Mario Avagliano

Mario Avagliano

Pane secco e Avemarie. Due militari italiani nei Lager nazisti

VALERIA NICOLIS 
PANE SECCO E AVEMARIE - Due militari italiani nei Lager nazisti 
Introduzione di Mario Avagliano 
 
IL LIBRO 
In queste pagine sono raccolte le vicende simili e diverse di due futuri amici accomunati dall’esperienza di prigionia, Enrico Bertolini e Luigi Montresor. Il Bertolini (1923-1982), nonno materno dell’autrice, aveva da poco compiuto vent’anni quando venne catturato presso Atene dopo l’armistizio dell’8 settembre e diventò un IMI, un internato militare italiano. 
La sua storia, ricostruita a partire dai pochi ricordi condivisi non senza reticenza con i familiari, per quanto frammentaria e incompleta, tratteggia alcuni aspetti dell’esperienza di un giovane soldato italiano alle prese con la prigionia. Il carteggio di Luigi Montresor (1916-1987), catturato presso la caserma di Verona, permette di immergersi in modo più approfondito nella sua vicenda di internato militare, grazie alle lettere scambiate con il padre Pompeo lungo tutto il periodo di prigionia, tra il 1943 e il 1945. 
In queste lettere, dal tono rassicurante ed ottimista, si intravedono vari elementi dell’esperienza dell’internato: dal lavoro ai bombardamenti, dalle difficoltà alle speranze, espressi in uno stile delicato e gentile, tipico della sua personalità. Divenuto, in seguito al rimpatrio, presidente della sezione ANEI del comune di Bussolengo, il Montresor conobbe il compaesano Enrico Bertolini con il quale, sulla base della comprensione che poteva esserci solo tra chi ha vissuto momenti così duri da renderne quasi impossibile la condivisione con chiunque altro, nacque una profonda amicizia che li legò per il resto della vita. 
 
VALERIA NICOLIS, nata a Bussolengo in provincia di Verona nel 1992, studia Teologia presso lo Studio Teologico San Zeno della città capoluogo. Dai racconti della nonna è nata la sua passione per le storie di famiglia, da cui deriva questo lavoro, che le ha consentito di avvicinarsi all’esperienza di un nonno mai conosciuto. 
 
LA CITAZIONE
La bisnonna Nina appese al muro una grossa cartina della Germania e ogni volta che ci passava davanti si fermava a toccare quel punto ripetendo “Mio figlio è qui”, come se consumando la carta potesse sorvolare i chilometri con la punta del dito per posare una carezza sul suo ragazzo. Alla fine della guerra, quella piccola porzione della cartina era così lisa che il nome della città non si leggeva più.

Quelli di Radio Caterina. La resistenza dietro il filo spinato

E questo è l'ultimo nato della collana storica "Il Filo Spinato" della Marlin Editore, diretta da Mario Avagliano e Marco Palmieri
 
ARRIGO BOMPANI 
QUELLI DI RADIO CATERINA 
A cura di Antonio Ceglia 
Presentazione di Angelo Tranfaglia 
 
IL LIBRO 
Il volume accoglie la narrazione delle vicende accadute dall’8 settembre 1943 al 24 agosto 1945, periodo di prigionia del Tenente Arrigo Bompani, dal momento della cattura del reparto da lui comandato, di stanza nell’entroterra ligure. La lunga tradotta lo porta a Sandbostel, nella bassa Sassonia, e Bompani racconta i disagi e le angherie sopportate dagli italiani nei vari Lager. Un lungo accenno ai dinieghi degli IMI (Internati Militari Italiani) alle continue richieste di collaborazione, avanzate dai tedeschi e dai repubblichini, fa risaltare l’eroica dignità dei nostri soldati che, pur vivendo una vita al limite della sopportazione, non cedono alle lusinghe di nazisti e fascisti. 
Grande rilievo assume nel racconto l’episodio della “Caterina”, una radio costruita con materiale di fortuna, consistente in barattoli, grafite di matita ecc., una radio che permetteva agli internati di conoscere, prima dei loro carcerieri, le vicende che si svolgevano in Europa. Con dovizia di particolari vengono descritte le peregrinazioni da un campo di concentramento all’altro e la vita che si svolgeva nel campo di Wietzendorf. 
Durante uno dei trasferimenti il Bompani conobbe lo scrittore Giovanni Guareschi e racconta un gustoso episodio di cui il padre di “Don Camillo” fu protagonista. Il rientro in patria avvenne in un clima di diffidenza e sospetto, come narrato nel finale, dove l’autore cerca di capire e spiegare i motivi dell’indifferenza con cui la popolazione accolse il ritorno dei prigionieri dai campi di concentramento. 
 
