Intervista a Vittorio Paravia

di Mario Avagliano
 
“L’imprenditoria salernitana non ha grande cultura industriale e la classe politica investe troppo poco in formazione”. Ad affermarlo è Vittorio Paravia, 63 anni, un passato di manager di successo dell’industria pubblica e privata, ora vicepresidente nazionale dell’Asfor e presidente della Fondazione Antonio Genovesi e della Sdoa, una delle scuole di alta formazione aziendale più importanti d’Italia, che dal 1991 ad oggi, attraverso i suoi master, ha già impiegato oltre 2.000 occupati in primarie società regionali e nazionali. Paravia sostiene che il sogno di Salerno città industriale “si è arenato”, e che lo sviluppo potrà ripartire solo se “politici, imprenditori e sindacati avranno la capacità di fare sistema”.  
  
Lei è nato a Gragnano.
Sì, anche se mi sono trasferito a Salerno con la famiglia quando avevo appena sei anni di età. Sono cresciuto nell’azienda di famiglia, che fu fondata da mio padre Vincenzo nel 1953 ed è diventata la società leader in Italia nel settore degli ascensori. D’estate papà mi faceva indossare la tuta e mi obbligava a fare la gavetta. Ho lavorato nel settore meccanico, in quello elettrotecnico e anche nel montaggio degli ascensori. Ho montato gli ascensori dell’Hotel San Pietro di Positano, dell’Ospedale di Cerignola e dell’Hotel Metropol di Malta.
Che tipo era suo padre?
Era di origini abruzzesi e quindi era un tipo un po’ chiuso, che difficilmente manifestava i suoi sentimenti. Era anche assai severo nei principi morali. Le sue caratteristiche più nobili erano l’onestà, l’umiltà e la riservatezza. Non gli interessava apparire, ma bensì fare. Ha creato l’ascensorismo nel Mezzogiorno d’Italia e alla sua scuola si sono formate decine e decine di giovani che poi sono diventati imprenditori o manager di questo settore. Gli ascensori della Paravia sono presenti in tutta Italia, dalle metropolitane di Roma e di Milano alla funicolare di Napoli, dalla Stazione Termini di Roma al Teatro alla Scala di Milano. 
Lei si è impiegato nell’azienda di famiglia a 18 anni.
Sono entrato ufficialmente in azienda dopo aver conseguito il diploma di perito elettrotecnico presso l’Istituto Alessandro Volta di Napoli. Ebbi l’incarico di aprire nuovi uffici di assistenza e di manutenzione nel Mezzogiorno e a 24 anni ero già diventato direttore dell’azienda di manutenzione. Poi, nel 1974, quando creammo la Paravia Elevators’ Service, fui nominato amministratore delegato e direttore generale.
Lavorava e studiava…
Non mi accontentavo di diventare un buon direttore tecnico, volevo imparare a leggere un bilancio, ad amministrare una società. E così, quando nel 1969 il sindaco Alfonso Menna portò a Salerno una sede distaccata della famosa Scuola di Amministrazione Aziendale di Torino, promossa dall’Università torinese e dalla Fiat, mi iscrissi al corso di marketing ed amministrazione aziendale e nel 1972 presi il diploma.
Intanto fondava a Salerno l’associazione dei Giovani Imprenditori di Confindustria.
Era il 1971. Io già da qualche anno frequentavo il gruppo nazionale dei giovani industriali, che era nato a cavallo del Sessantotto, contestando la vecchia Confindustria e chiedendo più chiarezza e trasparenza nel mondo industriale. Ebbi quindi l’idea di promuovere l’associazione anche a Salerno e riuscii a mettere assieme una ventina di giovani imprenditori e manager, tra i quali Mario Magaldi, Aldo De Vita e Renato Cavaliere. Fui il primo presidente dei giovani imprenditori salernitani. Successivamente, dal 1974 in poi, fui nominato per ben tre volte di seguito vicepresidente nazionale dell’associazione e responsabile per il Mezzogiorno.
