Il partigiano con le stellette conquista il Premio Fiuggi

Doppio prestigioso riconoscimento per il giornalista e scrittore Mario Avagliano. Il partigiano Montezemolo, suo ultimo lavoro uscito nelle librerie la scorsa primavera con Dalai Editore, si aggiudica infatti il Premio Fiuggi Storia 2012 promosso dalla Fondazione Levi Pelloni e il premio Gen. Div. Amedeo De Cia dell'istituto bellunese di ricerche storiche e culturali. Un risultato molto significativo che testimonia il valore di un'opera che ha contribuito a far emergere dall'oblio un protagonista della Resistenza a lungo dimenticato come il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo.
A Mario Avagliano, che i lettori conoscono grazie anche agli interventi che ogni settimana regolarmente appaiono a sua firma su questo notiziario, un sincero e affettuoso mazal tov da parte di tutta la redazione del portale dell'ebraismo italiano.

(L’Unione Informa, 14 settembre 2012)

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Il 9 novembre al Museo Storico della Guardia di Finanza presentazione "Il partigiano Montezemolo"

  Domani 9 novembre, presso il Museo Storico della Guardia di Finanza a Roma (Piazza Mariano Armellini 20), alle ore 17.30, sarà presentato il libro “Il partigiano Montezemolo” (Dalai editore) di Mario Avagliano, storico dell’Irsifar, giornalista e vicepresidente dell’Anpi Roma, giunto in poche settimane alla seconda edizione e vincitore del Premio Fiuggi Storia 2012 e del Premio “Gen. De Cia” sui libri di storia militare. Una biografia minuziosa e commovente del capo della resistenza militare dell’Italia occupata, che agiva nella Roma del 1943-44 e morì alle Fosse Ardeatine.

Intervengono Felice Cipriani, giornalista e saggista, e il capitano Gerardo Severino, direttore del Museo Storico della Guardia di Finanza. Sarà presente l’autore, Mario Avagliano.

IL LIBRO

Un mese dopo la liberazione di Roma, il generale Alexander, capo delle Forze Alleate in Italia, inviò una lettera privata alla marchesa Amalia di Montezemolo, moglie del colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo esprimendole profonda ammirazione e gratitudine per l’opera del marito.
Chi era questo colonnello di origine piemontese e di nobile lignaggio (imparentato con Luca Cordero di Montezemolo), ufficiale dello Stato Maggiore dell’Esercito, segretario particolare di Badoglio dopo il 25 luglio 1943, e quale ruolo svolse il Fronte Militare Clandestino di Roma (FMCR) da lui guidato nella guerra contro i tedeschi?
La vicenda del partigiano con le stellette Montezemolo, militare di carriera, monarchico convinto, anticomunista ma in ottimi rapporti con Giorgio Amendola, costituisce un esempio significativo sotto diversi aspetti di come la storiografia abbia per troppo tempo oscurato o sottovalutato personaggi e movimenti della Resistenza di matrice moderata.
Colmando tale lacuna, il saggio di Mario Avagliano Il partigiano Montezemolo (Dalai editore), giunto in poche settimane alla seconda edizione e vincitore del Premio Fiuggi Storia 2012 e del Premio “Gen. De Cia” sui libri di storia militare, ricostruisce la vita di questo valoroso ufficiale attraverso un certosino lavoro di ricerca negli archivi dello Stato Maggiore dell'Esercito, l’intervista di vari testimoni dell'epoca, l’analisi di centinaia di documenti, saggi e libri di memoria, molti dei quali inediti o rari e introvabili, e la consultazione degli archivi familiari, dal cardinale Andrea Montezemolo alla marchesa Adriana Montezemolo fino al primogenito Manfredi e ai nipoti Carlo, Saverio e Ludovica Ripa di Meana.
Ripercorrendo le tappe della vita di Montezemolo – dalla Grande Guerra alla Guerra di Spagna, al suo ruolo nel secondo conflitto e nel colpo di stato che destituì Mussolini e poi come capo della resistenza militare in Italia e a Roma, fino alla tragica morte alle Fosse Ardeatine – il libro contempera l’efficace ritratto storico del Paese con la commovente storia familiare di un padre, marito e militare, descrivendo con efficacia l’abbaglio di una generazione di italiani per il fascismo e il loro riscatto durante la Resistenza.
Il Fronte Militare Clandestino di Montezemolo agì anche in Toscana e nella Maremma, con il Raggruppamento Monte Amiata.
La biografia è corredata da alcuni documenti e da un apparato iconografico di fotografie del personaggio e dei familiari. La prefazione è a cura di Mimmo Franzinelli.
Il saggio di Avagliano ha un andamento narrativo ed è anche piacevolissimo da leggere. Come ha scritto Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera, Il partigiano Montezemolo è: “Un romanzo ‘ non romanzato’, che svela un eroe italiano di prima grandezza”.

