Il 7 dicembre presentazione a Roma di "Paisà, sciuscià e segnorine"

Martedì 7 dicembre, alle ore 17.00, presso la sede e sul canale Facebook della Biblioteca di storia moderna e contemporanea, in collaborazione con ANPI, INSMLI e IRSIFAR, sarà presentato il volume Paisà, sciuscià e segnorine. Il Sud e Roma dallo sbarco in Sicilia al 25 aprile di Mario Avagliano e Marco Palmieri. (Il Mulino, 2021). Intervengono: Anna Balzarro, Isabella Insolvibile, Giancarlo Governi,  Gianfranco Pagliarulo. Coordina: Maria Corbi. Saranno presenti gli autori.

È stato chiamato «l'altro dopoguerra» il periodo vissuto dall'Italia meridionale e Roma tra il luglio del 1943, quando gli alleati sbarcano in Sicilia, e il maggio del 1945, quando la guerra finisce. Un lungo periodo, segnato dal procedere lento della linea del fronte verso nord, con combattimenti accaniti, violenze, stragi tedesche e alleate e atti di resistenza, spesso misconosciuti (non solo la battaglia per la difesa di Roma e le Quattro giornate di Napoli). Ma anche un vitale, caotico, difficile ritorno alla pace e alla libertà, con il primo confronto con la democrazia dopo il ventennio fascista. I problemi economici e sociali sono aggravati dall’atteggiamento dei militari alleati, intorno ai quali, come avviene ad esempio a Napoli e a Roma, proliferano fenomeni come segnorine, sciuscià e traffici del mercato nero che portano a un certo decadimento dei costumi morali. Esaurita l’euforia della libertà riconquistata ed emersa la consapevolezza del carattere illusorio dell’aspettativa che l’arrivo degli anglo-americani, simbolizzato dal pane bianco, dalle caramelle e dalle chewing-gum, porti miracolosamente alla fine della miseria, le truppe “salvatrici” nella penisola diventano sempre meno gradite. La presenza degli alleati, il ritorno dei partiti, delle radio, della stampa libera, la voglia di normalità e di divertimento, la rinascita del cinema e del teatro, con Anna Magnani, Totò, i fratelli de Filippo, De Sica e Rossellini, e poi la fame, il banditismo, le marocchinate, la criminalità. Attingendo a lettere, diari, corrispondenza censurata, relazioni delle autorità italiane e alleate, giornali, canzoni, film, il libro compone un racconto corale, curioso e inedito di quell'Italia del dopoguerra.


Mario Avagliano
è un giornalista e storico, collabora alle pagine culturali de “Il Messaggero” e de “Il Mattino”. E’ autore di numerosi saggi su fascismo, seconda guerra mondiale, deportazioni e dopoguerra.

Marco Palmieri è giornalista e storico, ha lavorato per diverse testate e ha pubblicato numerosi saggi sulla deportazione, la resistenza e il dopoguerra.

 

Anna Balzarro è direttrice dell’Istituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza (IRSIFAR) 

Maria Corbi è una giornalista, inviata de La Stampa.

Giancarlo Governi è un autore televisivo, sceneggiatore e scrittore.

Isabella Insolvibile è una storica specializzata nella Resistenza italiana.

Gianfranco Pagliarulo è presidente nazionale dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI)                                                            

Patrizia Rusciani è direttrice Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea.



Diretta sul canale FB della Biblioteca
https://www.facebook.com/BSMCstoriamoderna

E nei giorni successivi sul canale youtube della Biblioteca

www.youtube.com/channel/UCfXpacBHyoMTCWStx0Mj3yQ

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Candido Manca, lo "stradino" martire delle Ardeatine

Fra i martiri delle Fosse Ardeatine figura anche un dipendente dell’Anas, allora AASS, il sardo Candido Manca. La sua figura è ricordata nel bel libro di Mario Avagliano, “Generazione ribelle. Diari e lettere dal 1943 al 1945”, pubblicato da Einaudi, una storia della Resistenza, della deportazione e dell’internamento militare attraverso gli scritti dei protagonisti.