Nel 1977 lei lasciò la gestione dell’azienda di famiglia e passò alla guida della società Navalsud. Come mai? 
Volevo mettermi alla prova su nuovi fronti. E così, quando la Gepi mi mandò a chiamare e mi propose di risanare e rilanciare l’azienda napoletana Cantiere Navale ex Pellegrino, che aveva cambiato la denominazione in Navalsud, accettai la sfida. Ricordo ancora che andai a consigliarmi con il Sindaco Menna. Lui mi disse: “Nella vita, quando passa un treno, salici sopra. Se ti va bene, continui a viaggiare. In caso contrario, alla stazione successiva scendi…”. E io così feci.
E le andò bene?
Direi proprio di sì, Menna aveva ragione. Fui nominato presidente e dopo tre mesi anche amministratore delegato. La filosofia della Gepi era curare l’azienda ammalata e poi metterla di nuovo sul mercato. Nel giro di qualche anno la Navalsud diventò un’azienda qualificata a livello nazionale, che produceva aliscafi di alta qualità, tanto è vero che fu ceduta ai Cantieri Navali Rodriguez di Messina.
Lei ha citato più volte Alfonso Menna, storico sindaco di Salerno. Che giudizio ha di lui?
C’era grande stima tra noi e lui mi voleva bene e riconosceva le mie modeste qualità. Era un uomo lungimirante, che capiva l’importanza della formazione della classe dirigente e perciò volle creare a Salerno una scuola di amministrazione aziendale. L’altro grande merito fu quello di capire che lo sviluppo di Salerno non poteva essere limitato all’agricoltura e al turismo, ma che ci voleva l’industria, e che per fare turismo occorrevano le infrastrutture. Il suo errore fondamentale è stato la costruzione del porto di Salerno nella zona attuale. Io sono per la delocalizzazione del porto nella piana del Sele, sempre che non ci vogliano 50 anni per attuarla, come è accaduto per l’aeroporto di Pontecagnano! 
Negli anni Ottanta, all’attività di manager, lei ha associato l’impegno per lo sviluppo del Mezzogiorno.
Dopo il terremoto del 1980, sotto l’egida dell’allora presidente del Consiglio Spadolini, la Confindustria, l’Intersind e l’Asap diedero vita all’Agensud, l’Agenzia di Sviluppo Socioeconomico delle Regioni Campania e Basilicata. Inizialmente Vittorio Merloni e Guido Carli, ex governatore della Banca d’Italia e presidente della Confindustria europea, mi vollero come presidente del comitato dei referenti. L’amministratore delegato di Agensud era il mio amico Luigi Abete, ora presidente di BNL, che conoscevo dai tempi dell’associazione dei Giovani Imprenditori. Abete privilegiò la politica di finanziamento dei nuovi insediamenti industriali e così, nel 1984, di fronte alle proteste degli imprenditori locali, che non si vedevano corrispondere provvidenze per i danni che avevano subito a causa del terremoto, fui nominato amministratore unico. Credo di aver dato un contributo al risanamento di molte realtà industriali delle province terremotate, e cioè Salerno, Avellino e Potenza.
Lei faceva parte anche della commissione dei contributi della legge 219 sul terremoto.
Fu il Ministro Zamberletti, commissario straordinario del Governo, a designarmi nella commissione consultiva, in qualità di esperto. E’ stata un’esperienza significativa per me. Ne ho viste di cotte e di crude. Politici, imprenditori, sindacalisti, tutti hanno “mangiucchiato” in quella situazione! Io denunciai pubblicamente quel perverso intreccio di affari e subii pesanti minacce personali. Fui costretto a trasferire la mia famiglia da Salerno a Roma. Fui anche convocato dalla commissione parlamentare d’inchiesta, presieduta da Oscar Luigi Scalfaro. In quella sede non feci nomi ma diedi molti indizi, dai quali sono poi derivate indagini giudiziarie che si sono concluse con condanne.
