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I repubblichini del Meridione escono dall'oblio della storia

di Antonella Freno

La Calabria è   al centro della storia della Repubblica sociale italiana, quella meno nota della Repubblica di Salò, che affonda le sue radici anche al di fuori dei suoi incerti confini geografici difesi militarmente dai tedeschi, nell’Italia centro-settentrionale.

E’ una storia avvincente, fatta di sacche di consenso residuo per Mussolini, di operazioni sotto copertura, di agenti segreti inviati dai nazisti e dai fascisti e di organizzazioni clandestine dedite ad attentati e opera di propaganda che vede la  nostra terra uno dei centri di questa guerriglia e di questa sorta di “resistenza nera”.

A raccontare la storia della Repubblica Sociale Italiana, creata da Mussolini dopo essere stato liberato dai tedeschi dalla prigione sul Gran Sasso dove era stato rinchiuso all’indomani della destituzione il 25 luglio 1943, ampliando l’analisi per la prima volta a tutte le sue innumerevole sfaccettature, compreso la poco nota e spesso dimenticata vicenda del fascismo clandestino al sud già liberato dagli Alleati, è l’ultimo documentatissimo libro di Mario Avagliano e Marco Palmieri, “L’Italia di Salò” edito da Il Mulino,  in distribuzione da pochi giorni.  Già nel passato lo storico Avagliano, membro dell’Irsifar, Istituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla resistenza si era occupato della storia del Novecento, con particolare riferimento al fascismo, alla RSI, alla persecuzione razziale degli ebrei, dirigendo, con Marco Palmieri, la collana storica Il Filo Spinato.

Attraverso le lettere, i diari, i documenti del tempo, la ricerca racconta i motivi dell’adesione di tanti italiani, oltre mezzo milione solo i militarizzati, più altrettanti iscritti al partito, alla Rsi e la loro partecipazione diretta ai crimini e agli eccidi degli occupanti tedeschi.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre, aderirono alla Rsi diversi calabresi, sotto le armi in altre zone d’Italia e all’estero, prigionieri degli Alleati che rifiutarono di cooperare e internati dei tedeschi che accettarono di arruolarsi, mentre molti altri diedero vita ad organizzazioni clandestine neofasciste dietro le linee Alleate.

Lo fecero per vari motivi: per fedeltà al duce e al fascismo, per amor di patria, per vendicare il presunto tradimento del regime fascista e degli alleati tedeschi, ma anche per opportunismo, carrierismo, imitazione dei compagni o timore di essere fucilati.

Le prime forme di organizzazione del fascismo clandestino in Calabria – come scrivono Avagliano e Palmieri nel capitolo del libro dedicato alla storia poco nota e spesso trascurata del fascismo clandestino al sud – sono legate alla figura del prìncipe Valerio Pignatelli.

 Il volume racconta come ,nel luglio del ‘43 ,Pignatelli viene incaricato dal sottosegretario di Salò Barracu di organizzare un corpo di volontari chiamato Guardie ai Labari, incaricato di azioni di guerriglia e sabotaggio nei territori occupati dagli Alleati, di «raccogliere – come lui stesso ha riferito in seguito – elementi fascisti e, in caso di sbarco Alleati, svolgere con essi azioni da franco tiratori, fiancheggiando le truppe regolari, specie alle spalle e sulle linee di comunicazione del nemico.

Preparare perciò le basi in Aspromonte, nelle Serre e, in ultimo, in Sila». Tale progetto subisce uno stop per via della caduta del regime, ma a metà settembre, dopo la liberazione di Mussolini, Pignatelli si reca in Calabria per organizzare la struttura clandestina. Lo accompagna la moglie Maria De Seta, figlia dell’ammiraglio Francesco Elia e sua attiva collaboratrice.

