Vincere e vinceremo, lo specchio dell'Italia fascista che fu
di Enrico Zuccaro
(Relazione letta in occasione della presentazione del volume svoltasi a Ceccano il 31 gennaio 2015)
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di Enrico Zuccaro
(Relazione letta in occasione della presentazione del volume svoltasi a Ceccano il 31 gennaio 2015)
di Mario Avagliano
Nei due anni tragici di Salò e dell’occupazione tedesca del centro nord dell’Italia, numerosi italiani si prestarono ad essere “volenterosi” carnefici dei loro connazionali ebrei. La retata a Venezia del 5 dicembre 1943, ad esempio, fu condotta da poliziotti, carabinieri e volontari del ricostituito partito fascista. E almeno la metà degli arresti degli ebrei poi deportati ad Auschwitz e in altri Lager fu opera di italiani, senza ordini o diretta partecipazione dei tedeschi.
A ricordarcelo, con un agile e documentato saggio pubblicato da Feltrinelli, è Simon Levis Sullam, professore di Storia Contemporanea presso l'Università Ca' Foscari di Venezia, in I carnefici italiani. Scene dal genocidio degli ebrei, 1943-1945 (pp. 150), il cui titolo rimanda volutamente a quello del saggio di Goldhagen, "I volonterosi carnefici di Hitler", che ha riaperto la questione sulla responsabilità dei tedeschi (e non solo dei nazisti) nella Shoah.
Anche dopo l’armistizio, l’Italia non rimase “al di fuori del cono d’ombra dell’Olocausto” e accanto ai giusti e ai salvatori, vi furono purtroppo tanti persecutori. Nel libro, oltre che delle responsabilità degli apparati dello Stato e degli uomini di partito, ci si occupa fra l’altro del ruolo dei delatori, che non furono solo fascisti convinti ma anche semplici civili, quasi sempre per motivi di soldi. E perfino alcuni ebrei, come il triestino Mauro Grini, che tra Trieste, Venezia, Milano identificò e denunciò un migliaio di ebrei ("anche di più" - si vantava) dietro lauti pagamenti, e la romana Celeste Di Porto.
(L'Unione Informa e Moked.it del 24 febbraio 2015)
di Dino Messina
LA BIBLIOTECA
di Giorgio Dell'Arti
Soldati di stanza in Africa
Assalto. «Caro Mario, con ogni probabilità domani mattina all'alba si va all'assalto; se la va bene sarà una magnifica esperienza di vita, se la va male farò la morte più bella che un italiano di vent'anni oggi possa fare» (lettera al fratello del lombardo Cesare Tosi, caduto a vent'anni in Albania, il 20 gennaio 1941).
Lettere. Durante il primo anno di guerra, 9.285.000 lettere.
Censura. Gli uomini impiegati a controllare la corrispondenza esaminavano mediamente 150-200 lettere al giorno.
Tipologie. Le lettere potevano essere bollate come "ammesse in corso", "ammesse in corso dopo censura parziale", da "sequestrare", da "incriminare".
Cretino. Scrive il capitano Luigi Guerrieri Gonzaga dell'artiglieria a cavallo il 21 febbraio 1942: «Mi secca molto che un cretino di censore abbia sporcacciato tutta una mia lettera per te; deve essere un gran fesso quel tale e gli farebbe bene un po' di Russia vorrei ritrovarlo quando rientreremo in Patria. lo sono sicuro di quanto scrivo; non metto mai nulla che possa anche lontanamente servire di indicazione o comunque essere "pericoloso"».
Familiari. I soldati, soliti rassicurare i propri familiari attraverso formule ricorrenti: «Sto bene», oppure «Non pensate a me» spesso accompagnate da invocazioni di tipo religioso.
Mussolini. Dal 1941, «Mussolini non lo sa» o «se la sapesse Mussolini».
Negroidi. I «maledetti» inglesi, gli americani «negroidi» e «dediti al vizio», i russi «senza Dio», gli arabi «sporchi e rozzi».
Inglesi. Gli inglesi, «i maledetti figli di Albione», «vigliacchi e farabutti», «soldati dai cinque pasti e dalla pancia troppo piena», «audaci fresconi che l'illusione ha voluto per un po' vittoriosi».
Tedeschi. Da una relazione del Comando generale dei Carabinieri del maggio 1941: «Negli ambienti militari la soddisfazione per i nostri successi viene sensibilmente temperata dalla considerazione che molto si deve all'apporto dato dalla potente azione delle forze tedesche».
Rapporto. Dalla lettera alla famiglia di un militare temano di stanza in Africa, datata 24 febbraio 1942, che di fronte alla richiesta di redigere un rapporto sul morale delle truppe, dopo aver lamentato che il partito chiede il pagamento della tessera anche ai militari richiamati e inviati al fronte, così si sfoga: «Vengano un po' a domandare ai nostri soldati ed avranno una risposta più che esauriente. È naturale che il rapporto non potrà che dire le solite cose; ma vengano pure tra i soldati e sentiranno. Posta che non arriva, pacchi che sono in giro da mesi e di cui non si ha notizia; se qualcuno ne arriva è ridotto al solo involucro; giornali che vengono distribuiti una volta al mese; un pasto al giorno, cotto al mattino alle io e mangiato alle 2 del pomeriggio. Tutto questo potrebbero rispondere i nostri soldati se venissero interrogati; ma siccome non lo saranno mai, tutto questo rimane sconosciuto e si parlerà soltanto dello spirito di sacrificio e del morale altissimo del soldato italiano».
Guerra. «Inutile andare in giro raccontando che la guerra fu voluta dal solo Mussolini e non dall'Italia. Certo il popolo italiano non volle la guerra, se si intende tutto il popolo. Ma i generali, gli ammiragli, i grossi industriali, gli alti burocrati, i senatori, i deputati, i professori d'università, i vescovi, gli arcivescovi, i cardinali, tutto quel lerciume accettò la guerra, e parecchi altri la vollero finché credettero che l'avrebbero vinta dato lo sfacelo militare che era già avvenuto in Francia e che si prevedeva imminente in Inghilterra [...] Bisogna, dunque, smetterla con questa balla che l'Italia non è responsabile» (Gaetano Salvemini, Lettera a E. Rossi e L. Valiani, io agosto 1946).
Notizie tratte da: Mario Avagliano e Marco Palmieri, Vincere e vinceremo! Gli italiani al fronte 1940-1943, Il Mulino, Bologna, pagg. 376, euro 25,00.
(Il Sole 24 Ore, Domenica, 29 marzo 2015)