Mario Avagliano, giornalista e storico, è membro dell'Istituto Romano per la Storia d'Italia dal Fascismo alla Resistenza (Irsifar), della Società Italiana per gli Studi di Storia Contemporanea (Sissco) e del comitato scientifico dell’Istituto “Galante Oliva”, e direttore del Centro Studi della Resistenza dell'Anpi di Roma-Lazio. Collabora alle pagine culturali de «Il Messaggero» e de «Il Mattino». Ha pubblicato tra l’altro: Muoio innocente. Lettere dei caduti della Resistenza romana (Mursia, 1999); Generazione ribelle. Diari e lettere 1943-1945 (Einaudi, 2006); Gli internati militari italiani (Einaudi, 2009); Gli ebrei sotto la persecuzione in Italia (Einaudi, 2011), Voci dal lager (Einaudi, 2012).

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Via Tasso: la storia non deve chiudere. Il museo della Liberazione di Roma in via Tasso è a rischio chiusura

di Stefania Miccolis

Il museo storico della Liberazione in via Tasso a Roma é in serie difficoltà economiche «Se non riusciamo ad approvare il bilancio preventivo del 2013 - dice il presidente Antonio Parisella - il museo verrà commissariato». Nella legge istitutiva che risale al 1957, è scritto che il Museo deve rappresentare la lotta di liberazione a Roma dall'8 settembre 1943 al 4 giugno 1944, «ma si occupa di totalitarismi, di lotte di Resistenza, di antifascismo; nella nostra biblioteca, nell'archivio, nella mediateca c'è materiale a tutto campo su tali argomenti, e comprende anche documentazione di paesi esteri: vi sono diari della campagna in Russia, fotografie sul fronte greco. Ha il compito di fornire, raccogliere e conservare materiale su tutta l'esperienza di antifascismo».
Numeroso è il pubblico che ogni anno lo visita, dalle 13mila alle 15mila persone, e sempre più crescente è quello straniero. Le scuole vengono in visita con le loro classi gratuitamente. Gli studenti universitari fanno ricerche per le loro tesi e studiosi italiani e stranieri usufruiscono della biblioteca e degli archivi. Per citare solo due casi: Mario Avagliano ne ha tratto il libro Il partigiano Montezemolo (Dalai editore, 2012) e Robert Katz vi scrisse Roma città aperta: Settembre 1943 - Giugno 1944 (II Saggiatore) presentato in anteprima al Museo in segno di gratitudine.
«Ma tutto questo e i progetti ancora da realizzare verrebbero vanificati se ci fosse il commissariamento - prosegue Parisella -. Un commissario non può contare su quelle solidarietà che sono legate al nostro modo di essere: noi abbiamo relazioni di vertice e di base, non solo a Roma; abbiamo contatti con decine di gruppi, di associazioni di quartieri, centri sociali, centri per anziani, scuole, e collaborazioni con tutte le regioni italiane. E un commissario, per quanto bravo, non ci riuscirebbe: questa rete non si improvvisa! Anche il gruppo di volontari che lavora con noi di fronte a una situazione commissariale si troverebbe a disagio».
Diciotto sono i volontari di alta qualificazione, insegnanti in pensione, persone che si dedicano con grande passione, e ogni anno il gruppo si aggiorna anche con giovani. Poche le cifre simboliche date per incarichi di amministrazione, per l'archivio e la biblioteca; le risorse servono o per investimenti di ricerca o per il funzionamento della struttura. «Due anni fa la Regione cou una legge si impegnò con 25mila euro e il Comune con 12mila euro. Questi soldi erano stati messi in bilancio per il 2013, ma non sono stati erogati e le attuali amministrazioni, per le note vicende finanziarie, non sono in grado di fare fronte alle necessità entro il 31 dicembre».
II Museo deve trovare 37mila euro in poco più di un mese. Nel loro sito vi è una sottoscrizione aperta «e i nostri amici in Italia sono molti e si mobilitano sempre; ma se facessero una sottoscrizione fra i parlamentari e i consiglieri regionali del Lazio, il contributo sarebbe consistente, anche dal punto di vista morale: sarebbe un esempio». Il presidente Parisella sa benissimo che in questo momento gli istituti non possono soccorrersi l'un l'altro con il poco che viene dato loro. Inoltre è difficile coinvolgere qualsiasi ufficio ministeriale o dell'amministrazione locale con i grossi problemi finanziari e politici che hanno. Spera che il governo rifaccia una legge di rifinanziamento del Museo per ottenere l'autonomia economica: «Abbiamo inviato una richiesta al Ministro della cultura per sistemare la situazione futura del Museo e per fare una legge che permetta almeno di stare tranquilli. Ma bisognerà aspettare». Hanno un importante progetto da realizzare nel 2014 per conto della Presidenza del consiglio dei ministri: si chiama «Museo diffuso della Resistenza italiana» e si tratta di «un coordinamento, tramite un portale, degli oltre 160 musei della Resistenza che esistono in Italia. Si realizzeranno collegamenti, percorsi, un modo di comunicare in Italia e all'estero». Hanno poi progetti di pubblicazioni: un album con testi e fotografie della mostra di donne resistenti, perché venga usato nelle scuole; e un volume con il diario della campagna in Russia e i documenti autobiografici sulla Resistenza, lasciati dall'ex direttore del Museo Arrigo Paladini. «Le risorse per il 2014 ci sono, ma non quelle per quest'anno». Il Museo storico della Liberazione di Roma va salvato; Calderoli lo aveva barbaramente inserito nell'elenco degli enti inutili, ma è una preziosa fonte di storia, e non va né persa, né dimenticata.

