IL SECONDO RINASCIMENTO
Genio e impresa: così l'Italia vinse il Dopoguerra
II Paese, nonostante fame e povertà, fu fucina di innovazione e bellezza: fu inventata la Vespa, l'Alitalia e pure la schedina
Gianluca Veneziani
E dopo aver perso la guerra vincemmo il Dopoguerra. Quando scoppiò, il Dopoguerra, le paure di ciò che sarebbe stato il futuro non erano inferiori a quando era scoppiato il conflitto. Ma nonostante le distruzioni fisiche e spirituali (buona parte del tessuto stradale era inutilizzabile, si faticava a trovare pane e ad avere riscaldamento, nel Paese dilagavano microcriminali e "segnorine", cioè prostitute), nonostante la doppia occupazione (prima quella nazista, poi quella dei liberatori Alleati con le relative "marocchinate"), gli italiani dimostrarono una straordinaria resilienza, quasi una capacità di sospendere il recente passato e di ravvivare il loro genio creativo in risposta alla devastazione.
Di solito siamo abituati a pensare a quegli anni, ossia al biennio 1945-47, come al periodo segnato dai postumi della guerra civile, dalla Resa dei conti e dal sangue dei vinti, o in alternativa come a una fase di cambiamento solo a livello politico e istituzionale con il referendum monarchia-repubblica, l'assemblea costituente e la campagna elettorale che avrebbe portato l'Italia nel blocco atlantico. Il nuovo libro di Mario Avagliano e Marco Palmierl intitolato Dopoguerra (Il Mulino, pp. 496, euro 28) ci consente invece di guardare a quel periodo come al momento cruciale della Ricostituzione materiale, morale, intellettuale del Paese, un passa :,zio non più interlocutorio tra un passato tragico e un futuro segnato dal boom economico, ma un biennio decisivo che mise le basi per un secondo Rinascimento italiano. Questa resurrezione, improvvisa, vitale, collettiva, non avvenne ovviamente ex nihilo ma si avvalse di molti fermenti creativi che già erano stati in azione durante il Ventennio e che ora, giunti a maturazione, poterono rimettersi al servizio del Paese, dopo la pausa forzosa imposta dalla guerra.
LE IDEE
Sono davvero straordinari la quantità di intelligenze, menti geniali e imprenditoriali che operarono in quegli anni e il numero di invenzioni, aziende, manifestazioni che esse riuscirono a mettere a punto, trasformando il nostro Paese in fucina di bellezza, innovazione, perfino divertimento. Agli italiani, assillati dalla fame e dalla povertà, erano rimaste le idee, e di quelle fecero la propria ricchezza. Contribuendo a rimettere in piedi e in ballo l'Italia.
Fu nel 1946 che la Pian o incaricò l'ingegnere Corradino d'Ascanio, già costruttore di elicotteri negli anni Trenta, di realizzare un nuovo modello di scooter che abbinasse design e comfort Ne venne fuori la Vespa, chiamata cosi perché, quando Enrico Piaggio sentì il rumore del suo motore, esclamò: «Sembra una vespa». Fu una fortuna perché in origine avrebbe dovuto chiamarsi MP5... E che dire della Scuderia Ferrari, già nata nel 1929 come reparto corse dell'Alfa Romeo, ma che solo nel Dopoguerra Enzo Ferrari rese a pieno operativa, creando la prima automobile denominata 125 Sporte riprendendosi il simbolo del cavallino rampante. Oltre a mettersi in moto, gli italiani in quegli anni presero il volo: nel 1946 venne creata l'Aero linee italiane internazionali che poi, dietro proposta di un impiegato di un ufficio postale, venne ribattezzata Alitalia per esigenza di sintesi nei telegrammi. E, a proposito di mobilità, è doveroso citare la nascita nel 1947, lungo le autostrade, della prima stazione di servizio, un modello di ristorazione che sarebbe stato presto imitato all'estero.
RESILIENZA
L'Italia del Dopoguerra era anche un Paese ludico che, in coincidenza della ripresa del campionato di calcio, inventò la schedina: stavolta il merito fu del giornalista Massimo Della Pergola, cosh etto tuttavia già due anni dopo a cedere i diritti del concorso e a darsi all'ippica (ripiegò infatti sulla gestione del Totip). Ed era un'Italia che aveva voglia di godersi i piccoli piaceri e di farsi aiutare dalla tecnologia. In quel Paese attecchì l'Algida peri gelati e fu possibile la rivoluzione della Candy che importò da noi la lavatrice, alimentando non solo simbolicamente il sogno di un Paese più pulito. Quella stessa Italia comprese che le brutture della guerra potevano essere superate solo se si coltivava il senso del Bello: nacque cosi nel 1946 il concorso di Miss Italia e l'anno seguente venne inaugurato il Premio Strega con le eccellenze letterarie del Belpaese. Una combinazione tra impegno ed evasione testimoniata dalla contemporanea esplosione delle sale da ballo e dalla crescita esponenziale dei quotidiani, il cui numero quasi raddoppiò rispetto al decennio precedente.
Ciò che colpisce, oltre alle tante idee, è lo spirito generale che caratterizzò quegli anni, sintetizzabile nell'espressione «ballare sopra le macerie». Mai ci fu tanta voglia di vita come in quel periodo in cui la gente si sentiva scampata alla morte, mai ci fu tanta voglia di evadere e dimenticare il passato (pur essendo gli anni più vicini alla guerra, furono anche gli anni in cui il popolo fu più riottoso a parlarne e sentirne parlare), mai ci fu tanta sete di futuro come capacità di guardare al destino delle generazioni suc *** cessive (fatto notevole se si pensa che allora molti italiani faticavano a sfamarsi).
Dovremmo quindi stupirci della resilienza di chi visse quel biennio. E forse, più che la Resistenza, imparare a celebrare l'epopea della Resurrezione post-bellica.
(pubblicato su Libero, 5 luglio 2019)