 
ARRIGO BOMPANI (Crespellano, Bologna 1914 - Bologna 2013), richiamato alle armi nel 1941 e, con il grado di Tenente, incaricato di sorvegliare la costa e la linea ferroviaria da Savona a Ventimiglia, la mattina dell’11 settembre fu sorpreso da un grosso contingente di truppe tedesche e fatto prigioniero con i suoi uomini. Dopo venti mesi di Lager, rimpatriò nell’agosto del 1945 e venne congedato il 3 ottobre con il grado di Maggiore. Conseguito il diploma di geometra, si impiegò nell’ufficio del Catasto cittadino. Quale ex ufficiale internato nei Lager tedeschi, aderì all’ANEI (Associazione Nazionale Ex Internati) e costituì la sezione di Bologna, diventandone il Presidente. Ha partecipato ad innumerevoli interventi nelle scuole, soprattutto per raccontare l’“altra resistenza” effettuata nei Lager dagli IMI. Per sua iniziativa, sulla facciata del Palazzo del Podestà di Bologna fu apposta una lapide in ricordo dei militari italiani caduti nei Lager e venne eretto all’ingresso del cimitero cittadino un monumento progettato dall’architetto Pancaldi, suo compagno di prigionia. 
 
ANTONIO CEGLIA è nato a Bari nel 1946. Ufficiale di carriera nell’esercito, ha terminato la sua attività come Generale nel 2006 nella città di Bologna. Con Arrigo Bompani ha organizzato un convegno sugli ex internati militari al quale partecipava la figlia di Giovanni Guareschi, Carlotta. Essendo egli stesso figlio di un internato, si è appassionato alla storia dell’amico e, insieme a lui, ne ha raccolto le vicende. 
 
LA CITAZIONE
Ognuno di noi si trovò improvvisamente nudo: tutto fu lasciato fuori del reticolato: la fama e il grado, bene o male guadagnati. E ognuno si trovò soltanto con le cose che aveva dentro. Con la sua effettiva ricchezza o con la sua effettiva povertà. E ognuno diede quello che aveva dentro e che poteva dare e così nacque un mondo dove ognuno contava per uno. Giovanni Guareschi

Renata Fusco - Renata, da Cava arriva una stella dalla voce magica

di Mario Avagliano
 
Nel firmamento delle stelle del musical in Italia, accanto alle due bionde Lorella Cuccarini e Loretta Goggi, brilla anche la bruna Renata Fusco, di Cava de’ Tirreni, il fascino mediterraneo, 33 anni ("sono nata il 20 luglio del ‘69, nella notte dell’allunaggio, forse per questo sono lunare e anche un po’ lunatica"), premiata nel 1999 con il prestigioso premio IMTA come migliore performer femminile. Dopo i successi di Grease, Hello, Dolly! e Dance, il contratto con la Disney come "voce" delle colonne sonore dei film di animazione e l’incontro "magico" con il teatro tridimensionale di Roberto De Simone, la poliedrica ballerina, cantante e attrice si appresta ad interpretare la madre di Mosè nel nuovo musical I Dieci Comandamenti, reduce da uno straordinario trionfo di pubblico in Francia, che debutterà il 9 marzo a Milano e il 20 aprile a Roma. E da Napoli, dove va in scena al Trianon nel ruolo di una soubrette-prostituta di varietà, in Eden Teatro di Raffaele Viviani, per la regia di De Simone, racconta il ruolo chiave della madre Clara Santacroce nella sua carriera ("mi ha fatto crescere con la musica e mi ha sempre incoraggiato"), lancia l’idea di inserire il Teatro Verdi di Salerno nel grande circuito del musical italiano e rivela che presto sposerà un misterioso salernitano del quale, però, protegge l’anonimato.
 
