Il patriota Montezemolo. Intervista a Mario Avagliano
di Alessandra Stoppini
L’incipit della prefazione di Mimmo Franzinelli, presente nel volume “Il partigiano Montezemolo. Storia del capo della resistenza militare nell’Italia occupata” di Mario Avagliano (Dalai Editore 2012), sintetizza il senso dell’ultimo viaggio nella storia d’Italia dello storico e saggista campano.
“Questa documentatissima biografia rimedia a un’ingiustificata trascuratezza e reinserisce la figura di Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo nel circuito storiografico”.
Già il sottotitolo del libro fa comprendere il nucleo centrale dell’esistenza di un uomo “nato casualmente a Roma (nel 1901) e cresciuto a Torino, figlio di un ufficiale dell’Esercito appartenente a un illustre casato piemontese”, comandante del Fronte Militare Clandestino, ucciso dai nazisti nel massacro delle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944 e Medaglia d’oro al valor militare alla memoria. Breve ma feconda fu la vita di Cordero di Montezemolo, un’esistenza vissuta non da eroe ma semplicemente da patriota, come lui stesso preferiva definirsi, che l’autore ha ricostruito “nell’ambito familiare come negli aspetti professionali” consultando rari libri di memoria e saggi, cercando documenti negli archivi dello Stato Maggiore dell’Esercito e negli archivi privati dei figli di Montezemolo e dei nipoti Ripa di Meana e avvalendosi della preziosa testimonianza dei protagonisti di allora.
Avagliano ripercorre il cursus honorum del giovane Montezemolo: arruolatosi nel 1918 come volontario durante la Grande Guerra, a soli diciassette anni nel Terzo Reggimento Alpini, la laurea in Ingegneria Civile, la prima adesione al fascismo per poi distaccarsene quando il regime rivelò il suo vero volto. Poi la partecipazione alla guerra civile spagnola nel 1936 per combattere contro i Republicanos iberici, la guerra in Africa nel ’41, il ruolo fattivo dell’ufficiale dopo l’8 settembre ’43 in una Roma dichiarata Città Aperta, la dura detenzione nel carcere delle SS in via Tasso che i nazisti chiamavano “la prigione di casa” e la morte alle Fosse Ardeatine. Sempre fedele all’ideale monarchico, Beppo, come veniva chiamato in famiglia, fu marito devoto di Amalia (Juccia) De Matteis e padre affettuoso di cinque figli “la famiglia era per lui la fonte cui afferrare il senso della vita”, Montezemolo “anticomunista di ferro e cattolico osservante”, “impersona al meglio la scelta dei militari rimasti fedeli al giuramento monarchico dopo gli sconvolgimenti dell’8 settembre”. Perfetta è la ricostruzione dell’atmosfera della capitale nell’autunno inverno ’43/44 attraverso brani di memoir, lettere del periodo, canzoni e pellicole anni Quaranta, quei lunghi nove mesi dell’occupazione nazista che fecero di Roma una “polveriera a cielo aperto”. L’attività instancabile del Colonnello M (era questo il nome in codice di Montezemolo) e le varie modalità di resistenza attiva e passiva del FMCR (Fonte Militare Clandestino di Roma) da lui guidato, fanno comprendere al lettore che durante il periodo bellico vi furono svariati modi di combattere e resistere al nemico. Alcuni esempi “il no degli internati militari nei campi di concentramento tedeschi all’adesione alla Rsi; la resistenza dei militari all’indomani dell’8 settembre, a Roma, a Cefalonia, in Corsica, a Corfù, in Albania, in Jugoslavia”. Citiamo inoltre “l’attività informativa e di sabotaggio delle formazioni militari autonome; la deportazione dei politici nei Lager; l’opposizione senz’armi di tanti civili (in particolare donne) che collaborarono in vario modo con gli Alleati e i partigiani”. Montezemolo non poté assistere alla liberazione di Roma avvenuta il 4 giugno del 1944, risultato anche “della sua inalterabile lealtà e sacrificio personale” come scrisse in una lettera privata alla Marchesa Amalia di Montezemolo il generale Alexander, Comandante in Capo delle Forze Alleate in Italia.
L’esistenza esemplare di Montezemolo esempio di onestà civile e coerenza morale, che ricalca i due motti dei Cordero di Montezemolo, Honneur et fidelité e Ad astra tendit, non viene citata nei testi di scuola. Anche per questo è importante segnalare la biografia del patriota Montezemolo “vera storia non romanzata e non agiografica” a pochi giorni dalla ricorrenza del 25 aprile. “Se tutto andasse male Juccia sappia che non sapevo di amarla tanto: rimpiango solo lei e i figli”.
