felice. Difficile perché il nostro Stato  attraversava il momento di maggiore crisi, Tangentopoli, il Parlamento degli inquisiti, il governo tecnico… Felice perché si è potuto lavorare come in pochi altri momenti della storia italiana, con una certa indipendenza dagli interessi di partito e di fazione e con la guida di una personalità come Ciampi, di qualità superiore, capace di fissare un disegno e di lavorare insieme agli altri per realizzarlo. Abbiamo varato tante riforme, ma molte sono state disfatte dai governi successivi.
Ora al suo posto c’è un altro salernitano, il ministro Mazzella. Qual è il suo giudizio sul suo operato?
Troppo presto per giudicare. Il primo bilancio però mi sembra positivo, ha fatto due o tre scelte ottime, come fare un passo indietro sullo spoil-system e provare a dare una sistemazione al problema delle autorità indipendenti.
Qual è l’elemento che frena la riforma della pubblica amministrazione?
Io credo che molto vada imputato a quel fenomeno che avevo già descritto nel 1971 nel mio libro Questione amministrativa e questione meridionale, e che peraltro era stato studiato da Salvemini. Mi riferisco alla meridionalizzazione dello Stato, che è il risultato e il simbolo della debolezza della pubblica amministrazione italiana. 
Cioè?
Il risultato perché nel Mezzogiorno non ci sono imprese e quindi il lavoro nello Stato è lo sbocco naturale della gran parte dei meridionali. Il simbolo perché i meridionali sono persone nelle cui vene non è mai entrato il sangue di coloro che si svegliavano con le sirene delle fabbriche.
E che c’è di negativo in questo?
Lo Stato italiano è stato impregnato della cultura meridionale, che è una cultura contadina, crociana, hegeliana, di matrice idealista. La conseguenza è che nei gangli della pubblica amministrazione non è penetrata la cultura delle fabbriche, della razionalità tayloriana, quel tipo di cultura che sa valutare i tempi e i costi. Negli ultimi anni qualcosa è cambiato, ma ancora troppo poco.
Lei ha toccato il tema della questione meridionale. Esiste ancora una questione del Mezzogiorno e come si fa, secondo lei, a superare il gap atavico tra Sud e Nord?
Il Sud può rinascere solo se smette di lamentarsi. Prenda la questione delle banche, sembra di sentire in queste settimane le parole di Nitti che accusava il Nord di “spolpare” il Mezzogiorno. Basta con queste lamentele. Il Sud deve cominciare a fare con le sue mani.
Una visione che lascia poco spazio alla speranza.
No, niente affatto. Una parte del Sud ce l’ha già fatta: la Puglia, la Basilicata. E’ soprattutto la nostra Campania ad annaspare. L’entroterra di Napoli è in condizione penose.
A proposito di Campania, che giudizio da’ della Salerno di oggi?
Senza voler sembrare esagerato, direi che in scala ha avuto la stessa evoluzione di una città come Washington. Ricordo che Washington negli anni Sessanta era una piccola città di provincia. Adesso è la capitale di un Impero. Anche Salerno è cambiata profondamente. Ora è piena di vita, è ricca di iniziative culturali, di conferenze…
La trovata cambiata anche fisicamente?
Salerno è rifiorita, ha ritrovato quella dimensione che aveva perduto. Le ultime volte che sono andato a Salerno sono rimasto impressionato dalla rinascita fisica dei luoghi. In Italia non si da’ grande rilevanza a questo aspetto, lavoriamo in città sporche, in università fatiscenti, invece i luoghi sono importanti, determinano gli uomini.
Una volta tanto c’è un’amministrazione pubblica meridionale che funziona?
Salerno è una splendida eccezione. Ma quando una città rifiorisce, non è merito solo della pubblica amministrazione, è anche la società che si è rimboccata le maniche.
 