Il suo percorso artistico iniziò a 6 anni, studiando danza classica al Ballet Studio di Cava diretto da Mimmo Cappiello.
Il primo anno di danza, per la verità, l’ho svolto a Napoli, alla scuola di Mara Fusco. Ricordo che lì prendevano solo bambine che non avevano frequentato altre scuole. Dopo la prima lezione, la Fusco chiamò mia madre e le disse che era stata scorretta. Un equivoco che si chiarì subito. In realtà io ho una musicalità innata. Avevo imparato i primi passi di danza da sola, mentre mia madre suonava al pianoforte.
L’anno dopo la sua famiglia si trasferì a Cava…
E io m’iscrissi al Ballet Studio. Mi sono diplomata lì, con Cappiello, tenendo i saggi ogni anno al Teatro Verdi di Salerno, tra una versione di greco e una di latino al Liceo Classico "Marco Galdi". Poi, a 18 anni, nel corso di uno stage ad Amalfi, sono stata scelta da Margherita Trajanova per un corso di perfezionamento di due anni al Teatro San Carlo di Napoli.
Contemporaneamente si dedicava al canto.
Presi lezioni di canto lirico a Napoli, a Piazza Dante, con il maestro Aldo Reggioli. All’inizio odiavo il canto. Fu mia madre a spingermi a studiare. "Devi diventare un’artista completa", diceva. Aveva ragione. Al concorso di prima scrittura indetto dal Teatro Comunale di Firenze, con mia grande sorpresa arrivai addirittura finalista. Reggioli sosteneva che ero incredibilmente dotata per il canto, e voleva che io lasciassi la danza.
La sua prima volta sul palcoscenico?
A parte i saggi di fine anno, mi esibivo a Cava negli spettacoli organizzati da mia madre, che aveva fondato l’associazione Ars Concentus. Ricordo in particolare la messa in scena di un bellissimo lavoro su Leopardi e Chopin.
Come avvenne l’incontro con il musical?
Per caso. Era il 1990 e nella classe di canto di Reggioli, c’era un collega che insegnava a Tolentino. Parlò di me a Saverio Marconi, che stava tenendo i provini per A Chorus Line e questi, qualche giorno dopo, mi chiamò a casa e mi invitò a Roma. Quando partii con mia madre dalla stazione di Salerno, non sapevo che mi avrebbero scritturata e che sarei stata lontana da casa per nove mesi. Dio, che colpo fu per i miei!
Cominciò allora la sua passione per questo genere teatrale?
Più che di passione, parlerei di innamoramento folle. Un amore che devo a Saverio e anche al fatto di aver cominciato proprio con A Chorus Line, il primo musical prodotto in Italia, che per noi addetti ai lavori rappresenta una sorta di teatro nel teatro. Furono due anni di scuola, di tirocinio, in giro per i teatri italiani, con grande successo di pubblico. Grazie a quell’esperienza straordinaria, ho acquisito un metodo di lavoro che mi serve ancora adesso.
Diede addio alla danza?
Addio proprio no. La danza mi ha dato e mi da’ moltissimo. Soprattutto la corporeità, la naturalezza di usare il corpo nella recitazione e nel canto. Per molte persone, invece, il corpo è un impaccio.
Dopo A Chorus Line, seguirono altri musical e nel ’95 il debutto nell’operetta, con L’Acqua Cheta e Il Paese dei Campanelli.
Lì ho messo a frutto la mia preparazione di cantante lirica. Mi piace sperimentare generi diversi.
Nel ‘97 è arrivato il consenso unanime del pubblico e della critica, con il personaggio di "Rizzo" nel musical Grease, al fianco di Lorella Cuccarini.
Un’avventura bellissima, che è durata tre anni. Ho lavorato con una professionista eccezionale come Lorella, che è diventata mia amica e mi ha insegnato tanto dal punto di vista soprattutto dell’approccio con il lavoro, della costanza, dell’umiltà e della semplicità. Quella di Grease era una squadra straordinaria, con artisti del calibro di Giampiero Ingrassia, Amadeus, Mal, il salernitano Michele Carfora. E’ stato un successo incredibile: a Milano e a Roma abbiamo fatto repliche per 10 mesi… Ci siamo fermati solo perché Lorella nel frattempo era rimasta incinta.
L’interpretazione del personaggio di "Rizzo", che gioca a fare la dura, ma in realtà è soltanto una ragazza come tante altre, bisognosa d'amore e di coccole, le è valsa anche il premio come migliore performer femminile di musical.
Il ruolo di Rizzo è quello che amo di più, e vi sono legata in modo quasi possessivo. Ma quando ho saputo del premio, non ci potevo credere. Mi è scappato di dire: "Ma come, ho vinto proprio io!".
Subito dopo, sempre nel ’99, incontrava un’altra grande artista, Loretta Goggi, in Hello, Dolly!
La Goggi è un grande talento. Io credo che una brava interprete debba saper anche "rubare" il mestiere ai colleghi più esperti, nel senso di osservarli sul palcoscenico e di imparare. Io ho "rubato" molto da lei…
Ha "rubato" anche da Roberto De Simone?
De Simone è geniale, è inarrivabile. Concepisce il copione come una partitura musicale, non a caso definisce la regia come una "messa in scena". Mi ha dato tantissimo, soprattutto la consapevolezza di essere un’artista che in scena può creare delle cose, e non una semplice pedina di uno spettacolo. In questi tre mesi passati con lui a Napoli sono cresciuta molto. Mi ha messo di fronte a una nuova Renata, con pochi semplici input. Credo di aver avuto una gran fortuna a lavorare con lui e ad essere una delle sue "perle".