Pubblicato su L'Unità del 5 novembre 2013

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Adriana Montezemolo: mio padre eroe dimenticato della Resistenza

di Dino Messina

 
“L’ultima volta che vidi mio padre era il Capodanno del 1944. I baroni Scammacca del Murgo, coraggiosi amici, correndo gravi rischi, ci avevano ospitati al nostro rientro a Roma e avevano organizzato quell’attesa riunione familiare”.
Adriana Cordero Lanza di Montezemolo, ultimogenita del colonnello Giuseppe Montezemolo, il capo del Fronte militare clandestino, ricorda con tratti veloci e precisi la figura del padre, medaglia d’oro, eroe della Resistenza, massacrato alle Fosse Ardeatine nel pomeriggio del 24 marzo 1944, assieme agli altri 334 prigionieri politici, ebrei, detenuti comuni che erano stati prelevati dalla prigione nazista di via Tasso e da Regina.
Nella casa che da molti anni condivide con Benedetto Della Chiesa, nipote di Papa Benedetto XV, in una tenuta agricola che corre proprio lungo la via Ardeatina, Adriana di Montezemolo custodisce memorie importanti, avendo ereditato dalla madre Juccia (Amalia), scomparsa nel 1983, la missione di ricordare quel padre importante, figura centrale della Resistenza, che tuttavia per oltre mezzo secolo è stato tenuto fuori dalla storiografia ufficiale. “Abbiamo avuto infinite manifestazioni di affetto private e ufficiali, culminate in una medaglia d’oro, ma è vero per molto tempo del ruolo di mio padre s’è parlato molto poco. Forse perché noi siamo una famiglia di militari, abituati ai fatti. Certo, mi fece grande piacere leggere nel 2003, sul ‘Corriere della sera’, un articolo di Paolo Mieli in cui diceva che era il momento di far entrare il colonnello Montezemolo nei libri di storia. Meno di dieci anni dopo è arrivata la biografia di Mario Avagliano, ‘Il partigiano Montezemolo’ (Dalai editore) che colmava una lacuna”.
Adriana Montezemolo parla veloce, talvolta si interrompe e si alza per mostrare un cimelio importante, i biglietti del padre dalla prigione di via Tasso, la lettera di ringraziamento del generale Harold Alexander, comandante degli eserciti alleati in Italia, alla mamma Juccia per l’opera insostituibile svolta dal capo delle Forze militari clandestine a Roma, la foto che ritraeva la famiglia per l’ultima estate spensierata a Forte dei Marmi: ci sono il primogenito Manfredi, classe 1924, che aiutò il padre nella lotta clandestina, il secondogenito Andrea, oggi cardinale, che lavorò con il medico Attilio Ascarelli dopo la liberazione di Roma a ricomporre i resti delle vittime delle Fosse Ardeatine, infine, assieme ad Adriana, le sorelle Lidia e Isolda.
Adriana nel dopoguerra si è laureata in fisica con Edoardo Amaldi, ma assieme al marito Benedetto, da cui ha avuto cinque figli, si è sempre occupata di agricoltura, organizzando una tenuta agricola in Kenia e poi dal 1960 seguendo le attività nelle campagne romane e del Viterbese. Le memorie della famiglia si intrecciano a quelle pubbliche. “Ci eravamo trasferiti a Roma da Torino nel 1940, quando mio padre era stato nominato colonnello, il più giovane con quel grado. Diceva che nell’esercito contano gli ufficiali con la c (caporale, come lui era stato nella prima guerra mondiale, capitano e colonnello) perché i più vicini alla truppa. Il papà era una persona affettuosa, ma come usava una volta riservata e severa. Aveva un’autorità eccezionale, tutti glielo riconoscevano, era un capo nato. Dopo la laurea in ingegneria e una breve parentesi di lavoro come civile a Genova, era rientrato nell’esercito dove aveva bruciato le tappe: volontario nella Guerra di Spagna, aveva poi compiuto almeno 16 missioni in Africa settentrionale dove era stato decorato con una medaglia d’argento”.