(La Città di Salerno, 18 maggio 2003)
 
Scheda biografica
 
Sabino Cassese è nato ad Atripalda (Avellino) il 20 ottobre del 1935, ma ha trascorso la sua infanzia e adolescenza a Salerno. Ha frequentato il Liceo Tasso e poi si è laureato in giurisprudenza all’Università di Pisa dove è stato allievo del collegio giuridico della Scuola Normale Superiore. Titolare della Cattedra di Diritto Amministrativo nella facoltà di giurisprudenza dell'Università di Roma "La Sapienza", è dottore "honoris causa" delle Università di Aix-en-Provence, Cordoba (Argentina), Toledo, Macerata, Atene e Parigi. Già Ministro per la Funzione Pubblica nel governo Ciampi (1993-1994), dirige il "Giornale di diritto amministrativo” e la "Rivista trimestrale di diritto pubblico" ed ha curato il Trattato di diritto amministrativo (2000). Tra le sue opere recenti: Maggioranza e minoranza - Il problema della democrazia in Italia (1995), Lo Stato introvabile (1998), La nuova costituzione economica (2000), Casi e materiali di diritto amministrativo (2001), Manuale di diritto pubblico (2001), La crisi dello Stato (2002), Lo spazio giuridico globale (2003). 

 

Intervista al Ministro Gasparri

di Mario Avagliano
 
“Ho molto a cuore la mia terra”. Maurizio Gasparri, 46 anni, ministro delle Comunicazioni del Governo Berlusconi, è romano di nascita ma i suoi genitori vivono a Cava de’ Tirreni e nelle sue vene scorre sangue cavese da parte di madre e di Roscigno, nel Cilento, da parte di padre. Intervistato da la Città, Gasparri afferma di essere fiero delle sue radici salernitane: “Rivendico sempre la mia origine, con orgoglio e con determinazione”. E rivela che i suoi inizi politici e giornalisti risalgono proprio ai tempi delle sue estati a Cava quando, insieme al fotografo Emilio Palumbo e al generale Demitri, curava le pubblicazioni del “Libretto Tricolore”. Poi loda il sindaco di Cava Alfredo Messina (“l’ho appoggiato anche quando all’interno della destra c’erano discussioni”) e critica invece l’attuale amministrazione di Salerno che, a suo giudizio, procede “un po’ faticosamente”.
 