In mezzo agli spettacoli di lirica e di jazz, con l’omaggio a Bill Holiday, alle operette e ai musical, lei si è ritagliata uno spazio anche come una delle doppiatrici ufficiali della Disney in Italia.
Il doppiaggio cantato dei film di animazione è uno dei miei grandi amori. Quand’ero piccola, imparavo a memoria le canzoni degli Aristogatti, di Cenerentola, e sognavo di cantare per la Disney. Un sogno che si è realizzato a partire dal ’97. Ho cantato ne: "La bella e la bestia, un magico Natale"; "Il re leone II"; "La spada magica"; "La sirenetta II"; "Il principe d’Egitto II", fino ai recentissimi "Peter Pan ritorno all’isola che non c’è" e "Cenerentola II". Devo dire che lavorare per i bambini è davvero gratificante!
E’ vero che nel suo camerino porta sempre un pezzo di casa?
So che è un poco triste, ma in tournée ho un beauty che mi segue dappertutto, con le foto dei miei genitori e di coloro che amo, e tanti animaletti-amuleti, come le rane.
Come ha vissuto il distacco dalla sua terra?
Ho sempre avuto nostalgia di Cava, del sole, del mare della costiera, anche se all’inizio, lo confesso, ho provato una sorta di amore-odio per la mia città. Quando tornavo, mi sentivo un uccello in gabbia. D’altronde quando sei cresciuta in un piccolo centro e poi ti trasferisci in ambienti dove ti offrono la luna e riesci anche ad afferrarla, ritornare nel paesello è difficile e ti confonde. Il successo può sbalestrare…
E’ accaduto anche a lei?
Io sono rimasta una ragazza semplice di Cava de’ Tirreni, che quando torna dai suoi, va in piazza a fare un giro. Ho cercato di mantenere un equilibrio tra la persona che sta sul palcoscenico e viene acclamata dal pubblico e la persona che sta fuori. Il mio mestiere è bellissimo e noi artisti siamo fortunati perché ci divertiamo. Non a caso in inglese recitare si dice to play. Ho imparato perciò che non bisogna accanirsi nella ricerca del successo. Il successo è una cosa che arriva all’improvviso e, così come arriva, può anche andarsene.
Una "ragazza" che è legata anche artisticamente a Cava e a Salerno.
Sto tentando di fare qualcosa di buono anche nella mia terra. Dal ’96 sono la voce del gruppo salernitano di musica medioevale e rinascimentale "Antica Consonanza", animato da tre storici e musicisti bravissimi, Alfredo Lamberti, Guido Pagliano e Gabriele Rosco, con i loro strumenti d'epoca. Abbiamo inciso anche un cd: "La leggenda di Tristano e Isotta". E poi aiuto mia madre nella scuola "Laboratorio Arte Tempra", che sta sfornando molti giovani talenti...
Come Valeria Monetti, che dopo "Saremo famosi", è stata chiamata nel cast del musical "Sette spose per sette fratelli"…
Valeria è stata con noi sette anni. Le ho dato anche qualche lezione. E’ brava ed era tra gli elementi di spicco della scuola. Ma ce ne sono anche altri che possono emergere e avere successo... Comunque, senza nulla togliere a Valeria, non posso nascondere che sono contraria a trasmissioni come il Grande Fratello, Operazione Trionfo o Saranno Famosi, che catapultano sulla scena, da protagonista, gente che spesso non è preparata adeguatamente. E’ mortificante per chi ha fatto la gavetta e lavorato sodo. E poi, attenzione, lo sforamento della tv nell’ambito teatrale alla fine può inquinare il musical e far perdere qualità e spettatori.
L’anno scorso lei ha assunto anche la direzione artistica della rassegna teatrale "Autunno Cavese".
L’edizione del 2002 è andata molto bene, anche grazie all’aiuto dell’amministrazione comunale. Abbiamo proposto tra l’altro uno spettacolo a cui tengo molto, "E cammina cammina…", dalla canzone di Pino Daniele, confezionato su misura su di me da mia madre, che mette insieme vari generi musicali e parla anche della mia vita. In futuro vorrei portare nella mia città delle compagnie importanti. Il problema è che Cava, pur sfornando molti talenti, come Giuliana De Sio, non ha un teatro. Un vero scandalo!
A Salerno invece c’è il Teatro Verdi, che è stato riaperto qualche anno fa.
Sono innamorata del Teatro Verdi. E’ una bomboniera, che meriterebbe molto di più. In genere, invece, è incluso nelle terze riprese degli spettacoli. E’ un patrimonio che come cavese invidio. Mi piacerebbe portarvi un grosso musical. Già, perché non inserire Salerno nel grande giro del musical italiano?
A proposito di Salerno, la trova cambiata negli ultimi anni?
E’ diventata una città meravigliosa. Penso che presto – oltre che a Roma - metterò su casa a Salerno, anche se nel cuore resterò sempre una cavese…
I bene informati parlano di fiori d’arancio in vista. Deluderà i suoi molti fans…
Ebbene sì. Sposerò un salernitano. Come si dice, "moglie e buoi dei paesi tuoi". Spero che sia lo spettacolo più bello della mia vita, e più duraturo.
Chi è?
Non so se gli farebbe piacere vedere il suo nome sul giornale. Preferisco rispettare la sua privacy.
Il 9 gennaio lei inizia le prove de "I Dieci Comandamenti", un musical che ha trionfato in Francia. Emozionata?
E’ uno spettacolo mastodontico, un po’ come Notre Dame de Paris. Sarò Jokebed, la madre di Mosè. In dodici anni di carriera, forse è la prima volta in cui dovrò interpretare una donna che diventa vecchia. Sarò io ad aprire il musical. Speriamo bene…
 