Pigna, come lo chiamano i suoi uomini, stabilisce la base a Cosenza e trova subito l’appoggio di diversi notabili e possidenti locali e dei loro giovani rampolli. Vi rimane fino a metà dicembre quando si trasferisce a Napoli. La sua organizzazione, inoltre, è collegata con gli altri gruppi clandestini fascisti in Calabria, impegnati in azioni di sabotaggio e di preparazione della guerriglia sulle montagne della Sila, raccogliendo armi e vettovaglie. Uno dei loro leader è l’avvocato Luigi Filosa, futuro parlamentare del Msi, ex federale di Cosenza, attorno al quale gravitano molti giovani, ma anche personaggi del passato regime, ex squadristi e dirigenti delle province di Catanzaro e Cosenza.

I fascisti calabresi organizzano ben 18 tra attentati dinamitardi, lanci di bombe a mano e altre azioni di carattere intimidatorio.

Un rapporto del Sim datato 21 ottobre 1944, indirizzato al procuratore del tribunale di Napoli, fa riferimento a ben 215 persone denunciate, riconducibili a un gruppo avente come scopo quello di «ricostituire il Partito fascista, a sfondo anticomunista, procurarsi armi, munizioni e fondi per lo sviluppo dell’organizzazione».

Particolarmente bellicosa è l’azione del gruppo di Nicastro, composto da alcuni studenti delle scuole superiori.

Nella notte tra il 27 e il 28 ottobre 1943, in occasione dell’anniversario della marcia su Roma, nel paese vengono lanciate bombe a mano e fatti esplodere tubi di gelatina, oltre alla diffusione di volantini.

Un mese più tardi vengono fatti esplodere due ordigni alle porte delle tipografie che stampano i giornali antifascisti Era Nuova e Nuova Calabria. All’inizio di dicembre sono colpite l’abitazione dell’antifascista Marcello Nicotera e la caserma dei carabinieri.

Nel crotonese, invece, viene segnalato un trasporto clandestino di bombe a mano che porta al rinvenimento di un deposito di armi da guerra in un casolare di proprietà del marchese Gaetano Morelli, maggiore in congedo.

Quest’ultimo, arrestato con altri membri dell’organizzazione, confessa di far parte di un movimento fascista da lui stesso finanziato, guidato dall’avvocato ed ex federale di Cosenza Luigi Filosa, intento a ritardare l’avanzata delle truppe alleate e stabilire contatti con la Rsi.

Successivamente altri elementi dell’organizzazione, interrogati nel processo, ammettono «di essersi riuniti per raccogliere fondi, procurarsi armi e munizioni in tutte le maniere, aiutare i tedeschi e gli italiani nell’Italia repubblicana e favorire il loro arrivo nelle province occupate dagli inglesi e collaborare con loro per scacciare definitivamente le truppe anglo-americane dal suolo d’Italia».

Filosa invece fugge a Bari, dove progetta di passare nel territorio della Rsi, ma viene arrestato il 16 maggio 1944.

Il processo presso il Tribunale militare territoriale di Catanzaro vede alla sbarra 88 imputati e si conclude con sentenze di condanne tra i 2 e i 10 anni di reclusione. Subito dopo la chiusura del cosiddetto processo degli ottantotto, anche il principe Pignatelli viene condannato a 12 anni di reclusione da scontare nel penitenziario dell’isola di Procida, ma anche la sua, come gran parte delle condanne, finirà cancellata dalle amnistie del dopoguerra. I movimenti del fascismo clandestino, inoltre, si saldano anche con l’ondata di protesta popolare contro i richiami alla leva del Regno del Sud, che divampano in tutto il sud.

Ne emerge un saggio che narra pagine di storia italiana e calabrese davvero misconosciute e che per la prima volta getta uno sguardo “allargato” alla vicenda della Repubblica di Salò che non si limita solo alle regioni militarmente occupate ma che – come dice il titolo – guarda in modo ampio ed esaustivo all’Italia di Salò in tutte le sue componenti.

(versione leggermente più sintetica pubblicata sulla Gazzetta del Sud del 30 marzo 2017)

 

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