Ministro Gasparri, che rapporto ha con Cava de' Tirreni?
Al tempi dell'infanzia i miei genitori si erano già trasferiti nella capitale. Tutte le estati e le festività, però, le ho trascorse a Cava de' Tirreni. Con questa città ho sempre vissuto un rapporto fatto di intense frequentazioni. Lì sono nate tante amicizie che ancora oggi conservo.
Cosa ricorda delle estati a Cava, a Vietri sul Mare e ad Amalfi? Chi erano i suoi amici di allora?
Ricordo le preoccupazioni per il mare di Vietri che cominciava ad essere inquinato, e il traffico sulla costiera, aggravato dalla ristrettezza delle strade. Ma ricordo anche la bellezza di quei luoghi che amo e visito frequentemente. Molti ragazzi che conoscevo allora, oggi sono diventati professionisti, dirigenti di banca, commercianti. Alcuni di loro erano figli di amici di famiglia. Una circostanza che faceva spesso incrociare le nostre frequentazioni con quelle dei rispettivi genitori e che tuttora si ripete.
Com'è nata la passione per la politica?
Dai tempi della scuola mi sono sempre interessato alle proposte della destra. Seguivo i dibattiti televisivi e leggevo i giornali che trovavo a casa. Al Ginnasio, poi, ho fatto la mia scelta di militanza diretta nel Fronte della Gioventù. E' nata così una passione per la politica che alimentavo anche d'estate, quando trascorrevo le vacanze a Cava de' Tirreni, dove cominciai a scrivere i primi articoli su alcune pubblicazioni realizzate dal fotografo Emilio Palumbo. Oggi, sono rimasto amico del figlio Fortunato, esponente locale di Alleanza Nazionale. Insieme a lui e ad altri lavoravamo al "Libretto Tricolore", si chiamava così, che aveva come riferimento il generale Demitri, figura prestigiosa del posto, patriota autentico. Anche il generale dava il suo contributo alla pubblicazione che poi portavo a Roma per diffonderla la domenica mattina, davanti alle chiese, con altri giovani del Fronte.
Lei è stato un leader del Fronte della Gioventù e del Fuan, nel quale ha militato insieme al salernitano Enzo Fasano…
Fasano lo conosco da alcuni decenni, fin da quando militavamo nel Fronte della Gioventù. E' un uomo leale, un amico vero, prima ancora che una persona con la quale condividere l'impegno politico. Nella nostra comunità politica l'amicizia è un valore.
Fini e Almirante. Cosa ha imparato da loro?
Fini l'ho conosciuto agli inizi degli anni '70 a Roma, quando era ancora nel Fronte della Gioventù, prima che diventasse Segretario Nazionale. Si può dire che siamo cresciuti insieme, anche se ha qualche anno in più di me. Forse da lui non ho imparato la capacità di raffreddare le passioni. Anche lui ha ideali molto profondi, però riesce a gestire meglio le sue posizioni e le sue valutazioni rispetto a me che, invece, difficilmente riesco ad evitare di dire sempre con franchezza quello che penso. Questo atteggiamento a volte risulta positivo ma, spesso, può anche rischiare di diventare inopportuno. Comunque sono fatto così e difficilmente cambierò a questo punto della vita.
E Almirante?
Da Giorgio Almirante ho imparato tante cose. Lui resta un leader importante e di prestigio. C'è un suo insegnamento che, in particolare, cerco di praticare ogni giorno: la dedizione al partito, la generosità verso i militanti, l'infaticabile disponibilità a girare per tutta l'Italia tra la nostra gente.
Gasparri ha un passato di politico ma anche di giornalista.
E' una passione che, insieme alla politica, coltivo da quando ero giovane. Mi vengono in mento gli anni dei primi giornali, di Dissenso, la pubblicazione del Fronte della Gioventù, che curavo insieme ad altri amici. Lavoravamo di notte con grande entusiasmo ed aspettavamo in tipografia che fosse completata la stampa. Poi sono seguiti gli anni del Secolo d'Italia, dove sono stato praticante, redattore e, dopo dieci anni, condirettore. Vedo molti giovani che si affacciano alla professione. Il loro approccio al giornalismo è diverso da quello della mia generazione. Oggi si hanno a disposizione strumenti che all'epoca nemmeno potevamo immaginare. C'è internet che offre la possibilità di ricevere e lanciare in rete notizie coprendo le distanze in tempo reale...
Nel 1994 Gasparri diventa Sottosegretario all'interno dei I Governo Berlusconi. Sette anni dopo è nominato Ministro delle Comunicazioni del Il Governo Berlusconi. Che differenze ci sono?
Quando sono diventato Sottosegretario all'Interno sembravo un terrestre approdato su Marte. Mi sentivo estraneo a quell'ambiente, a quella struttura, al potente apparato. Ho fatto ricorso alla mia esperienza politica e, nonostante la brevità dell'incarico, di quel periodo è rimasto un ricordo positivo. Da Ministro delle Comunicazioni avverto un senso di responsabilità sicuramente maggiore. Mi sono posto come obiettivo primario il riassetto dei sistema radiotelevisivo. Bisognava fare una legge che tenesse conto delle innovazioni tecnologiche offerte dalla ricerca. Internet veloce, la banda larga, il digitale terrestre, sono ormai delle realtà con le quali dovremo confrontarci. 
Il suo disegno di legge garantisce il pluralismo?
Il pluralismo dell'informazione è un obiettivo che deve poter contare su una normativa moderna e dinamica che tenga conto delle esigenze di tutti gli operatori ma anche del pubblico di casa. Con la mia legge ho voluto dare un segnale preciso che viene ripreso anche dal Contratto di Servizio sottoscritto dallo Stato e dalla Rai. E' un primo passo. Altro resta da fare, non è stato facile vincere l'ostruzionismo dell'opposizione ma, posso affermare, che siamo ormai in dirittura di arrivo.
Le polemiche delle opposizioni sono pretestuose o, come dice il Presidente della Commissione Europea Prodi, in Italia esiste davvero un problema di pluralismo dell'informazione?
L'Italia è all'avanguardia nel settore delle telecomunicazioni. E non lo dico per autocelebrarci. Francia e Germania hanno espresso il loro plauso per il lavoro finora svolto e vedono nel nostro Paese un riferimento sicuro. Vogliamo realizzare un'informazione a più voci che segni la discontinuità rispetto al sistema monocorde che proprio il centrosinistra di Prodi aveva voluto e consolidato.
Il Presidente della Rai, Lucia Annunziata, che tra l’altro ha origini salernitane come lei, è molto critica sulla Legge Gasparri.
Con Lucia ho un antico rapporto di amicizia. La stimo anche se comprendo che la sua idea politica la porti talvolta a privilegiare posizioni ideologiche piuttosto che un'adeguata analisi di merito.
Che cosa si porta dietro Gasparri delle sue radici salernitane?
Rivendico sempre la mia origine con orgoglio e con determinazione. Il nostro Sud è ricco di presenze, di proposte, di intuizioni. Per la potenzialità che riesce a esprimere non dovrà mai più vivere una condizione di subalternità psicologica e culturale rispetto ad altre regioni d'Italia.
I suoi legami con la terra d'origine sono forti anche perché i suoi genitori vivono a Cava de' Tirreni…
Vivono a Cava ma vengono frequentemente a Roma. Spesso li raggiungo. Tanti amici e parenti consentono loro di affrontare la vita quotidiana con serenità. I genitori restano un riferimento importante. Ogni giorno li chiamo per scambiare idee, impressioni.
Conosce il Sindaco di Cava, Alfredo Messina?
Lo conosco e lo apprezzo. Alfredo Messina è un uomo concreto, sincero, operoso e l'ho sostenuto, anche quando, all'interno della destra, c'erano discussioni. Poi hanno condiviso tutti le mie indicazioni. Adesso, quando posso, ascolto le sue problematiche e cerco di dare il mio contributo.
Quali sono gli amici di partito o di coalizione che operano a Salerno o in provincia che stima di più?
Ce ne sono tanti che per elencarli tutti bisognerebbe realizzare un inserto. Nomi non ne faccio per non creare equivoci. Conosco parlamentari bravissimi e militanti da decenni.
Salerno è cambiata in meglio o in peggio negli ultimi anni?
E' una città che sicuramente ha fatto registrare dei miglioramenti. Credo che attualmente l'Amministrazione proceda un po' faticosamente. Ma rispetto tutti, indipendentemente dalle posizioni culturali e politiche, la correttezza dei rapporti viene prima di tutto. Per valutazioni di altra natura ci saranno tempi e modi.
Potrebbe candidarsi prima o poi in un collegio del salernitano?
Mi sono sempre candidato a Roma e l'ultima volta ho abbinato anche il collegio calabrese. Non ho mai preso in considerazione candidature salernitane. Le elezioni sono lontane e ho molto a cuore questa terra. Non vorrei creare angosce in qualcuno con annunci intempestivi e, tutto sommato, infondati.
 