(La Città di Salerno, 5 gennaio 2003)
 
 
Scheda biografica
 
Renata Fusco, una delle "reginette" del musical italiano, è nata a Cava de’ Tirreni il 20 luglio del 1969. Ha cominciato a studiare danza classica all’età di 6 anni, si è diplomata a 18, perfezionandosi presso Le Centre de Danse International Rossella Hightower di Cannes e con M. Trajanova presso il Teatro San Carlo di Napoli. Parallelamente ha studiato canto, dedicandosi sia al genere lirico che al musical. Nel ’90, è stata scritturata dalla Compagnia della Rancia di Saverio Marconi per la produzione dei seguenti musical: "A Chorus Line"; "La Piccola Bottega degli Orrori"; "Cabaret"; "Dolci vizi al foro". Nel ’95 ha debuttato nell’operetta come partner di Sandro Massimini, ne "L’Acqua Cheta" di Pietri e ne "Il Paese dei Campanelli". Dal 1996 svolge attività di doppiaggio cantato con la Walt Disney e per la Roy Film ed è la voce del gruppo salernitano di musica medioevale e rinascimentale "Antica Consonanza". Nel 1997 è entrata a far parte del cast originale di "Grease", musical con la regia di Saverio Marconi, nel ruolo di "Rizzo", accanto a Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia. Con questo ruolo nel 1999 ha vinto il premio IMTA come migliore performer femminile di musical. Nello stesso anno ha debuttato in "Hello, Dolly!", accanto a Loretta Goggi e Paolo Ferrari, nel ruolo di Irene Molloy. Nel 2000 e 2001, è stata protagonista di "Dance", accanto a Raffaele Paganini e Chiara Noschese, per la regia di Saverio Marconi. Nell’inverno 2002-2003 ha recitato in "Eden Teatro", di Raffaele Viviani, per la regia di Roberto De Simone.
 

I Neri per caso - I sei piccoli "Alan Ford" che hanno stregato le platee mondiali

di Mario Avagliano
 
"Stiamo lavorando a un nuovo disco, tutto di canzoni inedite, che uscirà nel 2003 in Italia e in altri paesi del mondo". I Neri per caso, il gruppo di sei salernitani che tra il ’95 e il ’96 vinse a sorpresa il Sanremo giovani e scalò le classifiche italiane con due hit di grande successo, non sono affatto spariti dalla circolazione. "Niente paura. Ci siamo presi solo una pausa", dice dalla Sicilia Domenico Pablo Caravano, per gli amici Mimì, classe 1969, orecchino d’argento al lobo, il rockettaro e romanziere della band ("amo Bukosky e la letteratura beat e scrivo testi e sceneggiature di fumetti"), nato a Madrid ma salernitano doc. Una "pausa" in giro per il mondo, esportando la loro musica originale, basata sul canto a cappella. "Stiamo coltivando la dimensione live dei concerti. Siamo stati in Indonesia, Cile, Venezuela, Svizzera, Slovenia, Spagna. A febbraio saremo alla rassegna dei gruppi a cappella a Singapore", spiega da Montecorvino Pugliano il coetaneo Mario Crescenzo, nato a Nocera Inferiore ma cresciuto a Pontecagnano, il goliardico del gruppo, la "S" di Superman tatuata sul braccio destro ("un ricordo romantico della nostra prima tourneé"). Poi, insieme, raccontano il loro inizio e parlano della straordinaria stagione musicale di Salerno all’inizio degli anni Novanta.
 