Nato a Dolianova (Cagliari) il 31 gennaio 1907, Manca nel '25 si arruolò volontario nei carabinieri. Prestò servizio a Roma, e dopo tre anni di ferma fu congedato. Rimasto nella capitale, ottenne il diploma di ragioniere e fu assunto nell'Azienda Autonoma Statale della Strada (AASS, poi ANAS). Fu richiamato alle armi una prima volta nel '35, per un anno, e di nuovo nel '39 per alcuni mesi e poi nel '40, con il grado di vicebrigadiere, sempre rimanendo in servizio presso la AASS. Nel '43 era brigadiere, nella compagnia squadre reali e presidenziali di Roma. Dopo l'8 settembre, riuscì a sfuggire ai tedeschi che avevano occupato le caserme. Insieme ad altri 30 carabinieri sbandati che aveva raccolto con sé, entrò nella banda "Caruso", che faceva parte del Fronte Militare Clandestino di Montezemolo, svolgendo azioni militari e raccogliendo informazioni utili al movimento partigiano e agli Alleati. Fu catturato dalla Gestapo il 10 dicembre del '43, insieme al tenente dei carabinieri Romeo Rodriguez Pereira e al capitano dei carabinieri Genserico Fontana, mentre si stava recando da un contabile che procurava denaro ai partigiani. Rinchiuso nel carcere di via Tasso, subì più volte la tortura, ma non rivelò i nomi dei compagni. Fu fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del '44. Nel dopoguerra gli fu assegnata la medaglia d'oro al valor militare alla memoria. Una lapide lo ricorda a via Chiana a Roma.

 

 

«I bisogni dobbiamo farli nella cella stessa in un recipiente chiamato bugliolo»

 

di Candido Manca

 

[Roma, carcere di via Tasso] 3.1.1944

 

Bolò mia cara,

ho ricevuto tutti i pacchi, il penultimo conteneva il Mom, di quest'ultimo fammi il piacere di mandarmene ancora, vedi di trovare i barattoli che credo sia migliore. Vuoi sapere come passo i giorni? Puoi immaginarlo, in una cella di metri quadrati 4 e 25 cm. mezza internata con una finestra munita di inferriata, ramata a vetri, semibuia. Come vitto ci danno due pagnotelle, caffè la mattina e appena un pasto di minestra alle 12. Nella cella siamo in quattro e dormiamo sul pagliericcio con due coperte a testa, i bisogni dobbiamo farli nella cella stessa in un recipiente chiamato "bugliolo"; sono sicuro che la faccenda dell'evacuazione davanti agli altri ti faccia sorridere sapendo quanto io ero suscettibile a tale funzione. Per riuscirci la parola d'ordine è «faccia al muro»... viene aperta la finestra e appena finito si apre lo sportellino della porta, il perché lo puoi immaginare. La salute è ottima, il raffreddore è quasi scomparso. Con la venuta del quarto abbiamo avuto la sorpresa dei pidocchi. Fattolo sapere al comandante questi ci ha fatto fare il bagno e disinfettare i vestiti al vapore. Dirti le peripezie non basterebbe un quaderno, ne abbiamo passato delle belle e delle brutte. Che vuoi fare ci abbiamo riso sopra. Ti avevo detto di mandarmi roba da mangiare di meno perché tesoro mio vedo che la mia permanenza qui sembra che duri e non vorrei dar fondo a quel poco che abbiamo messo da parte (puoi mandarmi della verdura al posto della carne che nutro desiderio). Quanto vi desidero! Dei giorni sono tanto triste per questo motivo. Per tutto il resto tengo alto il morale data la mia innocenza. Hai fatto bene di essere stata da Ciccillo per il primo dell'anno, così ti sei un pò divagata. Quanta tenerezza mi dai quando mi parli dei bambini, sento di adorarli in un modo tale che spesse volte anzi sempre a me e ai miei compagni di cella ci escono le lacrime. Hai fatto male di non aver allestito l'albero di Natale. Perché hai privato gli angioletti nostri di quella contentezza. Ad ogni modo spero che a Mariella per il suo compleanno avrai comprato qualche bel giocattolo e pure a Giancarlo. Come stai in salute? Mi auguro bene. Mandami cento lire specie da dieci e da cinque. Quella somma che avevo addosso è qui in deposito e la daranno quando uscirò oppure alla famiglia se fornita dell'autorizzazione del Comando Tedesco "albergo Flora". Fammi pervenire il libro di italiano "da Dante al Pascoli" che deve essere sulla ghiacciaia, la copertina è color marrone. Comprami un piccolo dizionario italiano-tedesco, bada deve essere tascabile e deve contenere anche come si pronunziano le parole. Stai attenta a fianco della parola tradotta deve esserci anche come deve leggersi. Al porta pranzo ti sei dimenticata di mettere la guarnizione cosa che ha permesso al signor sugo di uscire. Non ti faccio gli auguri per il nuovo anno ti dico soltanto che questo dovrà apportarci la felicità e la salute, altro non chiedo a Iddio. Ti abbraccio e ti bacio caramente assieme ai bambini tuo per sempre