Dottor Avagliano, per quale motivo la storiografia ufficiale ha trascurato la figura del partigiano “con le stellette” Montezemolo, capo della resistenza badogliana e “depositario di svariati segreti politici e militari”?
Probabilmente ha influito il clima di “guerra fredda” che dopo la proclamazione della Repubblica subito si è impadronito di tutti gli aspetti della vita civile e politica dell’Italia e in realtà dell’intera Europa. Da un lato, i partiti della Sinistra hanno erroneamente esaltato soltanto la guerra dei partigiani con i fazzoletti rossi sulle montagne e dei gappisti nelle città, dall’altro i partiti moderati non hanno sufficientemente valorizzato le loro pur significative esperienze di partecipazione alla Resistenza. L’esercito, inoltre, per lungo tempo non ha adeguatamente messo in luce il grande contributo dato da molti suoi uomini alla guerra di liberazione. Questo clima quindi ha favorito l’affermarsi di una visione della Resistenza come un fenomeno di parte, mentre in realtà fu un movimento molto vasto, che coinvolse italiani di tutte le tendenze politiche e che va considerato un patrimonio nazionale. E così Montezemolo, pur essendo un eroe di prima grandezza nella Resistenza italiana, purtroppo non è citato in quasi nessun libro di storia. Anche il recente La Resistenza tricolore di Arrigo Petacco e Giancarlo Mazzucca, che si poneva il meritevole obiettivo di far luce sulla Resistenza dei militari, incredibilmente non cita il più grande eroe di questa Resistenza.
Che atmosfera si respirava a Roma dopo l’armistizio dell’8 settembre ’43?
Nelle ore immediatamente successive da parte di qualcuno ci fu l’illusione che l’armistizio potesse significare la fine della guerra ma in realtà i romani subito cominciarono a sentire gli spari e gli scontri a fuoco che si verificarono nelle vicinanze della città, perché i tedeschi avevano preparato un piano molto dettagliato di occupazione di tutto il centro e il nord della nostra Penisola. Roma non fu difesa come c’era la possibilità di fare, anche a causa della fuga precipitosa del re e dei vertici militari, per cui fu in qualche modo ceduta nelle mani dei nazisti, i quali violarono da subito gli accordi che avevano portato alla formazione del comando di Roma Città Aperta, che prevedevano che le truppe tedesche non transitassero all’interno della città. In realtà i tedeschi fecero di Roma una sorta di retrovia del fronte militare con passaggio di truppe, materiali e mezzi. Questo causò da un lato il proseguimento dei bombardamenti da parte degli alleati a Roma, dall’altro un clima di terrore all’interno della città, perché i nazisti e anche i fascisti, che avevano rialzato la testa, con la formazione di bande molto violente, come per esempio la Banda Koch, cominciarono a imporre una serie di limitazioni alla popolazione. Ad esempio il coprifuoco, il lavoro obbligatorio, la chiamata alle armi dei giovani in età di leva. In più i nazisti scatenarono una caccia agli ebrei a partire dalla famosa retata del 16 ottobre ’43 e insieme ai fascisti una caccia agli oppositori politici, fossero essi inquadrati nella Resistenza oppure attivisti politici antifascisti. Se si sommano tutti questi aspetti, si può capire che le condizioni di Roma in quel periodo erano terribili e chi resisteva, e lo fecero in tanti, era davvero un esempio di dignità e di coraggio che merita di essere ricordato.
Quanto fu importante l’attività di intelligence nell’ambito della Resistenza romana e per quale motivo Herbert Kappler “capo effettivo della Gestapo e delle SS nel Lazio” considerava Montezemolo come “il suo più temibile nemico”?
L’attività di intelligence svolta dall’organizzazione di Montezemolo fu davvero rilevante e consentì di trasmettere agli Alleati e a Badoglio notizie circa i piani strategici dei tedeschi, sugli obiettivi militari dei bombardamenti, sui trasporti ferroviari di truppe e di materiale bellico non solo a Roma ma in tutta l’Italia occupata, perché la rete del Fronte aveva agenti in tutta l’Italia occupata, compreso il Nord. Kappler considerò Montezemolo come “il suo più temibile nemico” anche per questo motivo, cioè per questa intensa opera di carattere informativo. Il Fronte militare di Montezemolo si rese protagonista anche di azioni armate, fuori dalla città di Roma. Ad esempio la più grande azione compiuta dalla Resistenza del Lazio fu quella che portò alla distruzione dei treni militari tedeschi sulla linea Roma – Cassino e Roma – Formia, realizzata grazie all’apporto determinante di Montezemolo e alla collaborazione tra il Fronte Militare Clandestino e le bande comuniste e azioniste. Basta vedere le cifre del FMC nella sola Roma per rendersi conto dell’importanza che ebbe questo movimento. Ci furono circa 250 caduti tra militari e civili, di cui almeno 50 furono fucilati alle Fosse Ardeatine, ben 27 medaglie d’oro al Valor Militare più svariate decine di medaglie d’argento, di bronzo e croci di guerra. Fu uno dei contributi più importanti dati dall’Esercito e dall’Arma alla Guerra di Liberazione.
