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Intervista ad Antonio Petti, disegnatore

di Mario Avagliano
 
Il “suo” Pinocchio napoletano, ribelle e anticonformista, più vicino a Masaniello che al modello di Collodi, è stato il soggetto di mostre di successo a Roma, a Napoli e in molte città italiane, è stato rappresentato a teatro e orna anche il parco Lungoirno di Salerno, con un monumento di bronzo e di mosaici colorati. E Antonio Petti, classe 1936, disegnatore, scenografo, uno dei maggiori artisti salernitani, si sente un po’ un Pinocchio e un po’ Pulcinella. Intervistato da la Città, ripercorre la sua carriera ed esprime un duro giudizio sulla Salerno di oggi: “E’ una città senz’anima, anche dal punto di vista culturale ed artistico”.
 
Lei è cresciuto a Napoli?
Sono nato nel centro storico di Napoli, nel quartiere Vasto, ma i miei genitori erano di Nocera Inferiore. Mio padre Natale era impiegato al Tribunale di Napoli e mia madre Anna Marte era casalinga.
Quando ha iniziato a disegnare?
Ero un bambino irrequieto, e così a 9 anni d’età fui mandato a Spoleto, in Umbria, presso il convitto dell’Enpas. Lì ebbi la fortuna di incontrare un istitutore, Luigi Ciacco, che s’interessava d’arte, di cultura e di cinema, e che mi trasmise le sue passioni, facendomi conoscere e frequentare alcuni artisti umbri. Fu in quel periodo che cominciai a disegnare. Ero affascinato dalla magia del foglio bianco da riempire d’inchiostro. E’ un’emozione che provo ancora oggi.
Lei da giovane è stato molto impegnato in politica.
E’ vero. Tornato a Napoli all’età di 16 anni, frequentai per qualche tempo il Liceo classico “Garibaldi”. Tuttavia avevo un forte desiderio di libertà e di partecipare ai fatti della vita. La realtà mi prendeva. Così lasciai la scuola e m’iscrissi al Pci, alla sezione Vicaria, e m’impegnai anima e corpo alla lotta politica.
Perché il Pci?
Mio fratello Gerardo era comunista e poi tutto mi portava lì, le mie radici popolari, la mia sensibilità solidale, le mie letture, da Dostojesky a Hemingway, da Steinbeck a Gorky. Ho un ricordo bellissimo di quegli anni. Conobbi personaggi di grande valore, come Renato Caccioppoli, matematico insigne, eretico e lucido compagno di strada del Pci, protagonista della vita culturale di Napoli, che poi ha ispirato il film “Morte di un matematico napoletano” di Mario Martone, o come gli scrittori Luigi Incoronato, Aldo De Jaco e Enzo Striano, l’autore del bestseller “Il resto di niente”.
E l’arte? 
Proseguii gli studi artistici da autodidatta. Presi la maturità al Liceo Artistico di Napoli da privatista e frequentai saltuariamente l’Accademia di Belle Arti e la facoltà di Architettura, senza peraltro laurearmi. Nel frattempo sviluppavo la mia ricerca grafica e cominciai ad insegnare nelle scuole.
E’ attraverso l’insegnamento che è arrivato a Salerno.
Nel ’65 ebbi l’incarico all’Istituto parificato “Colautti”, poi insegnai a Teggiano e a Sala Consilina, e infine conobbi mia moglie Rina e mi trasferii definitivamente a Salerno. 
Come le sembrò Salerno?
L’impatto fu tragico. C’era la totale assenza di vita culturale. Io venivo dalla realtà napoletana, vivace, ricca di fermenti, e quindi all’inizio faticai ad integrarmi.
Quale fu la sua prima mostra importante?
Fu una mostra a Napoli, nel 1968, alla Galleria San Carlo. Ricordo che fu presentata da Carlo Barbieri, critico della Rai, e che fu recensita anche da Filiberto Menna sulle colonne del Mattino. Io allora lavoravo attorno alle strutture astratte. I miei disegni erano influenzati da una visione razionale dell’arte e della vita.