Candido

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Storie - L'Atlante delle stragi

di Mario Avagliano

Un lavoro di ricerca durato anni che, dopo il portale web e il convegno internazionale svoltosi a settembre 2016, finalmente approda in libreria, con un corposo saggio intitolato Zone di guerra, geografie di sangue. Le stragi naziste e fasciste in Italia (1943-1945), per i tipi del Mulino, a cura di Paolo Pezzino e Gianluca Fulvetti.

È la conclusione del progetto di ricerca promosso da Anpi e Insmli e finanziato dal Governo tedesco, che ha coinvolto 130 ricercatori e ha portato a censire tutte le stragi compiute sul suolo italiano durante il periodo della Repubblica di Salò e dell’occupazione tedesca: un totale di 5.616 episodi di violenza con ben 23.720 vittime

Oltre agli eccidi tragicamente noti, come quelli di Monte Sole e di Sant’Anna di Stazzema, il periodo compreso fra l’8 settembre del ’43 e la fine della lotta di liberazione ha visto cadere sotto il fuoco tedesco e fascista un numero spaventoso di italiani, tutti cittadini inermi e molti del tutto estranei alla lotta partigiana, vittime di rastrellamenti o uccisi senza motivi apparenti. Questo volume fornisce una mappa delle stragi che hanno insanguinato l’Italia, analizzandole dal punto di vista storiografico, interpretativo e geografico, avvalendosi di un apparato cartografico che illustra le fasi principali del conflitto in relazione alla cronologia delle stragi.

Da questo lavoro emergono la caratteristica di “guerra ai civili” del conflitto scatenato nell’Italia occupata (vedi il saggio di Carlo Gentile) e la responsabilità autonoma del restaurato regime fascista di Mussolini in molte delle stragi dei civili (vedi il saggio di Toni Rovatti “La violenza dei fascisti repubblicani), come evidenziato anche nel libro “L’Italia di Salò” (Il Mulino) pubblicato a marzo da me e Marco Palmieri.

L'atlante è disponibile online e accessibile all'indirizzo http://www.straginazifasciste.it e si compone di una banca dati e dei materiali di corredo (documentari, iconografici, video) correlati agli episodi censiti, ospitati all’interno del sito web. Nella banca dati sono state catalogate e analizzate tutte le stragi e le uccisioni singole di civili e partigiani uccisi al di fuori dello scontro armato, commesse da reparti tedeschi e della Repubblica Sociale Italiana in Italia dopo l’8 settembre 1943, a partire dalle prime uccisioni nel Meridione fino alle stragi della ritirata eseguite in Piemonte, Lombardia e Trentino Alto Adige nei giorni successivi alla Liberazione. L’elaborazione su base cronologica e geografica dell’insieme dei dati censiti ha consentito la definizione di una "cronografia della guerra nazista in Italia", che mette in correlazione modalità, autori, tempi e luoghi dei fatti.

La ricerca, come ha sottolineato l’ambasciatore tedesco Susanne Wasum-Rainer, è stata finanziata dal governo della Repubblica Federale di Germania, che attraverso il Fondo italo-tedesco per il futuro ha finanziato anche un altro grande progetto, l’Albo dei Caduti Imi, gli internati militari italiani. Sarebbe bello che anche il governo italiano si facesse promotore di un analogo lavoro di ricerca su pagine nere della nostra storia. Un esempio? Il censimento degli atti di persecuzione agli ebrei perpetrati a seguito dell’entrata in vigore delle leggi razziste del 1938.