Quando avete cominciato a fare musica?
 Mimì: Io sono figlio d’arte. Ho la musica nel sangue. Mio padre Salvatore vinse il concorso "Voci Nuove" ex-aequo con Milva ed è stato nella famosa orchestra di Angelini. Conobbe mia madre in tourneé in Spagna. Poi abbandonò la carriera, anche se ogni tanto si esibisce a livello amatoriale.
Mario: Per me è stata una febbre nata da piccolo, quando ascoltavo i dischi dei miei fratelli: Dalla, De Andrè, Pino Daniele, De Gregori, e più tardi il blues, la musica nera. A 13-14 anni imparai a suonare la chitarra da autodidatta e infine mi accostai al canto.
All’inizio prendete strade diverse…
Mimì: Io adoravo la musica rock, anzi l’hard-rock. Vestivo sempre di nero. Con la maglietta degli Iron Maden ci dormivo pure. Ho fatto parte di diversi gruppi rock salernitani, come i "Wryomen", con il chitarrista Nello De Luca, e i "Chili souce", che facevano musica un po’ più funkeggiante, con Maurizio Figliola, altro esponente storico dei gruppi salernitani, Umberto Giannini e Silvio Zito.
Mario: I miei gusti musicali erano molto differenti. A me piaceva la musica black, il rithm and blues.
L’incontro con gli altri membri del gruppo?
Mimì: E’ stato tutto naturale. Ci conosciamo da piccoli, poi io e Gonzalo siamo fratelli, e Ciro e Diego sono nostri cugini. La musica è una tradizione di famiglia. Ricordo che quando ci riunivamo per le feste, i miei genitori e gli zii intonavano dei cori insieme… E’ anche "colpa" loro se poi sono nati i Neri per caso…
Mario: Diego era studente al Conservatorio e condividevamo la passione per la musica. Alle assemblee d’Istituto lui suonava le tastiere e io cantavo: era una sorta di piano bar scolastico improvvisato. Da lì è nato il feeling con i Caravano, e anche l’amicizia con Mimì.
Il primo gruppo che mettete su, si richiama un po’ ai Blues Brothers…
Mario: Sì, io e Mimì cantavamo, Diego era alle tastiere e Massimo De Divitiis era il chitarrista. Avevamo preso il nome del gruppo country che nel film era rivale dei Blues Brothers, i "Good Old Boys".
Mimì: E come i Blues Brothers spesso eravamo pagati solo con birra e panini… Della serie: "Vi siete mangiati e bevuti tutto, non vi dobbiamo niente…"
Poi tra l’89 e il ’90 nascono i Crecason e l’idea di cantare a cappella, senza musica.
Mimì: Il nome originale era Crecason five. All’inizio eravamo cinque, Ciro si aggiunse dopo. Volevamo "copiare" i Jackson five. L’idea di cantare a cappella nacque per gioco. Mario aveva una voce bassa, profonda. Una sera Diego disse: "Perché non vediamo di armonizzare le voci". Ricordo che cominciammo con "Quel mazzolin di fiori". Da allora non ci siamo più fermati.
Mario: Crecason era un acronimo delle iniziali dei cognomi delle nostre due famiglie: i Crescenzo e i Caravano, più son. Allora, infatti, al posto di Massimo c’era mio fratello Maurizio. Una delle nostre primi esibizioni fu a una festa per la promozione della Salernitana in serie B.
Il successo arrivò subito?
Mario: Subito proprio no. Abbiamo fatto tantissime serate per locali. Ricordo il Fabula e il Conte di Cagliostro a Salerno, lo Shock e il Pub Il Moro a Cava. E poi a Napoli, in Costiera amalfitana. Una volta andammo a Bolzano, per partecipare a una rassegna di cori a cappella: sei ragazzacci a cantare canzoni rock in mezzo agli alpini… Guadagnavamo pochissimo, però il nostro stile piaceva. Gli applausi erano convinti, venivano dal cuore.
Mimì: Eravamo squattrinati ma entusiasti. Sei madrigalisti moderni, sei piccoli Alan Ford che cantavano in coro, tutti vestiti di nero, come una sorta di "Amici miei".
A Salerno, nella prima metà degli anni Novanta, c’era un fiorire di gruppi musicali…
Mario: E’ vero. Mi sembrava di far parte di un movimento culturale. In quegli anni a Salerno tutti i ragazzi facevano musica dal vivo. C’era un fermento di idee, una voglia di divertirsi cantando e suonando. Un fermento favorito anche dal rinascimento della città.
Mimì: Anche i locali sperimentavano gestioni nuove, più aperte. E poi Salerno stava cambiando pelle, grazie al buon vecchio De Luca. Sono un suo fan. La prima volta che si candidò a sindaco, cantai per lui al Centro sociale, con un gruppo rock.
Che frutti ha prodotto quel movimento culturale?
Mario: E’ stata una stagione straordinaria, che ha prodotto fior di musicisti, che ora fanno parte delle principali orchestre italiane. Solo per citarne alcuni, Lello Buongiorno, che suona nell’orchestra di Domenica In; i fratelli Dario, Alfonso e Alessandro Deidda, che si sono esibiti nei programmi della Dandini e ora fanno concerti jazz anche all’estero, con artisti di fama internazionale.
 Mimì: Mario ha ragione: quella generazione era eccezionale. L’elenco sarebbe lungo. Ricorderei per esempio anche Amedeo Ariano, batterista che suona con grossi musicisti jazz.
 Nel ’95 conoscete Mattone e arriva il trionfo a Sanremo giovani.
 Mario: Stefano Palatresi ci invitò a Roma ad esibirci insieme a lui in un locale. Claudio Mattone, che era il suo produttore, ci venne a sentire e gli piacque il nostro modo di cantare. Di lì a pochi mesi ci propose di firmare il contratto e ci parlò del tentativo di partecipare a Sanremo.
Prima, però, Mattone vi fa cambiare nome…
Mimì: Ci disse giustamente che Crecason era cacofonico. Con quel nome non avremmo mai avuto successo.
E perché la scelta cadde su Neri per caso?
Mario: Nei concerti indossavamo un dolcevita nero, a collo alto. E poi ci ispiravamo alla musica black, ai cori gospel.
La politica non c’entra niente?
Mario: Neanche per idea!
Mimì: Figurarsi se un gruppo che canta "Le ragazze", è impegnato politicamente! Purtroppo a volte ci hanno etichettati con quel colore politico. Ma non apparteniamo assolutamente a quella corrente.
Fu una sorpresa la vittoria a Sanremo?
Mario: Un’enorme sorpresa. Non ci aspettavamo neppure di partecipare, non ne parliamo poi di vincere con una canzone a cappella nel regno della musica pop leggera… Dopo il provino, quando ci chiamarono, pensammo a uno scherzo!