Fedele ai Savoia, il 19 luglio 1943 aveva accompagnato Mussolini all’incontro di Feltre con Hitler, dove il capo del fascismo non ebbe il coraggio di sostenere con il Fuehrer le ragioni di una pace separata. Fu allora che venne decisa la sorte del Duce e il colonnello Montezemolo ebbe una parte nel suo arresto. Consigliere militare di Badoglio, decise di restare a Roma dopo l’8 settembre per organizzare la difesa militare, quando la corte e tutte le alte cariche dell’esercito e del governo prendevano la via di Pescara. “La funzione di mio padre era di collegamento tra il governo legittimo del Sud e la Resistenza romana. Si era fatto paracadutare alcune radio ricetrasmittenti e comunicava agli Alleati gli spostamenti delle truppe tedesche e tutte le informazioni utili che riusciva ad ottenere”.
Per questo Herbert Kappler, il comandate delle SS di Roma, che poi lo avrebbe interrogato e torturato in via Tasso, lo considerava il nemico pubblico numero uno.
“Passammo quell’estate del 1943 in una tenuta di alcuni amici a Perugia. Mio fratello Manfredi che frequentava il collegio militare a Lucca ci raggiunse a piedi, Andrea invece era con noi. Dopo l’8 settembre nostro padre ci diede l’ordine di non muoverci, la situazione era molto pericolosa, ma non riuscimmo a trattenere Manfredi che andò a Roma in bicicletta e si unì all’organizzazione clandestina con documenti falsi. Nostro padre teneva le fila non soltanto delle forze militari clandestine ma coordinava i gruppi della Resistenza che si andavano formando. ‘Mai avrei pensato – diceva – io monarchico di collaborare e avere buoni rapporti con il comunista Giorgio Amendola”.
Giorgio Amendola, che diede l’ordine dell’attentato al battaglione SS Bozen in via Rasella, da cui scaturì la rappresaglia nazista delle Fosse Ardeatine. “Mio padre credeva alle forze armate clandestine spettasse l’azione di intelligence e il controllo in città. Alla Resistenza civile, che fu aiutata dal Fronte militare clandestino anche con il rifornimento di armi, erano riservate azioni di sabotaggio in campagna. Mio padre era molto preoccupato dalle rappresaglie e finché rimase in libertà riuscì a tenere il controllo della situazione. Dopo il suo arresto, il 25 gennaio 1944, dapprima i protagonisti della Resistenza si dileguarono nel timore che parlasse. Ma quando si accorsero che il colonnello Montezemolo riuscì a resistere alle torture, cominciarono le azioni dei Gap”.