(L'Unione Informa e Moked.it del 25 aprile 2017)

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Storie – La difficile giustizia sui crimini di guerra

 di Mario Avagliano

   Al termine del secondo conflitto mondiale, l’individuazione dei responsabili dei gravi crimini commessi durante l’occupazione tedesca in Italia contro le popolazioni civili rimase circoscritta a pochi casi eclatanti. Anche per ragioni di politica internazionale (l’incipiente guerra fredda e la necessità di “tutelare” l’avamposto della Germania dell’Ovest dall’espansione sovietica), ben presto gli Alleati abbandonarono il progetto di fare giustizia delle stragi compiute dai tedeschi durante la campagna d’Italia, e gli italiani, a parte poche condanne (Kappler per le Fosse Ardeatine, Reder per Marzabotto e altri eccidi), ben presto posero fine a quella stagione processuale.

La caccia ai criminali nazisti -  come racconta l’interessante  libro “La difficile di giustizia. I processi per crimini di guerra tedeschi in Italia 1943-2013” (Viella editore), scritto a quattro mani da uno dei protagonisti della nuova stagione, il procuratore Marco De Paolis, pubblico ministero nei processi per le stragi di Sant’Anna di Stazzema, Civitella Val di Chiana, Monte Sole-Marzabotto e per l’eccidio di Cefalonia, e  dallo storico Paolo Pezzino - riprese il suo corso solo molti anni dopo, nel 1994,  a seguito della scoperta del cosiddetto “armadio della vergogna”, come fu definito da Franco Giustolisi. Si trattava di una stanza murata a Palazzo Cesi, a Roma, sede della Procura generale militare, in cui erano conservati centinaia di fascicoli giudiziari sui crimini di guerra commessi sulla popolazione italiana tra il 1943 e il 1945, illegalmente archiviati dal procuratore generale militare nel 1960.

Un saggio ricco di dati e di informazioni, che fa il punto e il bilancio sui risultati dei nuovi processi sulle stragi nazifasciste, svoltisi tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila. Processi che, come scrive De Paolis, anche se tardivi e a volte parziali, “si presentano a noi come una specie di ‘porta della verità’, attraverso la quale, anche mediante la ricostruzione e l’accertamento dei fatti nella loro materialità e nell’individualità delle singole condotte, si afferma l’ingiustizia del fatto, la sua illiceità e la responsabilità penale di chi quel crimine ha commesso; e così si giunge alla verità”. Da ciò discende l’attualità dei processi e “l’importanza di continuare ad adempiere al proprio dovere giudiziario, che è quello di perseguire e punire questi crimini finché sia in vita anche solo uno dei criminali che ne sono stati responsabili”.

(L'Unione Informa e Moked.it del 22 novembre 2016) 

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Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia. In rete la memoria delle stragi

di Mario Avagliano

   Boves, Caiazzo, Marzabotto, Mascalucia, Roma, S. Anna di Stazzema… L’elenco di borghi, città, località italiane che nel tragico periodo che va dall’estate del 1943 all’aprile del 1945 furono insanguinati dal terrore nazifascista è un lungo interminabile rosario. 5.428 stragi, con un bilancio di oltre 23 mila vittime, secondo il censimento realizzato in due anni di lavoro collettivo da 120 ricercatori e 60 istituti storici, nell’ambito del primo Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, presentato ieri alla Farnesina dal direttore generale per l'Ue del ministero degli Esteri, Giuseppe Buccino Grimaldi, insieme all'ambasciatore tedesco in Italia, Susanne Marianne Wasum-Rainer.