Nel 1986 fondò la Fondazione Antonio Genovesi. Come nacque l’idea?
Era un progetto che partiva da lontano, da quando all’inizio degli anni Settanta ero consigliere di amministrazione dell’Isfa, l’Istituto Superiore di Formazione Aziendale, voluto da Alfonso Menna e nato dalle ceneri della sede distaccata della Scuola di Amministrazione Aziendale di Torino. Il direttore era il professor Vincenzo Buonocore e tra i soci fondatori, oltre al Comune, alla Provincia e alla Camera di Commercio, c’era anche il Banco di Napoli. Purtroppo l’Isfa nel 1978-79 chiuse i battenti, a causa dei contrasti politici tra Gaspare Russo e Clarizia. Io feci mettere a verbale che era una jattura per Salerno e che se nella vita avessi mai avuto l’opportunità di aprire una scuola di alta formazione, l’avrei fatto. Nel 1984, mentre ero all’Agensud, mi ricordai di quell’impegno e decisi di metterlo in atto. 
In che modo?
Mi recai a Milano alla Bocconi e contattai il professor Claudio Demattè, allora presidente dell’Asfor, e gli chiese di studiare la fattibilità di questo progetto. Accettò e diede un importante contributo a delineare la struttura della scuola. Fu lui a coniare anche il nome SDOA, Scuola di Direzione ed Organizzazione Aziendale. La Fondazione, invece, la intitolai ad Antonio Genovesi, un grande economista salernitano del Settecento. 
La prima sede della scuola fu l’Hotel Paradiso a Vietri sul Mare.
Siamo stati lì fino al 1995, quando il presidente della Provincia Alfonso Andria ci ha messo a disposizione l’attuale sede, che si trova in una posizione stupenda, nella baia di Vietri, con 2.500 metri quadrati di superficie.
Il primo Master risale al 1991.
Nel ’91 l’Asfor dettò i criteri per poter istituire un master. Su 20 scuole italiane che chiesero il riconoscimento, lo ottennero solo 8, tra cui la SDOA. Ci tengo a precisare che il riconoscimento di Master non è un diritto acquisito per sempre; bisogna certificare ogni anno che almeno l’80 per cento degli allievi ha ottenuto un posto di lavoro entro 6 mesi dallo svolgimento del corso.
La SDOA che percentuale vanta?
I 17 master che abbiano finora tenuto, hanno fatto registrare una media del 95 per cento di assunti. In questi anni, grazie alla scuola di alta formazione della SDOA, hanno trovato lavoro ben 2.000 giovani. Siamo una vera fabbrica di lavoro!   
Una “fabbrica” riconosciuta a livello internazionale…
E’ vero. Per esempio abbiamo stretto un accordo con la Zaid University di Dubay, negli Emirati Arabi. Quindici ragazzi arabi sono venuti a Vietri per un corso interculturale. Pensi che proprio l’altro giorno uno dei più importanti quotidiani arabi, Al Bayan, ha dedicato due pagine intere alla SDOA e alle opportunità di formazione e di lavoro offerte dalla nostra scuola. E tutto questo nonostante il momento politico internazionale di scontro tra cattolici e islamici, che vede protagonista anche il nostro Paese.
Dall’osservatorio della SDOA, come vede la situazione dell’industria salernitana?
Il grande sogno di Menna di trasformare Salerno in una città industriale si è in parte arenato. In alcuni settori industriali c’è una regressione, in altri prevale la staticità. Questo dipende dalle difficoltà economiche mondiali e nazionali, ma soprattutto dalla scarsa presenza di imprenditoria che abbia quei requisiti di alta cultura industriale necessari per competere nella società attuale.
Non salva niente e nessuno?
Per carità, qualche imprenditore di valore c’è, come Antonio Ferraioli, amministratore delegato della Doria, la prima società del Sud quotata in Borsa. Ma sono eccezioni.
Come se lo spiega? 
