Donne e uomini della Resistenza italiana: 2.878 biografie, regione per regione

Migliaia di ritratti delle donne e degli uomini dell’antifascismo, della Resistenza e della Guerra di Liberazione sul sito dell'Anpi nazionale. La più importante rassegna di biografie di antifascisti (2.878 al momento) esistente in rete, realizzata grazie al lavoro, alla passione e alle ricerche di Fernando Strambaci, giornalista, che a suo tempo fu giovanissimo sappista. 
Nella galleria, che ovviamente è una raccolta parziale, che viene incrementata periodicamente, sono comunque comprese tutte le Medaglie d’oro al valor militare della guerra di Liberazione, diciannove delle quali sono state conferite a donne. E' possibile effettuare la ricerca anche regione per regione.
"Queste biografie - si legge nel sito dell'Anpi - sono un omaggio a tutti coloro che in ogni tempo e in ogni condizione seppero mettere i valori della libertà e della democrazia al di sopra di ogni cosa, persino della incolumità propria e dei propri cari".
 
 
Il dabase dell'Anpi Roma (antifascisti e partigiani italiani, partigiani romani) -  a cura di Mario Avagliano
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Resistenza italiana, una bibliografia

a cura di Mario Avagliano e Gabriele Le Moli
 
Ecco una bibliografia dei testi più importanti relativi alla Resistenza italiana, nei suoi vari aspetti generali: storia, lettere e diari, memoria, immagini, documenti, letteratura, cinema, fumetto. Se ne volete segnalare qualcun altro, utilizzate l'opzione commento. Grazie.
 
Enciclopedie
    · AA.VV.Dizionario della ResistenzaPersonaggi, luoghi, organismi e formazioni, De Ferrari, 2008
    · AA.VV.Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza, voll. I-VI, Edizioni La Pietra, Milano-Roma 1968-1989
   · Collotti E. - Sandri R. - Sessi F.Dizionario della Resistenza. Storia e geografia della Liberazione, voll. I-II, Einaudi, Torino 2000-2001
   · Rendina M., Dizionario della Resistenza italiana, Editori Riuniti, Funo 1995