L’Atlante è disponibile da oggi online all’indirizzo www.straginazifasciste.it e costituisce una sorta di «grande memoriale virtuale», in continuo aggiornamento, che, come affermato daldirettore generale dell'Insmli Claudio Silingardi, trasforma le vittime in «uomini, donne, bambini», dando loro un nome e una carta d’identità.
La ricerca è stata finanziata dal ministero degli Esteri della Repubblica Federale tedesca, nell'ambito delle raccomandazioni suggerite dalla Commissione storica italo-tedesca, ed è stata realizzata dell’Anpi e dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia.
«Un censimento della violenza», come ha detto la storica Isabella Insolvibile, che ci fornisce una vera e propria guida storica e anche geografica di tutti i crimini di guerra verso i civili accaduti in Italia sotto l’occupazione nazifascista. L’Atlante è composto da una banca dati georeferenziata, da schede monografiche su ogni episodio e da testi contenenti la ricostruzione storica dei fatti, corredati da materiale fotografico.
La ricerca consente di fare ulteriore luce sulla pagina nera dell’occupazione nazifascista, dopo che colpevolmente i governi italiani del dopoguerra, per motivi di realpolitik e di salvaguardia del ruolo della Germania dell’Ovest come avamposto dell’Occidente, avevano fatto calare il silenzio sulle stragi, addirittura murando i relativi fascicoli nel cosiddetto «armadio della vergogna», scoperto nel 1994.
Per la prima volta, infatti, è stato definito il numero delle stragi a livello nazionale, 5.428, avvenute non solo nel Centro-Nord ma anche in Meridione, dalla Sicilia alla Campania. Dalla ricerca emerge un notevole aumento del numero delle vittime, che passa dalle 10-15 mila finora ipotizzate a 23.461 accertate, escludendo i caduti in combattimento e comprendendo quindi solo i civili inermi, catturati e uccisi a seguito di rastrellamenti, di rappresaglie o di stragi “eliminazioniste” o dirette contro specifiche tipologie di persone (ebrei, antifascisti, religiosi etc.).
L’Atlante, spiega Toni Rovatti, propone, ove possibile, anche i nomi degli esecutori: non solo membri delle famigerate SS naziste, ma anche militari della Wehrmacht e diversi italiani fascisti del regime di Salò il cui ruolo, come sottolinea Paolo Pezzino, è autonomo e determinante nel ben 19% delle stragi. A testimonianza che la Rsi «portò avanti in modo autonomo una propria politica della violenza».
Frutto della «stretta collaborazione» tra Italia e Germania, l'iniziativa punta alla «creazione di una comune cultura della memoria», ha sottolineato l'ambasciatore tedesco. Un «progetto scientifico molto impegnativo» per registrare tutti gli atti di violenza compiuti da nazisti e fascisti in Italia, «assicurando così alle vittime una degna memoria».
Di «passo avanti per la memoria comune» ha parlato anche il presidente dell'Anpi, Carlo Smuraglia, anche se resta ancora sospesa la questione della giustizia di transizione, ovvero delle sentenze relative a condanne all’ergastolo nei confronti di criminali tedeschi e austriaci, emesse da corti italiane ma non rese esecutive da quelle tedesche. Un “disaccordo” giudiziario che costituisce una ferita ancora aperta e che – come evidenzia la storica Isabella Insolvibile – «nessun investimento nella ricerca e nella memoria può autonomamente risolvere».

(Il Messaggero e Il Mattino del 7 aprile 2016)

Si apre l’armadio della vergogna

Gli storici a confronto

  di Adam Smulevich

  Vivo interesse e molte speranze tra gli storici del nazifascismo con l’avvio della pubblicazione degli atti della commissione parlamentare d’inchiesta sul cosiddetto “armadio della vergogna” contenente 695 fascicoli d’inchiesta e un registro generale riportante 2274 notizie di reato relative a crimini di guerra commessi sul territorio italiano durante l’occupazione nazifascista. Una svolta che è frutto dell’impegno personale della presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini, che ha ricordato in queste ore come un “paese veramente democratico” non possa avere paura del proprio passato.

  Nonostante i ritardi accumulati in questi decenni per Lutz Klinkhammer, direttore dell’Istituto Germanico di Roma, il bicchiere è mezzo pieno. “Si tratta – racconta a Pagine Ebraiche – di un’operazione di trasparenza molto lodevole, che certamente renderà l’accesso più facilitato ai cittadini. Il frutto di una volontà politica che va senz’altro apprezzata”. Klinkhammer ha rapidamente analizzato i documenti disponibili da questa mattina sul sito dell’archivio storico della Camera. “La prima impressione – osserva – è che manchi ancora molto materiale, custodito in particolare da alcune istituzioni e organi militari. La speranza è che tutto possa essere consultabile nei tempi più rapidi e in modo libero, senza vincoli”.

  “Il fatto che questo materiale sia online è estremamente positivo” sottolinea Anna Foa. Già ieri, in occasione dell’annuncio, aveva sottolineato l’importanza e il significato di questa operazione. Con l’auspicio che la pubblicazione degli atti dia il via “a studi ancora più approfonditi su quella stagione, fornendo nuove risposte e chiarendo punti che restano oscuri”. Perché, aveva poi ricordato, “ne abbiamo davvero tutti molto bisogno”.

