Monuments Men. Gli eroi che salvarono l'arte da Hitler
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di Mario Avagliano
George Clooney, in qualità di produttore, ha già pensato di trarne un film. E chissà, forse si ritaglierà anche un ruolo da protagonista. La storia in realtà è intrigante. Una via di mezzo tra Indiana Jones e Salvate il soldato Ryan. Dal 1943 al 1951, nel pieno della seconda guerra mondiale e anche dopo la fine delle ostilità, un manipolo di militari alleati, reclutati tra direttori di musei, artisti, archivisti, studiosi dell’arte, bibliotecari e architetti, con l’aiuto di francesi, italiani e anche di qualche tedesco illuminato, salvò alcuni dei capolavori dell’Occidente, come la Gioconda di Leonardo e la Madonna di Bruges di Michelangelo, recuperandoli e sottraendoli al saccheggio dei nazisti o alla distruzione.
La seconda guerra mondiale è stato il conflitto più devastante nella storia dell’umanità. Le principali città dell’Europa furono ridotte in macerie dai bombardamenti, con un numero di vittime impressionante. Eppure il museo Louvre a Parigi e la Cappella Sistina a Roma sono ancora lì, intatti. Come hanno fatto così tanti monumenti e opere d’arte a sopravvivere alla guerra e alla furia nazista?
Gli eventi principali del conflitto, Pearl Harbor, lo sbarco in Normandia, l’offensiva delle Ardenne, la battaglia di Stalingrado, la Shoah, la Resistenza al nazifascismo, sono entrati a far parte della nostra coscienza collettiva, così come i libri e i film (da Roma città aperta a Schindler’s List) e gli scrittori, gli attori e i registi (da Hemingway a Spielberg) che ci hanno fatto rivivere quei momenti epici o drammatici.
Ma è poco nota la vicenda di quel gruppo di circa 350 uomini e di donne di tredici nazionalità diverse, quasi tutti di mezza età, che, come afferma lo storico americano Robert Edsel, “hanno letteralmente salvato il mondo come lo conosciamo”. Persone senza mitra o carri armati, che non solo ebbero la lungimiranza di comprendere la gravissima minaccia che incombeva sulle opere d’arte, ma si schierarono anche in prima linea per evitarla.
Questi eroi sconosciuti erano i Monuments Men, come s’intitola il libro dello stesso Edsel, vale a dire «gli uomini della Monumenti», che prestarono servizio nella MFAA (Monuments, Fine Arts, and Archives), la sezione Monumenti, belle arti e archivi dell’esercito anglo-americano. All’inizio la loro responsabilità era limitare i danni al patrimonio artistico dovuti ai combattimenti, soprattutto quelli agli edifici storici: chiese, musei e monumenti. Con l’estendersi del conflitto, quando si varcò il confine tedesco, la loro missione si incentrò principalmente sulla localizzazione di opere d’arte trasportabili e altri beni trafugati dai nazisti o comunque dispersi.
Durante l’occupazione dell’Europa, infatti, i tedeschi avevano messo a segno il più grande furto della storia, confiscando oltre cinque milioni di opere d’arte e trasferendole nel Terzo Reich. Nell’agosto 1942 il feldmaresciallo Hermann Goering (che aveva una vera e propria ossessione per i quadri di Vermeer) dichiarò: “Una volta lo si chiamava saccheggio. Ma oggi le cose devono avere un aspetto più umano. A onta di ciò, io intendo saccheggiare, e intendo farlo in maniera totale”. Il sogno di Adolf Hitler era di edificare a Linz, in Austria, la più grande esposizione permanente d’arte dell’universo, tanto che commissionò al suo architetto Albert Speer il plastico del progetto e se lo portò nel suo bunker a Berlino.
In quegli anni gli uomini e le donne della MFAA condussero la più grande caccia al tesoro della storia, ricca di episodi grotteschi e straordinari. Fu anche una corsa contro il tempo, perché quando il Führer capì di aver perso la guerra, lanciò l’Operazione Nerone, che prevedeva tra l’altro di distruggere con gli esplosivi i tesori confiscati. E, nascosti in luoghi incredibili (castelli inaccessibili sulle Alpi o la miniera di Bernterode in Turingia, cinquecento metri sotto terra), c’erano decine di migliaia dei più importanti capolavori dell’umanità, incluse opere di Leonardo, Vermeer, Rembrandt, Picasso, Michelangelo e Donatello.
A questo libro, che riguarda in particolare le operazioni dei Monuments Men nel Nord Europa (in Francia, Germania, Austria e Paesi Bassi), ne farà seguito un altro, già annunciato da Edsle, in cui si narreranno le peripezie degli ufficiali Deane Keller e Frederick Hartt (americani) e John Bryan Ward-Perkins (inglese) durante il loro difficile incarico in Italia.
Una vicenda, quella della task force “italiana”, già raccontata di recente da Ilaria Dagnini Brey nel libro Salvate Venere! (Mondadori, pp. 328, euro 21). Anche nel nostro Paese, da Palermo a Napoli, da Montecassino alla Toscana e poi al Nord Italia, i Monuments Men percorsero centinaia di chilometri ispezionando chiese, ville e edifici storici, musei e gallerie, localizzando le opere in pericolo e trasferendole al sicuro, talvolta in modo rocambolesco. Una missione per salvare i simboli della civiltà occidentale.
(Il Messaggero, 25 marzo 2013)