Resistenza
· AA.VV.Dalla Resistenza alla Costituzione. Unità didattiche, percorsi tematici, schede di lettura e di ricerca per le scuole, Nuovagrafica, Modena 1995
· AA.VV., Donne nella Resistenza. Una ricerca in corso, In "Italia contemporanea", n. 200, pp. 477-492, 1995
· AA.VV., Il Libro dei Deportati. I deportati politici, vol. 1, Mursia, Milano 2009
· AA.VV., La Resistenza delle donne, In Dialogo, 2010
· AA.VV.Missioni alleate e partigiani autonomi, L'arciere, Cuneo 1980
· AA.VV.Prigionieri in Germania. La memoria degli ex internati militari, Il filo di Arianna, Bergamo 1990
· AA.VV.Ribelli per amore. I cattolici e la Resistenza, Rubettino, 2007
· Addis Saba M.Partigiane. Tutte le donne della Resistenza, Mursia, Milano 1998
· Affinati R.Partigiani italiani (1943-1945), Chilemi, 2009
· Amico Nemico. Italia e Germania: immagini incrociate tra guerra e dopoguerra, atti del convegno, in "Storia e memoria", n. 1, pp. 7-147, 1996
· Anselmi T.Bella ciao. La Resistenza raccontata ai ragazzi, Biblioteca dell'immagine, 2004
· Avagliano M. - Le Moli G.Muoio innocente. Lettere di caduti della Resistenza a Roma, Mursia, Milano1999
· Avagliano M.Generazione ribelle. Diari e lettere dal 1943 al 1945, Einaudi, Torino 2006
· Avagliano M. - Palmieri M.Gli ebrei sotto la persecuzione in Italia. Diari e lettere 1938-1945, Einaudi, Torino 2011 (capitolo sulla Resistenza degli ebrei)
· Avagliano M. - Palmieri M.Gli Internati Militari Italiani. Diari e lettere dai lager nazisti 1943-1945, Einaudi, Torino 2009
· Avagliano M.Sud, la Resistenza dimenticata, in "Patria Indipendente", n. 4, 25 aprile 2001
· Bartolini A.Per la patria e la libertà. I soldati italiani all'estero nella resistenza, Mursia, Milano 1986
· Bartolini A. - Terrone A.I militari nella guerra partigiana in Italia 1943-1945, Sme Ufficio Storico, Roma 1998
· Battaglia R. - Garritano G., Breve storia della Resistenza italiana, Editori Riuniti, Roma 2007
· Battaglia R., Storia della Resistenza italiana, Einaudi, Torino 1964
· Bendotti A. - Bertacchi G.Memoria, mito e autorappresentazione nel dopoguerra: i partigiani, i prigionieri, in "Studi e ricerche di storia contemporanea", n. 45, pp. 5-27, Bergamo 1996
· Bendotti A. - Valtulina E.Internati, prigionieri, reduci. La deportazione militare italiana durante la seconda guerra mondiale, Stamperia Stefanoni, Bergamo 1997
· Bendotti A.Resistenza. Gli studi e le memorie, in "Settegiorni", 25 aprile 1999, Bergamo 1999
· Binachini A. - Lolli F.Letteratura e Resistenza, Clueb, Bologna 1997
· Bocca G., Storia dell’Italia partigiana, Laterza, Bari 1966
· Bonardi P., Scambi di prigionieri-ostaggi durante la lotta di liberazione, 1989-1990
· Bonfanti G.La Resistenza. Documenti e testimonianze, Ed. la Scuola, Brescia 1976
· Bontempelli M.La Resistenza italiana. Dall'8 settembre al 25 aprile. Storia della guerra di liberazione, Cuec editrice, 2006
· Bruzzone A.M - Farina R., La Resistenza taciuta, La Pietra, Milano 1976
· Calamandrei P., Uomini e città della Resistenza. Discorsi, scritti ed epigrafi, Laterza, Bari 2006
· Caruso F.Carabinieri d’Italia. Esempi, martirio, gloria, Hoepli, Roma 1948
· Casadio G.La guerra al cinema. I film di guerra nel cinema italiano, Longo Editore, Ravenna 1998
· Cavaglion A.La Resistenza spiegata a mia figlia, L'Ancora del Mediterraneo, 2008
· Cazzullo A.Viva l'Italia! Risorgimento e Resistenza: perché essere orgogliosi della nostra Nazione, Mondadori, Milano 2010
· Ceschin D.Biblioteca antifascista. Letture e riletture della Resistenza, Istresco, 2006
· Ceva B.5 anni di storia italiana (1940-1945), Comunità, Milano 1964
· Chessa P.Guerra civile 1943-1945- 1948. Una storia fotografica, Mondadori, Milano 2005
· Chiarini R.25 aprile. La competizione politica sulla memoria, Marsilio, 2005
· D'Alessandro S.Ausiliarie e partigiane, due mondi diversi, in "Studi e ricerche di storia contemporanea", n. 47, pp. 47-70, Bergamo 1997
· Dal Pra M.La Guerra partigiana in Italia, Giunti, Firenze 2009
· Donne tra nazifascismo, guerra e Resistenza, in "Storia e problemi contemporanei", n. 24, Ancona 1999
· Donolo L.La resistenza dimenticata. I militari italiani nei lager del Terzo Reich, Debatte, 2008
· Dossetti G.Costituzione e Resistenza, Sapere 2000, 2007
· Finetti U.La Resistenza cancellata, Ares, Milano 2003
· Focardi F.La guerra della memoria. La Resistenza nel dibattito politico italiano dal 1945 ad oggi, Laterza, Bari 2005
· Fossardi R.Donne, guerra, Resistenza tra scena politica e vita quotidiana, in "Italia contemporanea", n. 199, pp. 343-347, Milano 1995
· Franzinelli M.Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della resistenza 1943-1945, Mondadori, Milano 2005
· Fumarola A.Essi non sono morti. Le medaglie d’oro della guerra di Liberazione, Poligrafico, Roma 1945
· Gallerano N.La Resistenza tra storia e memoria, Mursia, Milano 1999
· Gamba A.Documenti sulla Resistenza italiana. I notiziari segreti del servizio informazioni dello Stato maggiore Esercito della Repubblica Sociale italiana, Apollonio, Brescia 1961
· Gaspa P.L. - Niccolai L.Per la libertà. La Resistenza nel fumetto, Settegiorni Editore, 2009
· Giacomini R. - Pallunto S.Guerra di resistenza, Errebi, Falconara 1997
· Giannini G., L’opposizione popolare al fascismo. Atti del convegno del 27-28 ottobre 1995, Centro Studi Difesa Civile, Edizioni QualeVita, Torre dei Nolfi 1996
· Ghigi G., La memoria inquieta. Cinema e resistenza, Libreria Editrice Cafoscarina, 2009
·  Giuntella V. E.Gli italiani nei lager nazisti, in "La Resistenza bresciana", n. 16, pp. 106-120, Brescia 1985
·  Grassi G.Guida agli archivi della Resistenza, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Roma 1983
· Hammermann G.Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, Il Mulino, Bologna 2004
·  I civili nella Resistenza, Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra, Roma 1995
· ICRS Napoli - G.i.s.c.coSchiavi allo sbaraglio. Gli internati italiani nei lager tedeschi di detenzione, punizione e sterminio, L'Arciere, Cuneo 1990
· Innocenti M.Fuggiaschi ed eroi. La lunga estate del '43, Mursia, Milano 2010
· Klinkhammer L.L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945, Bollati Boringhieri, Torino 1993
· Lajolo L.I percorsi della democrazia. Tracce di studio su Resistenza e Costituzione, Israt, Asti 1995
· La Marina militare nella Resistenza e nella guerra di Liberazione, Stato Maggiore della Marina, Roma s.d.
· Larat F.L'idea d'Europa e la resistenza al nazismo: la testimonianza della narrativa, in "Storia e memoria", n. 2, pp. 7-97, 1997
· La Resistenza del linguaggio nell'arte italiana, Ed. De Luca, Roma1995
· La Resistenza nel cinema italiano, Isrl Genova, Genova 1995
· Legnani M. - Vendramini F.Guerra, guerra di liberazione, guerra civile, Angeli, Milano 1990
· Liucci R.La tentazione della "casa in collina". Il disimpegno degli intellettuali italiani nella crisi del 1943-1945, in "Studi e ricerche di storia contemporanea", n. 47, pp. 11-46, 1997
· Longo L.Un popolo alla macchia, Mondadori, Milano 1947
· Luti G. - Romagnoli S.L’Italia partigiana, Longanesi, Milano 1975
· Malvezzi P. - Pirelli G.Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana, Einaudi, Torino 1994
· Marchetti A. - Tassinari G., La Resistenza nella letteratura, Ed. Associazione partigiani "A. Di Dio", Milano 1965
· Mascia M., Epopea dell'esercito scalzo, Ed. Alis, Sanremo 1947
· Mazzolari P.La Resistenza dei cristiani, La Locusta, Vicenza 1965
· Medaglie d’oro alla memoria, Ministero della Difesa, Roma 1953
· Memoria e storia della Resistenza: una ricerca e un convegno, Atti del Convegno, In "Storia e memoria", n. 1, 1997
· Milan M. - Vighi F. (a cura), La Resistenza al fascismo, Feltrinelli, Milano 1962
· Minardi M.Donne, Resistenza e cittadinanza politica. Avvenimenti, passioni, emozioni, delusioni, Isr Parma-centro parità prov. PR, Parma 1997
· Mira R.Tregue d'armi. Strategie e pratiche della guerra in Italia fra nazisti, fascisti e partigiani, Carocci, 2011
· Momigliano Levi P.Storia e memoria della deportazione. Modelli di ricerca e di comunicazione in Italia ed in Francia. Atti del convegno, La Giuntina, Firenze 1996
· Montanari M.La Resistenza, Unicopli, 2008 (bibliografia ragionata della Resistenza)
· Natta A.L’altra Resistenza. I militari italiani internati in Germania, Einaudi, Torino 1997
· Oliva G.Appunti per "Una storia di tutti". Prigionieri internati, deportati italiani nella seconda guerra mondiale, Collana "Proposte di attività del Comitato della Regione Piemonte per l'affermazione dei valori della Resistenza e dei principi della Costituzione Repubblicana", Torino s.d.
· Oliva G.I vinti e i liberati 8 settembre 1943-25 aprile 1945, Mondadori, Milano 1994
· Oliva G.La resa dei conti. Aprile-maggio 1945: Foibe, Piazzale Loreto e giustizia partigiana, Mondadori, Milano 1999
· Oliva G.Primavera 1945. Il sangue della guerra civile, Giunti, Firenze 2011
· Oliva G., Storia di due anni. 25 luglio 1943/25 aprile 1945, Collana "Proposte di attività del Comitato della Regione Piemonte per l'affermazione dei valori della Resistenza e dei principi della Costituzione Repubblicana", Torino s.d.
· Parisella A.Sopravvivere liberi, Gangemi Editore, Roma 1997
· Pavone C.Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1991
· Peli S.Storia della Resistenza in Italia, Einaudi, Torino 2006
· Perona G.Formazioni autonome nella Resistenza. Documenti, a cura dell'Insmli, Franco Angeli, Milano 1996
· Petacco A. - Mazzuca G.La Resistenza tricolore. La storia ignorata dei partigiani con le stellette,Mondadori, Milano 2010
· Petracchi G., Al tempo che Berta filava. Una storia italiana 1943-1948, Mursia, Milano 2011
· Piffer T., Gli Alleati e la Resistenza italiana, Il Mulino, Bologna 2010
· Poli L.Le forze armate nella guerra di Liberazione 1943-1945, Comitato Nazionale per le celebrazioni del cinquantennale della Resistenza e della guerra di Liberazione, Roma 1995
· Quarenghi E.Segni della "guerra diversa". I monumenti della Resistenza, in "Studi e ricerche di storia contemporanea", n. 43, pp. 69-81, 1995
· Quazza G.La Resistenza italiana. Appunti e documenti, Giappichelli, Torino 1966
· Rochat G. - Santarelli E. - Sorcinelli P.Linea gotica 1944. Eserciti, popolazioni, partigiani, Franco Angeli, Milano 1988
· Rogari S.Antifascismo, Resistenza, Costituzione. Studi per il Sessantennio della Liberazione, Franco Angeli, Milano 2006
· Romain R. H.I prigionieri militari italiani durante la seconda guerra mondiale. Aspetti e problemi storici, Marzorati, Milano 1985
· Sala T.Le questioni nazionali fra guerra e Resistenza: la guerra continua, in "Qualestoria", n. 1, pp. 40-50, 1985
· Salvadori M.Storia della Resistenza italiana, Neri Pozza, Venezia 1955
· Santoro G., Le medaglie d’oro al valor militare della guerra di liberazione, Roma 1989
· Sarfatti A. - Sarfatti M., Fulmine un cane coraggioso. La Resistenza raccontata ai bambini, Mondadori, Milano 2011
· Scarpelli A.Documenti. Le forze partigiane contro il Governo di Salò, La Cultura, Roma 1965
· Schreiber G.I militari italiani internati nei campi di concentramento del III Reich 1943-45. Traditi-Disprezzati-Dimenticati, Stato Maggiore dell’Esercito-Ufficio Storico, Roma 1992
· Scoppola P.25 aprile. Liberazione, Einaudi, Torino 1995
· Secchia P.Il Partito comunista italiano e la guerra di Liberazione 1943-1945. Ricordi, documenti inediti e testimonianze, in "Annali", Istituto Giangiacomo Feltrinelli, anno tredicesimo, 1971
· Secci T. e Tobia C.Scritture di guerra e contro la guerra, Editoriale Umbra, Foligno 1997
· Sémelin J.Senz’armi di fronte a Hitler. La resistenza civile in Europa, Sonda, Torino 1993
· Taviani P.E.Breve storia della Resistenza italiana, Museo storico della Liberazione, Edizioni Civitas, Roma 1995
· Valdevit G.Resistenza e Alleati fra Italia e Jugoslavia, in "Qualestoria", n. 1, pp. 3-12, 1980
  