Si pagano errori storici, derivanti dal modo in cui è stata fatta l’Unità d’Italia. Non sono un nostalgico dei Borboni, ma va detto che prima della spedizione dei Mille il Mezzogiorno aveva una bella industria. Penso alle Manifatture Cotoniere Meridionali, alle Fonderie di Fratte, ai Cantieri Navali di Castellamare di Stabia, alla seterie di Caserta… Non c’è dubbio che dopo l’Unità d’Italia, le politiche dei governi nazionali hanno penalizzato il Sud. Faccio un solo esempio: il costo del denaro. Nel Mezzogiorno è costato in media 4 punti in più che al Nord. 
Nel Mezzogiorno esistono tuttavia anche realtà economiche fiorenti.
Sono isole nel mare. Anche perché noi meridionali ci siamo fatti del male da soli. Nel Sud manca il gusto del rischio, anche l’imprenditore di successo tende a conservare il patrimonio, non a diversificare gli investimenti. E poi la classe imprenditoriale del Mezzogiorno investe troppo poco in formazione, perché non ha ancora compreso che oggi il vero capitale di un’azienda sono le risorse umane.
Questo accade anche a Salerno?
A Salerno ancora di più che in altre realtà. Con un’aggravante: la frammentazione della società. A Salerno non c’è coesione né tanto meno collaborazione tra i vari componenti di un sistema. Prevale l’individualismo, la gelosia, l’invidia. A parole si predica l’unità, nei fatti ognuno lotta contro l’altro. Questo vale per la classe politica, ma vale anche per la classe imprenditoriale. Manca una strategia. Manca la capacità di umiltà e di fare squadra. Manca la lungimiranza di riconoscere i meriti degli altri. Ecco perché la politica della concertazione è fallita, tranne l’eccezione del patto territoriale dell’agro nocerino-sarnese, che ha dato buoni frutti.
Parla per esperienza vissuta?
Beh, prenda il caso della SDOA. In venti anni, da tutti gli enti che sono soci della scuola, non abbiamo mai ricevuto una lira. La Regione non ha neppure aderito alla Fondazione. Si parla tanto di rilancio del turismo a Salerno, e poi noi organizziamo il terzo master internazionale del turismo, e nessuno ci offre borse di studio. E intanto invece vengono foraggiati “formatori” improvvisati che producono “corsifici” che non servono a niente, e che magari hanno solo il merito di essere protetti politicamente. 
Come si descrive Vittorio Paravia? Pregi e difetti…
Il mio pregio è essere un lavoratore indefesso. Se si tratta di fare mezzanotte per il bene della Fondazione, lo faccio volentieri, e vado sempre al lavoro con entusiasmo e con il sorriso sulle labbra. E’ una virtù che ho nel DNA, visto che me l’ha trasmessa mio padre. Poi credo molto nei valori della lealtà, dell’onestà, della coerenza e dell’amicizia. Il difetto? Sono capatosta, anche se questa caratteristica è anche un pregio. Senza determinazione e senza perseveranza, non si arriva da nessuna parte. L’altro difetto è che a volte pecco di integralismo: dico quello che penso e non riesco ad essere diplomatico. Non sempre è un bene nella nostra società…
 
 (La Città di Salerno, 26 febbraio 2006)
 
 
Carta d’identità
 
Vittorio Paravia è nato a Gragnano (Napoli) il 7 febbraio 1943.
Sposato con Maria Pia Corrado, insegnante di lingue e letteratura straniera ora in pensione.
Ha tre figli: Benedetta, Alessandro e Alberto.
Titolo di studio: baccalaureato in Marketing presso la Scuola di Amministrazione Aziendale Università di Torino, laureato in Sociologia presso l’Università di Salerno
Hobby: La Sdoa. “Non è una battuta - spiega - dedico alla Scuola dodici ore al giorno”.
Film preferito: “L’ultimo bacio” di Muccino e “Match Point” di Woody Allen
Incarichi: Vice Presidente dell’ASFOR e Presidente della "Fondazione Antonio Genovesi Salerno", realtà da lui fondata nell’86. E’ azionista del gruppo Paravia.

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