  Condivide questa impostazione Mario Avagliano, che racconta come tra colleghi e addetti ai lavori l’attesa fosse molta. “Per lunghi anni – afferma – il silenzio è calato in modo inesorabile. L’amnistia concessa da Togliatti, e in seguito il fatto di dover tutelare la Germania Ovest come bastione occidentale per tutto il corso della Guerra Fredda, hanno impedito una vera ricerca fino a tempi non così lontani. Oggi, nel nome della trasparenza, viene fatto un nuovo passo in avanti”.

 Meno entusiasta Marcello Pezzetti, direttore scientifico del Museo della Shoah di Roma. “La pubblicazione ha ormai valore soltanto per gli storici e lascia per questo molta tristezza. Insieme a una domanda: quanti criminali sarebbero stati condannati se questo materiale fosse stato divulgato ben prima? Il rammarico – afferma – è che abbiamo impedito alla giustizia tedesca di fare il suo corso”. Riguardo al materiale diffuso online, Pezzetti si dice convinto che non “tocchi più di tanto” la costruzione che è stata fatta delle diverse vicende belliche.
 

(L’Unione Informa e Moked.it del 16 febbraio 2016)

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L’Aquila e il condor, la verità (di parte) di Delle Chiaie sugli Anni di piombo e l’estremismo di destra

Militante fascista fin dalla giovanissima età, con una spiccata predilezione per l'azione più che per la discussione teorica, Stefano Delle Chiaie, discusso e controverso leader storico di Avanguardia Nazionale, ha segnato trent'anni di battaglia politica, nel nostro Paese e non solo.

Accusato dei peggiori crimini, piazza Fontana compresa, e ricercato dalle polizie di mezzo mondo, il suo nome è stato associato ad alcuni dei fatti più cruenti e misteriosi del passato recente dell’Italia. Nel libro autobiografico L’Aquila e il condor (Sperling & Kupfer), Delle Chiaie - con l’aiuto di un grande esperto del terrorismo e della storia del fascismo del valore di Massimiliano Griner, oltre che di Umberto Berlenghini - ha scelto di fornire la sua versione di quel periodo, che spesso contraddice i resoconti di altri testimoni.
Il suo racconto, che parte dagli inizi nel Msi degli anni Cinquanta e arriva fino agli anni Novanta, getta nuova luce su alcuni degli episodi più discussi degli Anni di piombo: come il golpe Borghese, la strage del 12 dicembre 1969, i fatti di Reggio Calabria, il presunto piano dei servizi per sequestrare Aldo Moro, quattordici anni prima che lo facessero le BR.
E ancora, fuori dall'Italia durante gli anni di una lunga latitanza, sulla sua attività di avventuriero politico - con ruoli di primo piano - fra Sudamerica, Spagna, Angola e Portogallo, nel segno dell'utopia di una "internazionale nera". Compresi i suoi rapporti con i dittatori Franco, Pinochet e Peron.
Naturalmente si tratta di una ricostruzione “di parte” e gli omissis pesano nel racconto. Ma colpiscono nel libro diversi aspetti.
1. La presenza dei servizi segreti (deviati o meno) in tutte le vicende di quegli anni. Si badi bene: Delle Chiaie nega di essere stato un loro strumento e di aver collaborato con loro (tranne rare eccezioni), ma fa impressione quante volte, su sua stessa ammissione, sia stato contattato o abbia avuto colloqui o rapporti con uomini dei servizi ed è davvero buio lo scenario che viene fuori dalla lettura del libro sulle modalità e le finalità in base alle quali si muovevano tali personaggi nella politica e nel sottobosco della politica di quegli anni.
2. Delle Chiaie confessa di aver partecipato, almeno idealmente e a livello preparatorio, al golpe Borghese.
3. Anche avendone già cognizione, è interessante il ritratto del Movimento sociale italiano che traccia Delle Chiaie: un partito sempre sospeso e in bilico sul filo dell’illegalità,  tra tentazioni rivoluzionarie, nostalgie fasciste e azione istituzionale.
4. Pur avendo consapevolezza di quanti danni abbia fatto il clima di guerra fredda, sorprende il ruolo svolto in quegli anni e la facilità di movimento e di rapporti da parte di personaggi già fortemente compromessi con il fascismo all’epoca della Repubblica Sociale o addirittura di ex gerarchi nazisti tedeschi.
In conclusione, si tratta di un’autobiografia che, in quanto tale, non ha pretese di lavoro scientifico o storiografico, e di certo non dice tutto sui cosiddetti misteri della Repubblica né costituisce la “verità rivelata”. Ma sicuramente è un documento importante che fornisce utili informazioni ed elementi spesso inediti sul clima politico del primo trentennio repubblicano, sul carattere dei personaggi, sulle mentalità dei protagonisti. Un libro quindi che serve a comprendere meglio e dal di dentro la storia del Msi  e la realtà dell’estremismo di destra. Mettendo a fuoco un’epoca, quella del terrorismo nero e rosso e della violenza politica, che speriamo sia definitivamente alle nostre spalle.    