Come fu il ritorno a Salerno?
Mario: Incredibile. Arrivai alle 11 di sera a Pontecagnano, sul corso principale. E man mano che mi avvicinavo alla piazza centrale, dove abitavo, cominciai a notare uno striscione nero di 8-9 metri. Vidi con stupore che c’era la mia foto e la scritta "Pontecagnano e la cittadinanza salutano il successo del concittadino Mario". C’erano manifesti dappertutto. Nel mio palazzo c’erano addobbi tipo natalizi.
Mimì: A me e a mio fratello riservarono una accoglienza tipo "Natale in casa Cupiello". Una riunione condominiale con tanto di targhette premio e la recita di una poesia da parte di un bambino. Fu davvero commovente.
Seicentomila copie vendute in pochi mesi. E nel ’96 la partecipazione a Sanremo, tra i big, e il quinto posto con il singolo "Mai più sola". Rischiavate un’ubriacatura da successo…
Mario: Passare in pochi mesi dalle esibizioni nei locali ai grandi concerti con le ragazze che urlavano e si strappavano i capelli per noi, è stato un bel salto. Se ripenso a quel periodo, mi sembra quasi un sogno. Ma non ci siamo mai montati la testa.
Mimì: La nostra forza è stata di essere in sei. Se uno si esaltava, gli altri cinque lo frenavano. Insomma, abbiamo vissuto il successo in modo positivo, senza farci trasportare dalle onde.
Dopo il quarto disco, intitolato "Neri per caso", siete partiti per una lunga tourneé all’estero. Ora siete quasi più famosi in Indonesia o in Venezuela che in Italia…
Mario: Per non parlare del Giappone e del Messico, dove pure non siamo ancora andati. C’è un sito dedicato a noi in giapponese…
Mimì: E’ vero, all’estero in questo momento ci apprezzano forse di più che in Italia, anche perché il mercato italiano in questo momento è collassato, a causa dei cd pirata. Vendono dischi solo i gran big, i Vasco Rossi e i Ligabue. Comunque la dimensione live nei teatri, nei locali, è la nostra dimensione ideale, anche per il tipo di musica che facciamo. E poi, ci divertiamo anche a fare spettacolo, al di là delle canzoni.
Al di là delle canzoni?
Mimì: Beh, viene fuori l’anima comica di alcuni di noi. Mario, per esempio, ha fatto esperienza come animatore nei villaggi turistici e sa come coinvolgere il pubblico. Lo prendiamo in giro e lo chiamiamo il "bravo presentatore". Io e Gonzalo lo assecondiamo, e visto che la gente ride e si diverte, si vede che funziona.
Già, Mario è il giocherellone della band…
Mario: Ho la sindrome di Peter Pan… Mi piace fare scherzi, a volte anche un po’ pesanti. Una volta, con l’aiuto di Neri Marcorè, il comico imitatore, organizzai uno scherzo a Mimì e agli altri che durò quasi una settimana. Stavamo preparando un disco, e m’inventai che uno dei provini che avevamo scelto non era inedito ma era stato copiato da una canzone di Bennato. Marcorè, imitando Bennato, telefonò e ci insultò pesantemente.
Mimì: Ci cascai come un "babbasone". Parlai al telefono col finto Bennato per quasi venti minuti, chiamandolo "Maestro", scusandomi…
A distanza di 12 anni, siete ancora uniti. Un’eccezione nel panorama musicale italiano. Come mai?
Mimì: Ci ha aiutato il fatto di essere tutti parenti o amici d’infanzia. Gli screzi, le discussioni non mancano, può anche capitare che ci mandiamo a quel paese ma poi troviamo sempre un accordo tra noi.
A giugno del 2002 è uscita la vostra prima raccolta di successi.
Mario: Abbiamo voluto mettere un punto dopo dieci anni di carriera. E’ stata anche l’occasione per collaborare con il nostro disegnatore preferito, il salernitano Bruno Brindisi, che tra l’altro disegna Dylan Dog e Tex Willer, e ha realizzato la copertina del nostro disco.
Mimì: Io, Mario e Gonzalo siamo grandi appassionati di fumetti. Però Bruno lo abbiamo conosciuto durante la stagione salernitana dei gruppi musicali. Era tastierista in un gruppo e frequentava il Mumble Rumbe. Ricordo che una decina di anni fa, quando lessi la sua prima collana di fumetti, "Splatter", rimasi impressionato, e pensai: è straordinario!
Tornate mai a Salerno? Che ne pensate della Salerno di oggi?
Mario: Amo Salerno e le mie zone. Sono cresciuto tra la Valle del Sele e l’agro-nocerino, tra il mare e le montagne. E poi Salerno negli ultimi anni è diventata ancora più bella. Non ha nulla da invidiare a città come Bologna… Come fai a non tornare a Salerno?
Mimì: Io ci vengo meno spesso di Mario, ma sono legatissimo a Salerno e a volte ci porto i miei amici stranieri. Ho girato molto ma penso che ora Salerno sia una delle città più belle d’Italia, grazie a De Luca e anche al nuovo sindaco De Biase. Quando avevo 15 anni, non c’era niente, solo il lungomare e il Bar Nettuno. La malavita imperversava e la droga era un flagello. Ora è una città ordinata, pulita, restaurata.
Mario: Io però vorrei aggiungere una cosa. Spesso abbiamo avuto problemi stupidi nei concerti in Campania, legati a rivalità di tipo calcistico o di altro genere. Mi piacerebbe che certi campanilismi venissero superati; che tutta la Campania si riconoscesse negli artisti campani, nei cantanti campani, nelle squadre campane, senza fare differenze tra Salerno, Avellino, Napoli, Cava… In un periodo come questo, in cui si parla di devolution, vediamo di essere uniti almeno noi campani!!
A proposito di calcio, la Salernitana soffre…
Mimì: Terribile. E io sono pure zemaniano…
Mario: E pure il Napoli va male. Un disastro!
Vi sentite di dare un consiglio per i giovani salernitani che fanno musica? Come si fa ad avere successo?
Mario: Ci vuole la giusta dose di tutto: pignoleria, professionismo, anche fortuna, e poi naturalmente il talento. E bisogna anche continuare a provarci, anche se si sbatte mille volte sul muro.
Mimì: Sì ragazzi, non dovete mai mollare, mai smettere di crederci, anche nei momenti di sconforto. Ricordatevi che tutto è possibile. Soprattutto non fatevi abbindolare dall’ambiente, non seguite le mode, fate la musica che avete nel cuore. Salerno è una città piccola, ma da Salerno sono partiti musicisti di grande livello...
 