 
Per approfondire:
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Ciao comandante Max....

Scomparso a 95 anni Massimo Rendina
 
Sono ore tristi per me. E' scomparso ieri a Roma l'ex partigiano Massimo Rendina, all'età di 95 anni. E' stato uno dei miei Maestri di Storia, insieme a Vittorio Foa e Giuliano Vassalli. Fu lui a spingermi all'iscrizione all'Anpi di Roma, a farmi dirigere il Centro Studi della Resistenza e a propormi come vicepresidente. Era un uomo di straordinaria umanità, intelligenza, dolcezza, integrità morale. Amava i giovani ed era da loro amatissimo. Fu anche l'ideatore della Casa della Storia e della Memoria, il cui sogno si realizzò grazie all'allora sindaco Walter Veltroni. Vanno ricordati la sua partecipazione alla seconda guerra mondiale, nella Campagna di Russia; la sua storia di coraggioso comandante partigiano; la sua brillante carriera di giornalista; il suo impegno civile nell'Anpi; il suo impegno storiografico di studioso attento della Resistenza. Vi propongo la sua scheda biografica.
 
Massimo Rendina, nato a Mestre (VE) il 4/1/1920 da Federico e Maria Manara; morto a Roma l’8/2/2015. Studente alla facoltà di giurisprudenza dell'università di Bologna. Prestò servizio militare in fanteria nei guastatori, e poi con il grado di sottotenente dei bersaglieri partecipò alla campagna di Russia nel Csir.
 
Congedato nell'autunno 1942, nel dicembre fu nominato condirettore di "Architrave", il mensile del GUF bolognese, diretto da Eugenio Facchini, pure lui reduce dal fronte russo. Nelle intenzioni dei gerarchi fascisti bolognesi i due reduci avrebbero dovuto dare un tono più fascista al giornale, considerato un foglio della fronda. Pio Marsilli e Vittorio Chesi, il direttore e il condirettore della gestione precedente, erano stati destituiti d'autorità e proposti per il confino di polizia, perché considerati antifascisti. Invece i due nuovi giornalisti diedero al giornale un contenuto e un tono che non era più di fronda, ma di aperta contestazione del regime e della guerra. Nella nota Motivo ideale, siglata M.R. (Massimo Rendina) si legge: «Ormai la retorica illusione di una vittoria facile e di una guerra lampo è sprofondata nell'abisso del passato». La nostra «è sempre stata, sin dal primo colpo di cannone, una guerra difensiva» e «Ora soltanto il conflitto appare definitivamente difensivo nella sua intima essenza e si trasmuta in una lotta integrale, assoluta, di vita o di morte, estranea ad ogni altro pensiero che non sia di sopravvivere alla distruzione di tutto il mondo» ("Architrave", 31/1/43). Nello stesso numero, in una nota dal titolo Indagine sulla Russia, parlando dell'esperienza fatta sul fronte orientale, si chiese: «a) come mai il popolo russo, che non è convinto della bolscevizzazione, la tollera come un gioco, resiste, non si ribella, combatte con valore?; b) come mai dopo un'improvvisa e stupefacente disfatta militare, creduta da tutto il mondo irreparabile, ha opposto un'accanita resistenza e proprio sul principio dell'ultimo atto del grande dramma riconquistando parte delle posizioni perdute con un successo che ha del soprannaturale?». «Noi non crediamo - proseguiva — in una serie di astute ed avvedute manovre da parte del governo rosso: le ragioni sono piuttosto da ricercarsi nel sistema organizzativo e nelle vicende naturali della guerra che vedono l'alternarsi della fortuna, da una parte e dalla altra dei combattenti». Concludeva che se i russi «hanno sorpreso chiunque, la situazione delle armate tedesche non va considerata assolutamente nel campo del "disastroso"».
 
Chiuso "Architrave", dopo la caduta del fascismo, Rendina passò a "il Resto del Carlino", dove ebbe come collega Enzo Biagi. Quando, dopo l’8/9/43, al giornale fu nominato un direttore repubblicano, intervenne all'assemblea dei redattori per annunciare pubblicamente che non avrebbe collaborato con la RSI.
 
Abbandonò il giornale e si trasferì in Piemonte, dove - come un altro reduce di Russia, Nuto Revelli -  prese parte alla lotta di liberazione, con il nome di battaglia di Max il giornalista.
 