Adriana Montezemolo era rimasta a Perugia con la mamma e le sorelle sino a fine dicembre 1943: “Il 27 dicembre venne a prenderci in macchina un maresciallo dei carabinieri di cui mio padre si fidava. Prima andammo un paio di giorni dai baroni Scammacca, quindi cominciammo a frequentare le scuole al collegio di Trinità dei Monti, dove anche mia madre viveva in una stanza del pensionato, mentre mio fratello Andrea era nel collegio ucraino. Mio padre e mia madre si incontravano il mercoledì in casa Scammacca verso le 14,30, poi di solito uscivano per una passeggiata a Villa Borghese cercando di non dare nell’occhio. All’ultimo incontro, credo il 19 gennaio, tre giorni prima dello sbarco di Anzio, mio padre disse alla mamma che se gli americani non arrivavano a Roma lui sarebbe stato preso. Si sentiva braccato, aveva cinque polizie alle calcagna. La settimana successiva la mamma arrivò prima all’appuntamento, ma attese inutilmente. Arrivò invece mio fratello Manfredi con la notizia che il papà il 25 era stato arrestato”.
Chi era stato a parlare, a fare la delazione, a rivelare che sotto i baffi a manubrio del “professor Giuseppe Martini” si nascondeva il capo della Resistenza militare clandestina? “Ci sono state varie voci, potrei dire dei nomi, ma la verità non si saprà mai. Speravamo che il papà non fosse finito nelle mani delle SS. Una persona terribile, che dava informazioni cercando di carpire denaro, ci disse che lo aveva visto a Regina Coeli, tranquillo che giocava a carte. Strano, pensammo, il papà non gioca a carte”.
Era invece nelle mani di Kappler nella prigione di via Tasso, dove venne torturato per giorni. Nelle stesse stanze, oggi diventate museo, sono esposti gli abiti del prigioniero Montezemolo: una camicia con le cifre, un maglione inglese di marca Wolsey, la giacca e i pantaloni sdruciti.
“Una cugina si era offerta di portare un po’ di biancheria. Dalla prigione di via Tasso filtrarono tre biglietti di mio padre, poi il silenzio. Fino al 25 marzo, quando una donna mostrò a mia madre una pagina del ‘Messaggero’ con la notizia che alle Fosse Ardeatine erano stati giustiziati comunisti e badogliani… Vivemmo nell’angoscia e nella speranza anche dopo aver ricevuto la comunicazione tedesca che potevamo andare a ritirare in via Tasso gli effetti personali di nostro padre. Magari, qualcuno ci confortava, l’anno portato al Nord. Speravamo che l’intervento del Vaticano che avevamo sollecitato avesse avuto qualche effetto. Avemmo la certezza che il colonnello Montezemolo era morto nel peggiore dei modi alle fosse Ardeatine quando la mamma riconobbe alcuni effetti personali, tra cui la fede nuziale, raccolti alle Mantellate, nel luglio 1944, dopo la liberazione di Roma”.
Da allora è cominciata la meticolosa ricostruzione dei fatti, gli incontri che con la memoria rinnovavano il dolore. “In anni recenti, durante un dibattito a via Tasso mi è venuta incontro una signora, era Carla Capponi (la compagna di Rosario Bentivegna che partecipò all’attentato di via Rasella, ndr), mi raccontò che durante la Resistenza aveva incontrato mio padre che le aveva consegnato delle armi. Io la salutati, ma in maniera fredda. Forse ho sbagliato”.
L’ultimo ricordo di quella stagione terribile riguarda il capitato Eric Priebke, il collaboratore di Kappler e interprete delle SS che partecipò al massacro delle Ardeatine. “Arrestarlo in anni recenti – dice Adriana sorprendendoci – è stato un errore. Non l’ho conosciuto ma ho avuto con lui una corrispondenza epistolare attraverso il suo avvocato Paolo Giachini. Gli chiesi se avesse conosciuto mio padre. Mi rispose che non l’aveva mai incontrato. Strano, per uno che faceva l’interprete in via Tasso. Ma perché non dovrei credergli?”.
 
(Il Corriere della Sera,  23 marzo 2015)
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