Ha intervistato vari testimoni dell’epoca tra i quali Rosario Bentivegna, recentemente scomparso. Ci lascia un ricordo del partigiano del GAP (Gruppo di Azione Patriottica) che il 23 marzo del ’44 fece esplodere un carretto carico di esplosivo in via Rasella?
Rosario Bentivegna era un personaggio di grande spessore intellettuale, ironico, dalla conversazione brillante, dal carattere non facile, con il quale ci si poteva anche scontrare, ma che aveva sempre un grande rispetto delle opinioni altrui. Bentivegna ha dedicato gli ultimi anni della sua vita non soltanto a ribattere punto per punto alle frequenti polemiche ingiuste che ci sono state sull’azione di via Rasella, ma anche a spiegare con il suo ultimo libro che la Resistenza romana non fu solo via Rasella ma ci furono tantissimi episodi di opposizione al nazifascismo ai quali parteciparono partiti, civili e militari, tra i quali il movimento di Montezemolo. Quindi un riconoscimento a Montezemolo è venuto anche da Rosario Bentivegna. D’altra parte Montezemolo, nonostante avesse una formazione anticomunista e fosse stato volontario nella Guerra di Spagna dalla parte di Franco, aveva saputo riscattarsi, aveva partecipato alla destituzione di Mussolini il 25 luglio del ’43. Era stato Montezemolo a prelevare le carte segrete di Mussolini, incaricato da Badoglio, nello studio a Piazza Venezia. Era stato uno dei protagonisti della Resistenza romana, dialogando con tutti senza nessun pregiudizio. Considerava come uno dei suoi migliori amici il comunista Giorgio Amendola, aveva rapporti dall’azionista Riccardo Bauer al liberale Manlio Brosio, fino a Ivanoe Bonomi, il Presidente del CLN a Roma. L’esplosivo di via Rasella fu fornito proprio dal FMC.
Il Presidente Ciampi ha definito Montezemolo “un eroe che merita di essere raccontato agli italiani di oggi”. A tal proposito ritiene che i giovani e gli studenti che visitano la mostra romana Lux in Arcana di fronte alle testimonianze storiche che ricordano l’eccidio delle Fosse Ardeatine si rendano conto del sacrificio fatto da uomini del calibro del Colonnello M?
Io me lo auguro ma temo che non basti una mostra pur pregevole per capirlo. Uomini come Montezemolo meritano di essere conosciuti molto di più dai giovani. Spero che con questo mio lavoro, che tra l’altro è accessibile a tutti, perché si legge come un romanzo, come ha scritto Aldo Cazzullo sulle pagine de Il Corriere della Sera, anche se “non romanzato”, sia possibile conoscere da vicino questo personaggio davvero straordinario. Un caso esemplare da additare ai giovani come modello di un’Italia diversa, a cui probabilmente tutti quanti avremmo bisogno di ispirarci per migliorare il nostro Paese.
Mario Avagliano, giornalista e storico, è membro dell’Istituto Romano per la Storia d’Italia dal Fascismo alla Resistenza (Irsifar), della Società Italiana per gli Studi di Storia Contemporanea (Sissco) e del comitato scientifico dell’Istituto Galante Oliva, e direttore del Centro Studi della Resistenza dell’Anpi di Roma-Lazio. Collabora alle pagine culturali de Il Messaggero e de Il Mattino. Ha pubblicato: Muoio innocente. Lettere dei caduti della Resistenza a Roma (1999); Generazione ribelle. Diari e lettere dal 1943 al 1945 (2006); Gli internati militari italiani. Diari e lettere dai lager nazisti. 1943-1945 (2009); Gli ebrei sotto la persecuzione in Italia. Diari e lettere 1938-1945 (2011); Voci dal lager (Einaudi 2012). La biografia Il partigiano Montezemolo. Storia del capo della resistenza militare nell’Italia occupata è corredata da alcuni documenti e da un apparato iconografico di fotografie del personaggio e dei famigliari.
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