Militò prima nella 19a  Brigata Giambone Garibaldi, con funzione di capo di stato maggiore, e successivamente nella 103a Brigata Nannetti della 1a Divisione Garibaldi, della quale fu prima comandante e poi capo di  stato maggiore. Fu in contatto anche con Edgardo Sogno, che fece ricevere alla sua divisione lanci di munizioni da parte degli inglesi. Partecipò alla liberazione di Torino. Ferito, è stato riconosciuto invalido di guerra. E’ stato partigiano dall'1/11/43 al 7/5/45.
 
Lo zio Roberto Rendina fu ucciso alle Fosse Ardeatine a Roma.
 
Nel capoluogo piemontese Rendina riprese la professione di giornalista a l'Unità, con Giorgio Amendola e Ludovico Geymonat. Terminata la guerra, si occupò di cinema scrivendo film con Piero Tellini, curò poi la settimana Incom con Luigi Barzini junior e successivamente entrò in Rai, dove prima lavorò al giornale radio e poi fu direttore del primo telegiornale. 
Cattolico, nel dopoguerra Rendina uscì dal Pci e aderì alla sinistra della Dc, collaborando con Aldo Moro, Mariano Rumor e Benigno Zaccagnini.
 
Il presidente del Consiglio Fernando Tambroni chiese ed ottenne il suo allontanamento dalla Rai. Aldo Moro lo reintegrò, nominandolo condirettore del giornale radio e mandandolo in America a fondare Rai Corporation.
Negli ultimi anni della sua vita Rendina è stato uno dei principali protagonisti dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, rivestendo per oltre dodici anni la carica di presidente del Comitato Provinciale ANPI Roma e diventando, nell’aprile 2011, vicepresidente nazionale. È stato nominato anche membro del Comitato scientifico dell'Istituto Luigi Sturzo per le ricerche storiche sulla Resistenza
È stato, inoltre, l’ideatore della Casa della Memoria e nella Storia inaugurata a Roma dalla giunta Veltroni nel 2006 e fondatore dell’associazione di telespettatori cattolici Aiart.
 
Nel 2011 ha raccontato nel documentario Comandante Max, diretto da Claudio Costa, la sua esperienza di guerra in Russia e nella Resistenza.
 
È stato anche un appassionato studioso della Resistenza. Ha pubblicato: Italia 1943-45. Guerra civile o Resistenza?, Newton, Roma 1995; Dizionario della Resistenza italiana, Editori Riuniti, Roma 1995. Ha anche curato la “Cronologia della Resistenza romana”, pubblicata sul portale storico www.storiaXXIsecolo.it, di cui è stato anche il fondatore.
 
E’ morto all’età di 95 anni, a Roma.
 
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha voluto ricordare la memoria di Rendina, mandando un messaggio di cordoglio alla moglie: "Per la scomparsa di un testimone leale e appassionato di molti decenni della nostra storia". Il presidente della Repubblica ha ricordato la partecipazione di Rendina "alla tragica ritirata di Russia e la successiva, decisa scelta di campo nelle file della resistenza", nella quale assunse il nome di 'comandante Max', distinguendosi "per coraggio e lungimiranza politica". Nel dopoguerra, ha affermato ancora il presidente Mattarella, "fu brillante giornalista e comunicatore, ricoprendo posizioni di prestigio. L'immagine più nitida che mi resta di lui- ha concluso il capo dello stato- è quella, più recente, di instancabile dirigente dell'anpi, al vertice della quale ha saputo difendere la memoria autentica dei valori della resistenza e tramandarla ai giovani con passione ed entusiasmo".
 
(a cura di Mario Avagliano)
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Storie - Gli ebrei e il Regno Sabaudo

di Mario Avagliano
 
La storia italiana è stata “sempre strettamente connessa con quella più specifica della sua bimillennaria componente ebraica”. Così Pia Jarach ha scritto nella prefazione al libro di Gianfranco Moscati “Gli ebrei sotto il Regno Sabaudo. Combattenti – Resistenza – Shoah” (editore Origrame), dal quale è nata una mostra itinerante che ora giunge a Roma, dove viene presentata domani 11 febbraio alle ore 17,00 presso la Camera dei Deputati (Complesso di Vicolo Valdina).
La mostra, che sarà aperta al pubblico dal 12 al 20 febbraio (ore 10-18, con ingresso a Piazza di Campo Marzio 42), illustra attraverso documenti ed immagini la partecipazione degli ebrei italiani alla vita nazionale nei 150 anni di regno sabaudo, dalle guerre risorgimentali fino alle leggi razziste del 1938, all’adesione alle bande partigiane e alla deportazione nei lager nazisti.
 
Viaggiando attraverso i preziosi frammenti di Memoria raccolti da Gianfranco Moscati, scopriamo così che tra i mille garibaldini sbarcati a Marsala ben sette erano ebrei. E c’erano diversi ebrei in tutte le guerre italiane, spesso partiti volontari per amor di patria: dalla guerra italo-turca del 1911 alla Grande Guerra, fino alla guerra di Etiopia e alla guerra di Spagna.
Solo alla Seconda guerra mondiale gli ebrei non parteciparono (salvo pochissime eccezioni, come il generale Umberto Pugliese del Genio Navale, richiamato in servizio nel 1941, essendo l’unico in grado di recuperare le corazzate italiane affondate dagli inglesi nel porto di Taranto), perché esclusi dall’esercito, come da ogni altro settore della società civile, a seguito dei provvedimenti razzisti.
E in quegli anni gli ebrei sono protagonisti anche dell’antifascismo (basti ricordare i fratelli Rosselli) e della Resistenza (il più giovane partigiano ucciso in combattimento fu l’ebreo Franco Cesana). Non poteva mancare un capitolo dedicato alla persecuzione degli ebrei e alla Shoah. La pagina più nera di quel secolo e mezzo, alla quale anche i Savoia e tanti altri italiani contribuirono.
 