 (La Città di Salerno, 24 dicembre 2002)
 
Scheda biografica
 
I Neri per caso nascono come gruppo tra il 1989 e il 1990, con il nome di "Crecason". La band è composta da sei salernitani, Massimo De Divitiis, Mario Crescenzo, Ciro, Diego, Mimì e Gonzalo Caravano. Fanno gavetta nei locali di Salerno, Cava, Napoli e infine Roma, con pezzi cantati a cappella, uno stile che li consacra al successo. Entrati nella squadra di Claudio Mattone, adottano il nome di Neri per caso e nel 1995, con "Le Ragazze", si aggiudicano il primo posto a Sanremo nelle nuove proposte che li proietta in testa alle classifiche di vendita, consentendogli di raggiungere il clamoroso traguardo di 6 dischi di platino. L'anno dopo il gruppo ripete l'esperienza del Festival, arrivando al quinto posto tra i "Big", con "Mai Più Sola". Il secondo disco, "Strumenti", è realizzato con strumenti acustici, elettronici ed impropri (bicchieri, cucchiaini, fodere di chitarre...) che creano atmosfere particolari.
Il terzo disco esce poco prima di Natale, nel '96, e contiene cover di famose canzoni natalizie cantate a cappella, e "Quando", canzone da loro interpretata nel lungometraggio animato della Disney, "Il gobbo di Notre-Dame". Il quarto disco, "Neri Per Caso", esce a fine novembre del '97, e rivela una grande maturazione artistica dei sei ragazzi. Dopo un’assenza di tre anni, il gruppo salernitano pubblica nel maggio del 2001 "Angelo blu". Successivamente il tour mondiale li vede protagonisti in Indonesia, in Venezuela ed in Cile. Nel giugno del 2002 esce la loro prima "Raccolta" contenente i brani più rappresentativi della loro carriera artistica.
 
 
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