(La Città di Salerno, 26 ottobre 2003)
 
Scheda biografica
 
Maurizio Gasparri nasce il 18 luglio del 1956 a Roma. Durante l’infanzia e l’adolescenza trascorre tutte le vacanze e le festività a Cava de’ Tirreni, città d’origine della madre. Si forma attraverso studi classici e presto è assorbito da due forti passioni: il giornalismo e la politica.
Diventa giornalista-professionista dopo aver diretto i periodici "Dissenso" e "All’Orizzonte", per approdare, successivamente, al quotidiano politico "Secolo d’Italia", dove ricoprirà il ruolo di condirettore. Autore di numerosi saggi è anche coautore, con Adolfo Urso, de "L’età dell’intelligenza", testo dedicato all’analisi della società basata sull’informazione, pubblicato nel 1984. 
L’attività politica lo vede impegnato nel Fronte della Gioventù e, successivamente, nel Fuan-Destra Universitaria. In entrambe le organizzazioni fa rapidamente carriera, diventando presidente nazionale.
Nel 1988, quando Gianfranco Fini diventa per la prima volta segretario del MSI, Gasparri è tra i quadri dirigenti del partito. Nel 1992 è eletto alla Camera nelle liste del Movimento Sociale Italiano e, due anni dopo, viene riconfermato deputato di Alleanza Nazionale. Nel 1994, durante il primo governo Berlusconi, riveste la carica di Sottosegretario all’Interno.
Nel 1995 è nominato coordinatore dell’Esecutivo politico di AN. Rieletto deputato alle elezioni politiche del 1996, viene nominato Vice Presidente del Gruppo parlamentare di Alleanza Nazionale alla Camera dei Deputati.
Nell’ultima campagna elettorale del maggio 2001 è eletto in Calabria, capolista nel collegio proporzionale della Camera. Nel secondo Governo Berlusconi, è chiamato a rivestire la carica di Ministro delle Comunicazioni.
Gasparri vive  a Roma, con la moglie Amina Fiorillo e la figlia Gaia, di sei anni.

 

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