(L'Unione Informa e Moked.it del 10 febbraio 2015)
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Adriana Montezemolo: mio padre eroe dimenticato della Resistenza

di Dino Messina

 
“L’ultima volta che vidi mio padre era il Capodanno del 1944. I baroni Scammacca del Murgo, coraggiosi amici, correndo gravi rischi, ci avevano ospitati al nostro rientro a Roma e avevano organizzato quell’attesa riunione familiare”.
Adriana Cordero Lanza di Montezemolo, ultimogenita del colonnello Giuseppe Montezemolo, il capo del Fronte militare clandestino, ricorda con tratti veloci e precisi la figura del padre, medaglia d’oro, eroe della Resistenza, massacrato alle Fosse Ardeatine nel pomeriggio del 24 marzo 1944, assieme agli altri 334 prigionieri politici, ebrei, detenuti comuni che erano stati prelevati dalla prigione nazista di via Tasso e da Regina.
Nella casa che da molti anni condivide con Benedetto Della Chiesa, nipote di Papa Benedetto XV, in una tenuta agricola che corre proprio lungo la via Ardeatina, Adriana di Montezemolo custodisce memorie importanti, avendo ereditato dalla madre Juccia (Amalia), scomparsa nel 1983, la missione di ricordare quel padre importante, figura centrale della Resistenza, che tuttavia per oltre mezzo secolo è stato tenuto fuori dalla storiografia ufficiale. “Abbiamo avuto infinite manifestazioni di affetto private e ufficiali, culminate in una medaglia d’oro, ma è vero per molto tempo del ruolo di mio padre s’è parlato molto poco. Forse perché noi siamo una famiglia di militari, abituati ai fatti. Certo, mi fece grande piacere leggere nel 2003, sul ‘Corriere della sera’, un articolo di Paolo Mieli in cui diceva che era il momento di far entrare il colonnello Montezemolo nei libri di storia. Meno di dieci anni dopo è arrivata la biografia di Mario Avagliano, ‘Il partigiano Montezemolo’ (Dalai editore) che colmava una lacuna”.
Adriana Montezemolo parla veloce, talvolta si interrompe e si alza per mostrare un cimelio importante, i biglietti del padre dalla prigione di via Tasso, la lettera di ringraziamento del generale Harold Alexander, comandante degli eserciti alleati in Italia, alla mamma Juccia per l’opera insostituibile svolta dal capo delle Forze militari clandestine a Roma, la foto che ritraeva la famiglia per l’ultima estate spensierata a Forte dei Marmi: ci sono il primogenito Manfredi, classe 1924, che aiutò il padre nella lotta clandestina, il secondogenito Andrea, oggi cardinale, che lavorò con il medico Attilio Ascarelli dopo la liberazione di Roma a ricomporre i resti delle vittime delle Fosse Ardeatine, infine, assieme ad Adriana, le sorelle Lidia e Isolda.
Adriana nel dopoguerra si è laureata in fisica con Edoardo Amaldi, ma assieme al marito Benedetto, da cui ha avuto cinque figli, si è sempre occupata di agricoltura, organizzando una tenuta agricola in Kenia e poi dal 1960 seguendo le attività nelle campagne romane e del Viterbese. Le memorie della famiglia si intrecciano a quelle pubbliche. “Ci eravamo trasferiti a Roma da Torino nel 1940, quando mio padre era stato nominato colonnello, il più giovane con quel grado. Diceva che nell’esercito contano gli ufficiali con la c (caporale, come lui era stato nella prima guerra mondiale, capitano e colonnello) perché i più vicini alla truppa. Il papà era una persona affettuosa, ma come usava una volta riservata e severa. Aveva un’autorità eccezionale, tutti glielo riconoscevano, era un capo nato. Dopo la laurea in ingegneria e una breve parentesi di lavoro come civile a Genova, era rientrato nell’esercito dove aveva bruciato le tappe: volontario nella Guerra di Spagna, aveva poi compiuto almeno 16 missioni in Africa settentrionale dove era stato decorato con una medaglia d’argento”.
Fedele ai Savoia, il 19 luglio 1943 aveva accompagnato Mussolini all’incontro di Feltre con Hitler, dove il capo del fascismo non ebbe il coraggio di sostenere con il Fuehrer le ragioni di una pace separata. Fu allora che venne decisa la sorte del Duce e il colonnello Montezemolo ebbe una parte nel suo arresto. Consigliere militare di Badoglio, decise di restare a Roma dopo l’8 settembre per organizzare la difesa militare, quando la corte e tutte le alte cariche dell’esercito e del governo prendevano la via di Pescara. “La funzione di mio padre era di collegamento tra il governo legittimo del Sud e la Resistenza romana. Si era fatto paracadutare alcune radio ricetrasmittenti e comunicava agli Alleati gli spostamenti delle truppe tedesche e tutte le informazioni utili che riusciva ad ottenere”.
Per questo Herbert Kappler, il comandate delle SS di Roma, che poi lo avrebbe interrogato e torturato in via Tasso, lo considerava il nemico pubblico numero uno.
“Passammo quell’estate del 1943 in una tenuta di alcuni amici a Perugia. Mio fratello Manfredi che frequentava il collegio militare a Lucca ci raggiunse a piedi, Andrea invece era con noi. Dopo l’8 settembre nostro padre ci diede l’ordine di non muoverci, la situazione era molto pericolosa, ma non riuscimmo a trattenere Manfredi che andò a Roma in bicicletta e si unì all’organizzazione clandestina con documenti falsi. Nostro padre teneva le fila non soltanto delle forze militari clandestine ma coordinava i gruppi della Resistenza che si andavano formando. ‘Mai avrei pensato – diceva – io monarchico di collaborare e avere buoni rapporti con il comunista Giorgio Amendola”.
Giorgio Amendola, che diede l’ordine dell’attentato al battaglione SS Bozen in via Rasella, da cui scaturì la rappresaglia nazista delle Fosse Ardeatine. “Mio padre credeva alle forze armate clandestine spettasse l’azione di intelligence e il controllo in città. Alla Resistenza civile, che fu aiutata dal Fronte militare clandestino anche con il rifornimento di armi, erano riservate azioni di sabotaggio in campagna. Mio padre era molto preoccupato dalle rappresaglie e finché rimase in libertà riuscì a tenere il controllo della situazione. Dopo il suo arresto, il 25 gennaio 1944, dapprima i protagonisti della Resistenza si dileguarono nel timore che parlasse. Ma quando si accorsero che il colonnello Montezemolo riuscì a resistere alle torture, cominciarono le azioni dei Gap”.
Adriana Montezemolo era rimasta a Perugia con la mamma e le sorelle sino a fine dicembre 1943: “Il 27 dicembre venne a prenderci in macchina un maresciallo dei carabinieri di cui mio padre si fidava. Prima andammo un paio di giorni dai baroni Scammacca, quindi cominciammo a frequentare le scuole al collegio di Trinità dei Monti, dove anche mia madre viveva in una stanza del pensionato, mentre mio fratello Andrea era nel collegio ucraino. Mio padre e mia madre si incontravano il mercoledì in casa Scammacca verso le 14,30, poi di solito uscivano per una passeggiata a Villa Borghese cercando di non dare nell’occhio. All’ultimo incontro, credo il 19 gennaio, tre giorni prima dello sbarco di Anzio, mio padre disse alla mamma che se gli americani non arrivavano a Roma lui sarebbe stato preso. Si sentiva braccato, aveva cinque polizie alle calcagna. La settimana successiva la mamma arrivò prima all’appuntamento, ma attese inutilmente. Arrivò invece mio fratello Manfredi con la notizia che il papà il 25 era stato arrestato”.
Chi era stato a parlare, a fare la delazione, a rivelare che sotto i baffi a manubrio del “professor Giuseppe Martini” si nascondeva il capo della Resistenza militare clandestina? “Ci sono state varie voci, potrei dire dei nomi, ma la verità non si saprà mai. Speravamo che il papà non fosse finito nelle mani delle SS. Una persona terribile, che dava informazioni cercando di carpire denaro, ci disse che lo aveva visto a Regina Coeli, tranquillo che giocava a carte. Strano, pensammo, il papà non gioca a carte”.
Era invece nelle mani di Kappler nella prigione di via Tasso, dove venne torturato per giorni. Nelle stesse stanze, oggi diventate museo, sono esposti gli abiti del prigioniero Montezemolo: una camicia con le cifre, un maglione inglese di marca Wolsey, la giacca e i pantaloni sdruciti.
“Una cugina si era offerta di portare un po’ di biancheria. Dalla prigione di via Tasso filtrarono tre biglietti di mio padre, poi il silenzio. Fino al 25 marzo, quando una donna mostrò a mia madre una pagina del ‘Messaggero’ con la notizia che alle Fosse Ardeatine erano stati giustiziati comunisti e badogliani… Vivemmo nell’angoscia e nella speranza anche dopo aver ricevuto la comunicazione tedesca che potevamo andare a ritirare in via Tasso gli effetti personali di nostro padre. Magari, qualcuno ci confortava, l’anno portato al Nord. Speravamo che l’intervento del Vaticano che avevamo sollecitato avesse avuto qualche effetto. Avemmo la certezza che il colonnello Montezemolo era morto nel peggiore dei modi alle fosse Ardeatine quando la mamma riconobbe alcuni effetti personali, tra cui la fede nuziale, raccolti alle Mantellate, nel luglio 1944, dopo la liberazione di Roma”.
Da allora è cominciata la meticolosa ricostruzione dei fatti, gli incontri che con la memoria rinnovavano il dolore. “In anni recenti, durante un dibattito a via Tasso mi è venuta incontro una signora, era Carla Capponi (la compagna di Rosario Bentivegna che partecipò all’attentato di via Rasella, ndr), mi raccontò che durante la Resistenza aveva incontrato mio padre che le aveva consegnato delle armi. Io la salutati, ma in maniera fredda. Forse ho sbagliato”.
L’ultimo ricordo di quella stagione terribile riguarda il capitato Eric Priebke, il collaboratore di Kappler e interprete delle SS che partecipò al massacro delle Ardeatine. “Arrestarlo in anni recenti – dice Adriana sorprendendoci – è stato un errore. Non l’ho conosciuto ma ho avuto con lui una corrispondenza epistolare attraverso il suo avvocato Paolo Giachini. Gli chiesi se avesse conosciuto mio padre. Mi rispose che non l’aveva mai incontrato. Strano, per uno che faceva l’interprete in via Tasso. Ma perché non dovrei credergli?”.
 
