Intervista a Gabriele Del Mese, progettista
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di Mario Avagliano
Forse non c’era bisogno di scomodare l’architetto catalano Oriol Bohigas, per riprogettare l’assetto urbanistico di Salerno. C’è un ingegnere ebolitano che ha costruito grandi opere in Germania, in Inghilterra, in Iran, in Libia, ed è un punto di riferimento per i più grandi architetti del mondo. Si tratta di Gabriele Del Mese, amministratore delegato dell’Arup Italia, sezione italiana di una delle più importanti società di progettazione del mondo, che in questi mesi è impegnata nella realizzazione della nuova stazione dell'alta velocità di Firenze e del Palahockey per le Olimpiadi 2006 di Torino. Del Mese, in trentacinque anni di esperienza professionale, non ha mai lavorato nelle sue zone di origine, se non agli esordi. Da Milano, applaude alla svolta urbanistica di Salerno dell’ultimo decennio, ma avverte: “La zona che va da Eboli a Pontecagnano ha subito uno sviluppo caotico e disordinato, e si trova in uno stato di forte degrado. Bisognerebbe avere il coraggio di abbattere le case abusive e di ridisegnare il territorio”.
Com’era Eboli quando lei era bambino?
Ho lasciato Eboli quando avevo tredici anni e i miei ricordi sono un po’ sbiaditi. Fin da allora mi piaceva passeggiare nella parte antica della città e frequentare la piazza centrale, che era stata pianificata con grande lungimiranza negli anni Trenta, quando l’abitato di Eboli cominciò ad espandersi fuori dalle mura medioevali. Una piazza che trovo tuttora bellissima, e addirittura unica nel circondario.
Unica?
La piazza di Eboli è interessante dal punto urbanistico, con la sua forma ad ellissi, simile nella concezione a Piazza del Popolo a Roma. E poi, rappresenta una prova concreta di quanto la nostra professione possa influenzare la vita delle persone. A Battipaglia, a Pontecagnano e nelle altre città vicine, manca un’opera del genere, voglio dire un’agorà, un centro di ritrovo delle persone, dove divertirsi, filosofeggiare, incontrarsi, scambiare opinioni, prendere decisioni.
Come mai andò via da Eboli?
Qualcuno disse a mio padre che questo ragazzino aveva delle potenzialità, e allora m’impacchettarono e mi spedirono in un collegio in Piemonte, gestito dai salesiani.
Il distacco dalla sua città fu difficile?
A tredici anni, quando lasci la mamma, gli amici, la famiglia, sei preda di sentimenti contrastanti, un misto di trauma e di voglia di avventura. Con il senno del poi, sono grato ai miei genitori. Studiare in collegio, mi ha dato metodo e disciplina e mi ha insegnato a perseguire con rigore i miei ideali.
Il terzo liceo, però, l’ha frequentato ad Eboli.
E’ vero. Ed è stato per me un anno indimenticabile. Ho avuto la fortuna di far parte di una classe eccezionale. Sono nate amicizie che coltivo tuttora ferocemente, con grande affetto e con cura.
Quando nacque la sua passione per il progettare, per il costruire?
Subito dopo il diploma di maturità, quando mi trovai di fronte alla scelta dell’università. Molti miei amici si iscrissero a medicina, alcuni a giurisprudenza e altri ancora ad architettura. Io ero indeciso tra ingegneria e architettura. Poiché in Italia c’è la convinzione che l’ingegnere edile trovi più facilmente lavoro e sia - in fondo - anche un po’ architetto, alla fine optai per ingegneria.
Quali sono state le sue prime esperienze di lavoro?
Ho iniziato a Salerno, all’inizio degli anni Settanta, con l’ingegnere Matteo Guida, che fu uno dei primi a fidarsi di me. Mi coinvolse nella parte ingegneristica della progettazione di un paio di ospedali della provincia. Mi ha insegnato i rudimenti della professione, anche se poi, quasi subito, la mia forte ambizione mi spinse all’estero.
Come fece ad essere assunto dallo studio Arup?
Fu grazie a un colloquio un po’ garibaldino presso la sede centrale di Londra. Era il 1973 e lo studio Arup era famoso a livello mondiale, perché stava ultimando il Teatro dell’Opera di Sidney, un’opera fondamentale di ingegneria del Novecento. Io mi presentai spavaldamente, portando con me tre pubblicazioni sulla scienza delle costruzioni che avevo scritto all’Università di Padova e che andavano a ruba nella facoltà. Non conoscevo l’inglese e affrontai un colloquio di due ore armato solo della mia matita... Fu una vera sorpresa apprendere che mi offrivano un posto.
Da allora lei per anni ha vissuto in Inghilterra, spostandosi in Germania, Libia, Kuwait, Iran, Irak, Arabia Saudita e Filippine per seguire la realizzazione delle opere progettate. Qual è stata l’esperienza più bella?
Gli inizi sono stati entusiasmanti. Fui immediatamente coinvolto nella progettazione ingegneristica della nuova università della Libia e, di lì a poco, diventai capo progetto. Poi lavorai in Iran e in Arabia Saudita. Per un giovane ingegnere di trent’anni girare il mondo e costruire grandi opere, era la realizzazione di un sogno.
Qual è l’opera di cui va più fiero?
