Ponza e Ventotene. Gli antifascisti relegati nelle isole gabbia
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di Mario Avagliano
Il ricordo degli anni di confino a Ponza e a Ventotene ricorre nelle autobiografie dei più celebri antifascisti italiani. Tra il 1928 e il 1943 le due isole pontine, a un braccio di mare da Formia e Gaeta, ospitarono il gotha dell'opposizione al regime fascista: da Sandro Pertini a Luigi Longo, da Giuseppe Di Vittorio a Camilla Ravera. E ancora Giorgio Amendola, Riccardo Bauer, Pietro Secchia, Girolamo Li Causi, sino ad Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni che, proprio qui, nel 1941 scrissero il Manifesto per un'Europa Libera e Unita, meglio conosciuto come “Manifesto di Ventotene”. La Bibbia della futura unità europea.
A Ventotene, definita dalla dirigente comunista Camilla Ravera “una ciabatta in mare” e considerata da Spinelli il “luogo dell’elezione”, il 20 maggio scorso è stato aperto al pubblico il Laboratorio Isole della Memoria, sulla storia dei confinati nelle due isole, con il patrocinio del Comune e della direzione della Riserva Statale. A conferma del rinnovato interesse che sta sollevando questo tema, oggetto di recente di una pregevole ricerca di Camilla Poesio: Il confino fascista. L’arma silenziosa del regime (Laterza, pp. 218, euro 20).
Il Laboratorio di Ventotene, che al momento ospita il plastico della "città confinaria" e diversi pannelli informativi, sarà presto arricchito dalle biografie, testimonianze e immagini dei circa 4.400 confinati politici (2.100 a Ponza e 2.292 a Ventotene) che in quegli anni sbarcarono sulle due isole pontine e vi trascorsero periodi a volte molto lunghi della loro vita, pagando così la loro opposizione al fascismo.
Il prezioso materiale è stato raccolto a partire dal 2008 da Riccardo Navone, libraio e saggista torinese di nascita ma genovese di adozione, presso archivi pubblici e privati (l’Archivio di Stato Centrale di Roma, gli archivi di Stato provinciali, quelli dell’Anpi, dell’Anppia e dell’Aicvas, degli Istituti storici della Resistenza, delle Prefetture, degli istituti storici di partiti e movimenti) e presso le famiglie degli antifascisti.
A Ponza, che assieme a Lipari fu la prima colonia di confino politico istituita dal regime mussoliniano, i primi antifascisti giunsero già nel 1928. Vi transitò, come spiega Navone, la prima generazione di oppositori: quella dei politici dei partiti sciolti dalle leggi speciali fasciste, come Giorgio Amendola, che dedicò a questa esperienza un celebre libro, L’isola, da cui il regista Carlo Lizzani ricavò uno sceneggiato televisivo. A Ventotene, invece, sbarcò a partire dall’estate del 1932 la seconda generazione di antifascisti, "quella che sognava la rivoluzione che avrebbe cacciato il fascismo".
Al momento dell’arrivo, i confinati ricevevano un libretto rosso sul quale erano indicate le 26 (dure) regole del confino. Sulla carta, era loro proibito non solo di discutere di politica e fare propaganda, ma anche frequentare pubbliche riunioni, tenere relazioni con donne o ubriacarsi. Dopo lo smacco della fuga da Lipari nel 1929 di Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Francesco Nitti, il regime mise in atto misure tese a impedire ogni possibilità di evasione e di comunicazione con l’esterno, incaricando di farle rispettare non solo le forze di polizia e i carabinieri, ma anche la milizia fascista. I confinati ritenuti più pericolosi furono fatti pedinare notte e giorno senza interruzione.
Dalla ricerca di Navone, emerge che le due isole ospitarono numerosi antifascisti rimasti sconosciuti al grande pubblico e alla storiografia e che meritano di essere riscoperti. Ragazzi partiti a 18 anni per combattere in Spagna contro Francisco Franco. Personaggi che negli anni successivi saranno comandanti partigiani, romanzieri e imprenditori. Contadini analfabeti diventati nel dopoguerra sindaco della loro città. Donne in lotta contro tutti i pregiudizi. Anarchici che condurranno rivolte popolari in Sicilia e in Toscana. Ma anche gente comune che, magari al bar o all’osteria, aveva raccontato una barzelletta irriverente contro il duce o contro il regime oppure aveva accusato il tal gerarca di rubare o di andare a donne.
La gran massa del popolo dei confinati era composto da gente umile: operai, contadini, maestri elementari, minatori emigrati in Belgio e in Francia, marittimi, camerieri, artigiani, manovali, imbianchini. Pochi erano i laureati inseriti in qualche professione (avvocati, docenti, politici e sindacalisti). Il gruppo più numeroso era quello dei comunisti, seguito dagli anarchici, dai socialisti e dai militanti di Giustizia e Libertà. Dopo la sconfitta della rivoluzione spagnola infoltirono le fila dei confinati i miliziani rimpatriati a forza dalla Francia o dagli altri paesi. C’erano anche stranieri, in particolare jugoslavi e albanesi.
I confinati giungevano a Ponza e a Ventotene a piccoli gruppi, incatenati fra loro. L’impatto con la nuova vita era devastante. Oltre alla promiscuità nei cameroni, si dovettero adattare alla precarietà dei rifornimenti, alle angherie dei militi, alla mancanza di comunicazioni, alla fame e alla noia. Nonostante le privazioni, i confinati organizzarono biblioteche, mense autogestite, attività artigianali, corsi di studio. A Ponza e a Ventotene si formò una parte rilevante della classe politica che avrebbe fatto la Resistenza e sarebbe stata protagonista della Repubblica. Non mancarono le storie d’amore tra confinati e isolane, alcune delle quali sfociarono in matrimoni.
Una parte dell’archivio sui confinati realizzato da Navone sarà digitalizzato e pubblicato on line su un apposito portale web. Intanto, anche sulla scia dell’entusiasmo e della passione del libraio torinese, a Ventotene è nata una piccola casa editrice chiamata Ultima Spiaggia e diretta dal romano Fabio Masi, che si propone di divulgare queste tematiche e ha già pubblicato un primo interessante volume a cura di Filomena Gargiulo, intitolato Ventotene, isola di confino. Confinati politici e isolani sotto le leggi speciali 1926–1943 (pp. 314, euro 20), che racconta anche vicende inedite.
(Il Mattino, 30 luglio 2012)