(Il Corriere della Sera,  23 marzo 2015)
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Storie - il mio ricordo di Elio Toaff

di Mario Avagliano
 
Sulla straordinaria figura di Elio Toaff, ex partigiano, rabbino, intellettuale, uomo del dialogo interreligioso, si è scritto, a giusta ragione, molto in queste ore. Voglio citare un episodio che ho riportato nel mio libro “Di pura razza italiana”, relativo al periodo successivo alle leggi razziste del 1938.
Nel suo libro di memorie (Perfidi giudei fratelli maggiori, Mondadori) Toaff ha raccontato che nell’anno accademico 1938-39 all’università di Pisa, alla quale era iscritto, si recò ben poco perché il «viaggio Livorno-Pisa e viceversa era diventato una specie di calvario per gli studenti di razza ebraica, esposti al dileggio e al disprezzo – qualche volta anche alla violenza – degli studenti fascisti».
In una successiva intervista del 2006, Toaff ha ricordato che una volta, durante il viaggio di andata, «alcuni giovani fascisti mi avevano fermato, mi avevano fatto distendere in uno scompartimento, mi avevano spogliato e avevano scritto delle frasi ingiuriose sulla mia pancia».
Al ritorno a casa, su consiglio del professore di diritto commerciale Lorenzo Mossa (l’unico che in quel clima aveva avuto il coraggio di assegnargli la tesi), Toaff scattò una fotografia di quelle frasi, a futura memoria. Una fotografia che, rivelò nell’intervista, conservava tuttora. 
Forse è ancora lì tra le sue carte. A testimoniare l’Italia razzista del 1938 e il coraggio di un ragazzo ebreo che non si piegò mai alla violenza.
 
(L'Unione Informa e Moked.it del 21 aprile 2015)
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Intervista ad Emilio Gentile: 'La Resistenza valore fondante da condividere'