Citerei almeno tre progetti: la Chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, la Banca Commerciale di Francoforte e il Museo vicino a Cambridge, a Duxford, in Inghilterra, che fu inaugurato dalla Regina Elisabetta.
Di solito i cervelli italiani fuggono all’estero. Lei è uno dei pochi casi di intellettuali famosi ritornati in Italia. Come mai?
Negli anni Novanta, mi sono trovato di fronte a una scelta. O chiudere la mia carriera professionale a Londra, dove ho famiglia e ho una casa, oppure accettare una nuova sfida: tornare in Italia e dare il mio contributo a rilanciare la nostra professione, dopo il terribile scandalo di Tangentopoli, che ha infangato il mondo delle costruzioni. Ho iniziato ad accettare offerte da parte delle università italiane di tenere conferenze o lezioni, e dall’incontro con gli studenti, è nata l’idea di fondare una sede italiana dell’Arup, a Milano.
E’ vero che al suo studio a Milano da’ la precedenza ai ragazzi del Sud?
Nel mio studio c’è una netta preponderanza di professionisti del Mezzogiorno, in particolare della Sicilia e della Campania. Io sono del parere che bisogna sempre aiutare le persone capaci, ho seguito questo principio anche quando ero a Londra, e i giovani ingegneri e architetti meridionali hanno spesso grande talento.
Lei è un propugnatore dell’approccio multidisciplinare alla progettazione. Ci spiega di che cosa si tratta?
La società moderna è sempre più complessa. Qualsiasi opera, per poter essere realizzata, ha bisogno di un’équipe costituita, oltre che da ingegneri, anche da architetti, geologi, impiantisti ecc. Io credo che l’approccio multidisciplinare sia una necessità.
Quali sono i progetti a cui sta lavorando in questo momento?
I progetti principali che la Arup Italia ha in corso sono la nuova stazione dell'alta velocità di Firenze, il Palahockey per le Olimpiadi 2006 di Torino e il recupero dei Mercati Generali di Roma. Tre opere importanti, che sto seguendo personalmente.
Lei è stato di recente a Salerno. Che impressione le ha fatto dal punto di vista urbanistico e architettonico?
Trovo che la parte storica intorno al Duomo sia un vero gioiello. Fino a Mercatello, anche il resto della città si sviluppa bene. Oltre, invece, c’è caos e disordine.
In effetti la fascia di territorio che va da Pontecagnano a Eboli è in stato di forte degrado.
Se si percorre la statale, ci si accorge che non c’è soluzione di continuità tra un centro urbano e l’altro. Ai tempi in cui ero un giovane ingegnere, quelle città avevano un inizio e una fine, adesso hanno perso la propria identità e sono caratterizzate da orribili periferie. Nella campagna e sul lungomare sono spuntate centinaia di case abusive, che bisognerebbe avere il coraggio di abbattere. L’unica eccezione è Eboli, che ha un bel centro storico e, come dicevo prima, una bella piazza. Ho preso una casetta vicino al Castello di Eboli e ci vado volentieri, molto più che in passato. Ma fuori dal centro, anche la periferia di Eboli è un disastro.
Il Comune di Salerno ha chiamato un grande architetto come Bohigas per riprogettare la città. Che ne pensa?
Tutto il bene possibile. Nella mia esperienza ho imparato che chi viene da fuori, ha una mente più libera da pregiudizi e può dare un grande contributo progettuale, senza essere condizionato da vincoli locali.
Le piacerebbe realizzare un’opera a Salerno o a Eboli?
Mi piacerebbe moltissimo, ma ad alcune condizioni: la credibilità del progetto, lo snellimento delle procedure e l’assunzione di un chiaro impegno a perseguire fino in fondo l’obiettivo prefissato. Non è concepibile che un progetto abbia un iter così lungo come avviene nel nostro Mezzogiorno!
(La Città di Salerno, 7 novembre 2004)
Scheda biografica
Gabriele Del Mese è nato a Eboli l’8 novembre del 1939. E’ amministratore delegato dell’ufficio di Arup Milano, oltre ad essere uno dei direttori di Arup Group. Ha frequentato il liceo Classico a Torino ed Ingegneria Civile all’Università di Padova. Dopo un iniziale periodo professionale in Italia, è entrato in Arup nel 1973. Durante la sua carriera internazionale all’interno della società, è stato responsabile per la progettazione e la costruzione di un gran numero di progetti ampi e complessi, inclusi ospedali, università, teatri, impianti sportivi, edilizia terziaria ed edifici industriali. Ha tenuto conferenze in tutto il mondo, ha partecipato a numerose pubblicazioni ed è un fautore entusiasta dell’approccio multidisciplinare alla progettazione. Nel 2000 è tornato in Italia, aprendo a Milano una sede del Gruppo Arup, una fondazione internazionale che conta oltre settemila professionisti. E’ membro della Institution of Structural Engineers, ingegnere abilitato sia in Italia che nel Regno Unito e membro dell’Ordine degli Ingegneri di Salerno. Fra i progetti attuali e recenti in cui è coinvolto, vanno ricordati: il Palahockey per le Olimpiadi 2006 di Torino; la Stazione della TAV, Firenze, la Sede de Il Sole 24 Ore, Milano; il Central Park, Schio; l’American Air Museum, Duxford, UK; il Commerzbank HQ, Frankfurt.