L'aquila e il condor
di Stefano Delle Chiaie, Massimiliano Griner, Umberto Berlenghini
pp. 352, € 18,50
con postfazione di Luca Telese

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Einstein e la "colpa" del cugino italiano

di Mario Avagliano

  La “colpa” di chiamarsi Einstein. Aveva un cognome scomodo l’ingegner Robert, cugino dello scienziato Albert Einstein. Quando nella torrida estate del 1944, con gli Alleati alle porte di Firenze, i nazisti scoprirono che si nascondeva con la famiglia in una villa a Rignano sull’Arno, il paese di Matteo Renzi, mandarono una squadra a prelevarlo.
  Volevano vendicarsi del suo odiatissimo parente, l’ebreo tedesco premio Nobel per la Fisica che, trasferitosi negli Stati Uniti, nel 1939 aveva osato firmare una lettera appello al presidente americano Roosevelt per sviluppare gli studi sull’energia nucleare ed evitare che Hitler varasse per primo la bomba atomica.
  Era la notte del 3 agosto e, come racconta il giornalista Camillo Arcuri nel suo libro “Il sangue degli Einstein italiani” (Mursia, pp. 164), per sicurezza l’ingegner Robert si era rifugiato nel vicino bosco. Nella villa erano rimaste sette donne: la moglie Cesarina Mazzetti, detta Nina, 56 anni, figlia di un pastore protestante, e le figlie Luce e Annamaria, di 26 e 18 anni, tutte e tre valdesi, e quindi di “razza ariana”, assieme ad altre quattro parenti che vivevano con loro.
  I tedeschi arrivarono di soppiatto. Non trovando Einstein, condussero la moglie Nina fuori di casa, costringendola a chiamare il marito per farlo uscire allo scoperto. Robert avrebbe voluto consegnarsi, ma gli altri fuggitivi lo trattennero. Così i nazisti uccisero a colpi di mitra la moglie e le figlie, dando a fuoco la villa. Una strage.
  Il parroco, forse per timore di ritorsioni, non volle benedire i corpi delle vittime. Il mattino dopo Robert uscì dal bosco fuori di sé. Vagava per strada, urlando: “Sono io Einstein, uccidete me”. Non si riprese mai dal dolore. Un anno dopo, il 13 luglio del 1945, giorno dell’anniversario del matrimonio con Nina, a guerra ormai finita da oltre due mesi, si suicidò. La sua vicenda colpì molto anche Albert, che era legato al cugino da tenero affetto.
  Ma la tragedia degli Einstein italiani, come ha ricostruito Camillo Arcuri, non era terminata. Per ragioni di realpolitik – la guerra fredda in atto in Europa e la volontà dell’Occidente di non infierire sula Germania – l’Italia insabbiò i risultati dell’inchiesta alleata sull’eccidio, come attesta il carteggio desecretato tra il ministro degli Esteri di allora, Gaetano Martino, e il ministro della Difesa, Paolo Emilio Taviani: “Le prove raccolte già a partire dall’autunno 1944 dalle autorità militari americane e inglesi – si legge nella corrispondenza – non sono state prese in considerazione dalle Autorità di Roma per un riguardo politico nei confronti della Germania”, che era entrata nella Nato.
  E così le carte dell’inchiesta sulla strage di Rignano sull’Arno finirono tra i 695 fascicoli riguardanti le stragi nazifasciste nell'Italia del 1943-1945, occultati nel cosiddetto armadio della vergogna, scoperto nel 1994 in un locale di Palazzo Cesi presso la sede della procura generale militare a Roma. Sulla morte degli Einstein italiani era calato un colpevole silenzio. Nei confronti del quale il libro di Arcuri costituisce un formidabile atto di accusa.

(Il Mattino, 23 settembre 2015)

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