di Mario Avagliano

Il 25 aprile ricorda in modo specifico il movimento partigiano. In quegli anni ci furono altre forme di opposizione al nazismo e al fascismo, come la resistenza degli internati militari, che rifiutarono di aderire alla Repubblica sociale. Ma si tratta di un fenomeno diverso dai partigiani. Comunque la storiografia oggi ha approfondito anche questi aspetti. Ci sono state ricerche importanti, ad esempio su Cefalonia e sulla resistenza di matrice moderata.
Ha contato anche il clima della guerra fredda?
La guerra fredda è stata decisiva nel rompere il fronte comune della Resistenza, facendo emergere l’antagonismo ideologico tra i vari partiti del Cln, presente fin dal 1946, e favorendo una diversa rappresentazione pubblica degli eventi. Ad esempio, nell’immediato dopoguerra ci fu il tentativo del partito comunista di agitare il vessillo della Resistenza come una rivoluzione incompiuta o tradita dai governi democristiani. E negli anni Cinquanta e Settanta il mito della Resistenza venne di volta in volta rianimato a seconda dell’andamento del conflitto politico e per contrastare il risorgente neofascismo. Di recente si è arrivati quasi a dissolvere questo mito nell’oblio, specialmente per le nuove generazioni.
Nell’ultimo ventennio dal mito della Resistenza si è passati quasi all’antimito, come nel libro “Bella ciao” di Giampaolo Pansa.
In questo la storiografia c’entra poco. Va sempre distinto il piano della storiografia da quello della pubblicistica, la quale quasi sempre non ha aggiunto niente di nuovo a quanto già accertato dalla ricerca storiografica, ma ha presentato semplicemente i fatti con una visione polemica o scandalistica.
Ma c’è del vero nella tesi che i comunisti parteciparono alla Resistenza solo in funzione della rivoluzione proletaria?
Ogni partito contribuì alla Resistenza con il proposito di andare al di là dell’obiettivo immediato e necessario di liberare l’Italia dal nazifascismo. Ma nei fatti i comunisti non fecero la rivoluzione, contribuendo invece, assieme alle altre forze politiche, alla fondazione della Repubblica e alla Costituzione.
La vigilia di questo 25 aprile è stata caratterizzata da una polemica assai aspra sulla partecipazione della Brigata Ebraica e dei rappresentanti dei palestinesi al corteo romano. 
È molto triste. Oltre che da storico, lo dico da cittadino. Il 25 aprile dovrebbe costituire il momento in cui si mettono da parte le differenze ideologiche e politiche e si pone l’accento sui valori comuni della Resistenza. E poi non dimentichiamoci che questa festa ricorda un evento avvenuto in Italia nel 1945: la liberazione. La bandiera che sventolava il 25 aprile del 1945 era quella italiana, ed è l’unica che dovrebbe sventolare nella ricorrenza della Liberazione.
Il 26 gennaio 1955, a Milano, Piero Calamandrei, in un famoso discorso ad un gruppo di studenti, affermò: “Se voi volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani”.
È vero. I partiti della Resistenza realizzarono la Costituzione firmata nel dicembre del 1947. E questo nonostante che già durante la celebrazione del 25 aprile del 1947 fossero profondamente lacerati e antagonisti. Vuol dire che qualcosa di quello spirito comune era rimasto.
Il contributo alla guerra di liberazione da parte della Resistenza e del ricostituito esercito italiano come cobelligerante contò alla conferenza di pace a Parigi dell’agosto 1946?
Sì certamente, fu molto importante perché evitò all’Italia di fare la fine della Germania e di essere divisa in zone di occupazione fra americani, inglesi,francesi e jugoslavi.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha dichiarato alla Camera che non è possibile equiparare i resistenti con i combattenti di Salò.
Mi pare una dichiarazione di buon senso storico. Erano due gruppi di italiani animati da valori completamente contrapposti che si combatterono come nemici. Da una parte c’era chi combatteva per la democrazia e per la libertà, dall’altra parte chi combatteva per conservare, restaurare o addirittura espandere il regime totalitario e razzista. È vero, ci fu chi aderì a Salò in buona fede e per patriottismo, ma la buona fede non cambia la sostanza delle cose. Anche le SS erano in buona fede e patriottiche.
In Italia ci fu “una guerra civile”, come ha sostenuto Claudio Pavone nel suo saggio del 1991?
All’epoca ne erano già convinti i combattenti di entrambe le parti. La storiografia non ha fatto altro che prendere atto di una realtà che per molto tempo è stata ignorata perché si temeva che, parlando di guerra civile, si mettessero sullo stesso piano i resistenti e i combattenti di Salò.
La Resistenza è stata tradita dalle classi dirigenti del dopoguerra?
Si possono avere giudizi diversi sul grado di realizzazione degli ideali della Resistenza. Ma se oggi possiamo parlare liberamente anche di questo, è il prodotto della libertà che la Resistenza ha contribuito a riportare in Italia.
Sui confini orientali però ci furono scontri violenti tra le bande partigiane comuniste e cattoliche ed episodi come l’eccidio di Porzus.
Sono episodi tragici legati a situazioni particolari, su cui si è fatta ampiamente luce e che comunque non mettono in discussione il valore generale della Resistenza.
Neppure le vendette del dopoguerra?
Beh, qui siamo fuori dal perimetro della Resistenza. È come quando si vuol negare il valore storico e ideale del Risorgimento, parlando della repressione piemontese del brigantaggio.

(Il Messaggero, 22 aprile 2015)

La storia dell'eroismo ebraico. Il diritto di liberare i propri fratelli e di combattere l'islamofascismo

Intervista a Mario Avagliano sulla storia della Brigata Ebraica

a cura di Leonardo Rossi

Come e perché nasce l'idea di costituire una Brigata Ebraica? 
Già dopo l'invasione tedesca della Polonia, nel settembre del 1939 l'Agenzia Ebraica offrì l'appoggio della comunità ebraica di Erez Israel allo sforzo bellico degli Alleati e propose di dare vita, come già avvenuto durante la Grande Guerra, a una forza armata ebraica che partecipasse al conflitto contro l’odiato Hitler, che perseguitava da anni gli ebrei in Europa. Londra respinse a lungo la proposta, temendo da un lato la reazione degli arabi e dall’altro che questo significasse un lasciapassare al processo di costituzione di uno Stato ebraico. Ai  volontari arabi ed ebrei fu consentito solo di entrare nelle varie unità dell'esercito inglese.  Ma alla fine, dopo sei anni di negoziazione, la campagna ebraica per un esercito nazionale, alimentata da personaggi come Vladimir Jabotinsky, uno dei fondatori della Legione ebraica dell’esercito britannico durante la Grande Guerra, Chaim Weizmann, leader del Movimento Sionista, e Benzion Netanyahu, padre dell’attuale premier di Israele, e appoggiata anche oltreoceano, ad esempio da molte stelle di Hollywood e di Broadway, ebbe finalmente successo. Fu Winston Churchill, subentrato a Neville Chamberlain alla guida del governo, a dare il via libera nel settembre del 1944, d'accordo col Presidente americano Roosevelt, alla creazione della Brigata Ebraica, esprimendo il suo favore all'idea che gli ebrei potessero combattere “contro gli assassini dei loro connazionali in Europa”.
Quando la Brigata viene fatta arrivare a Taranto, per cominciare la risalita, gli italiani come hanno reagito a una presenza militare così ben identificabile? In fondo, non si sostiene la tesi che gli italiani fossero antisemiti?
In realtà già a partire dall’agosto del 1943 piccole unità o compagnie di soldati ebrei parteciparono alla campagna d’Italia. Ad esempio ci fu una compagnia che sbarcò a Salerno e poi aiutò la popolazione napoletana e gli ebrei della città. E un’altra compagnia, arrivata a Taranto nel novembre del '43, realizzò finte strutture militari per ingannare i comandi tedeschi. Quanto alla Brigata Ebraica, era costituita da tre battaglioni, per un totale di circa 5.500 volontari ebrei provenienti dalla Palestina, allora sotto Mandato britannico, guidati dal generale Ernest Benjamin, ebreo di cittadinanza canadese. La Brigata si addestrò in Egitto, venne inquadrata nell’Ottava Armata e a novembre del 1944 fu destinata al fronte italiano, con un’insegna di battaglia particolare: una stella di David color oro su sfondo a strisce bianche e azzurre. La stessa bandiera che poi venne adottata dallo Stato di Israele. La notizia della costituzione di una unità combattente ebraica suscitò una reazione abbastanza stizzita da parte della propaganda tedesca e di quella della Repubblica di Salò. Le radio tedesche criticavano Churchill per aver permesso "ai giudei di avventarsi come cani idrofobi contro il popolo germanico”, parlando addirittura di “sanguinaria brigata giudaica". Nel nostro Paese, però, dopo la caduta del fascismo gli italiani avevano aperto gli occhi. E in pianura padana i nostri soldati combatterono fianco a fianco con quelli della Brigata Ebraica contro nazisti e fascisti di Salò. 
La Brigata si è distinta in importanti azioni militari, come lo sfondamento della Linea Gotica nella Vallata del Senio, come mai la sua memoria si è così affievolita fino a scomparire?
Il battesimo del fuoco della Brigata Ebraica avvenne in Romagna, con la partecipazione alle operazioni militari alleate per forzare il fronte del Senio, che le procurarono più di 40 vittime fra morti e dispersi, 150 feriti e 21 decorati al valore sul campo. Ai primi di marzo del 1945 la Brigata ebbe il compito di controllare il fronte a nord di Ravenna e poi  il 27 marzo fu trasferita nel settore di Riolo dei Bagni, dove assieme al Gruppo di Combattimento Friuli del ricostituito esercito italiano liberò la cittadina termale. Non fu la sola città liberata dai soldati ebrei, che intervennero anche a Cuffiano, Riolo Terme, Ossano, Monte Ghebbio, La Serra, Imola.
Ci sono anche lati oscuri della loro attività in Italia. Come la decisione di avviare un vero e proprio ufficio di aiuto per l'emigrazione ebraica a Milano, in via Cantù 5. Le forze italiane sapevano di questo esodo organizzato?
Non parlerei di lati oscuri. L’attività delle compagnie militari ebraiche e poi della Brigata Ebraica di aiuto agli ebrei che intendevano recarsi in Israele era nota ed era svolta alla luce del sole. Proprio allo scopo di coordinare l'opera di soccorso ai profughi ebrei che stavano affluendo nell'Italia meridionale, venne costituito a Bari un "Centro profughi", poi trasferito a giugno del 1944 a Roma, a seguito della liberazione della capitale. Man mano che gli alleati risalivano la penisola, altri centri profughi furono istituiti in varie altre città, come Ancona, Ravenna, Firenze, Arezzo, Siena e nella primavera-estate del 1945 in varie città dell'Italia settentrionale, come Milano. L’obiettivo era quello di recuperare i sopravvissuti alla Shoah e addestrare in appositi centri di preparazione professionale chi era interessato a "salire" in Israele. Fu importante anche l'attività dei militari ebrei nell'opera di ricostruzione morale e materiale delle comunità ebraiche delle città liberate. Dopo la persecuzione fascista e la caccia all’uomo da parte dei nazisti e della polizia di Salò, per gli ebrei italiani l'incontro con soldati con il simbolo ebraico della stella di David, fu davvero emozionante. Nell’estate del 1945, infine, le unità della Brigata Ebraica presidiarono il confine con l’Austria, proprio per facilitare il transito dei sopravvissuti dell'Olocausto verso la Palestina. In seguito molti veterani della Brigata diventarono membri attivi nel "Bricha", il movimento clandestino che permise l’immigrazione di migliaia di profughi ebrei in Israele, e poi parteciparono alla guerra del 1948 che portò alla fondazione del nuovo Stato.
Adesso, a Roma è esplosa la polemica per il rifiuto da parte dell'Aned e della Brigata Ebraica di partecipare alla manifestazione in Campidoglio accanto alle bandiere palestinesi. A loro avviso, erano alleati dei nazisti. 
Credo che il problema sia più generale. La manifestazione del 25 aprile riguarda un evento cruciale della nostra storia: la liberazione del nostro Paese dal nazismo e dal fascismo e il ritorno della libertà e della democrazia. L’unica bandiera che dovrebbe sventolare in piazza e nei cortei è quindi quella italiana, tutt’al più assieme a quella delle formazioni partigiane e di chi contribuì alla guerra di liberazione. Fatta questa premessa, a “rigor” di storia non c’è dubbio che, come per primo capì il compianto presidente dell’Anpi Massimo Rendina, la Brigata Ebraica è pienamente legittimata a partecipare alla celebrazione con i suoi vessilli, le bandiere palestinesi invece non c’entrano niente. Ci sono altre occasioni per manifestare la vicinanza o meno alla causa palestinese. 
Vogliamo dire qualche parola sulla “amicizia” palestinese durante la II Guerra Mondiale, da che parte stavano loro? Chi era il Gran Muftì di Gerusalemme e che relazione aveva con Adolf Hitler?
Muhammad Amīn al-Husaynī, che all’epoca era Gran Muftī di Gerusalemme, è stato uno dei principali leader nazionalisti arabi e forse il più feroce e determinato oppositore del progetto di nascita di uno Stato ebraico in Palestina, sostenendo al contrario la creazione di uno Stato islamico. Fu questo il motivo che lo spinse ad allearsi a doppio filo con la Germania di Hitler e l’Italia di Mussolini, collaborando con le forze dell’Asse durante la seconda guerra mondiale, con attività di propaganda e di sabotaggio e l’arruolamento di una divisione di militanti islamici bosniaci nelle formazioni delle SS, in funzione antiebraica. Amīn al-Husaynī condivideva il progetto di Hitler dello sterminio finale degli ebrei e dal 1941 si trasferì a Berlino, dove rimase fino alla fine della guerra. Ormai la storiografia ha accertato, sulla base di una grande quantità di documenti e di carteggi, che il movimento di Amīn al-Husaynī e i vertici del nazismo erano collegati e lavorarono di comune accordo contro la comunità israelitica internazionale e le democrazie occidentali.
Perché l'islamismo si è legato a doppio filo con il nazismo? E come mai buona parte dei gerarchi scampati alle vendette sono scappati in paesi arabi a trazione Baathista. C'è un collegamento di fondo tra baathismo e nazismo?
Sarebbe sbagliato generalizzare. L’Islam non è un monolite indistinto e ci sono anche componenti del mondo islamico moderate e democratiche. Inoltre molti gerarchi nazisti, oltre che nei paesi arabi, fuggirono anche in Usa (vedi il caso degli scienziati) e nell’America del Sud. Fatto sta, però, che il Mein Kampf di Adolf Hitler tra molti islamici è tuttora un best seller. Ed è anche vero che il baathismo siro-iracheno, fondato nel 1943 a Damasco, si ispirò al nazionalsocialismo.
Solamente nel 1998 l'OLP ha tolto dalla sua carta fondativa gli articoli sulla distruzione dello Stato di Israele, ma non Hamas. C'è un fondo di verità storica nella decisione della Brigata ebraica di non voler sfilare accanto ai palestinesi?
Questo è un discorso diverso. Lo ribadisco: la Brigata Ebraica partecipò alla guerra di liberazione ed è giusto che sia in piazza con i suoi vessilli il 25 aprile. Molti palestinesi e arabi, invece, in quegli anni oscuri, si schierarono dalla parte dei nazisti. Punto. Al di là del giudizio che si può avere su Hamas, e il mio è certamente negativo, riproporre la questione del Medio Oriente in funzione o in riferimento alla festa della liberazione, sarebbe un grave errore.

(Il Giornale dell'Umbria, 24 aprile 2015)

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