Negli anni Settanta anche a Salerno ci fu un periodo di grande vivacità artistica e culturale.
C’erano grossi personaggi come Filiberto Menna, Achille Bonito Oliva, Edoardo Sanguineti e soprattutto Luigi Giordano, che guidò a lungo l’Arci, organizzò importanti rassegne di poesia, di letteratura e di teatro e portò a Salerno alcuni grossi gruppi teatrali di fama internazionale, come il Living Theather di Julian Beck e Judith Melina. Devo tuttavia aggiungere che non riuscimmo a coinvolgere la città. La Salerno vera era separata dai movimenti degli intellettuali e andava oltre, tanto è vero che votava a destra.
Lei ha dedicato molti suoi lavori a Masaniello e a Pinocchio. Cosa hanno in comune questi due personaggi?
Masaniello è il ribelle. La sua ribellione primitiva, irrazionale, libertaria, somiglia in qualche modo a quella di Pinocchio, che è il simbolo della ribellione dell’innocenza, dell’infanzia, alle regole degli adulti.
Il suo Pinocchio, però, non è esattamente quello di Collodi.
Il mio Pinocchio è napoletano, e quindi è irridente come Pulcinella. E’ la metafora del mio modo di vedere la vita.
Pinocchio e Masaniello sono personaggi autobiografici?
Mi sento un po’ come loro, anche se con una differenza importante. Il mio sfogo, la mia ribellione, si esprimono sul foglio di carta, attraverso l’arte.
Che cos’è l’arte per lei?
L’arte è un gioco, non è la realtà. In passato, come molti altri, pensavo che l’arte potesse essere risolutiva, potesse contribuire a cambiare le cose. Ora non lo credo più. Purtroppo.
Questa consapevolezza ha cambiato anche il suo modo di disegnare?
Eccome. Prima il mio tratto era più duro, più deciso. Ora disegno figure un po’ fantastiche, separate dalla realtà. Credo che sia frutto di una visione più matura del mondo e della vita, più distaccata.
Qual è la mostra alla quale è più legato dal punto di vista affettivo?
La mostra “Disegni per Masaniello”, che si tenne nel 1979 a Roma e poi presso la galleria Il Portico di Cava de’ Tirreni, diretta da Sabato Calvanese e Tommaso Avagliano, e fu presentata da Domenico Rea ed Enzo Striano. Tutte persone che mi sono rimaste care nel tempo.
Che tipo era Domenico Rea?
Una persona all’apparenza amena ma in realtà assai seria e professionale. Impiegava giorni per scrivere una pagina. Era uno che andava in fondo alle cose e conosceva bene gli uomini.
Qual è la raccolta di disegni della quale va più fiero?
I disegni de “Il Vangelo di Luca”, che pubblicai nel 1976. E’ una raccolta di disegni civili. Era un tempo in cui si sperava molto e si lottava. C’era una coscienza ideale e morale nel nostro Paese e una forte spinta al cambiamento. 
Come definirebbe la sua arte?
Un’arte autonoma, indipendente dalle mode. Sono sempre andato controcorrente.
La sua tecnica preferita è il disegno.
Sì, io amo il pennino e l’inchiostro di china. Per me riempire la carta bianca è sempre un momento magico e affascinante. E’ un po’ come fare l’amore: si prova sofferenza, trasporto e anche il sentimento del tradimento, quando quello che volevi non ti riesce. 
Nel corso della sua carriera, lei ha lavorato molto anche per il teatro, come scenografo. Come mai?
Non è stata una cosa voluta, probabilmente il mio mondo artistico si sposa bene con il teatro. Quando cominciai a lavorare intorno alle figure e alle maschere, i teatranti vennero a cercarmi e a propormi progetti comuni. Tra i progetti più belli ai quali ho lavorato come scenografo e costumista, c’è lo spettacolo "La Ballata di Pinocchio" di Luigi Compagnone, prodotto dal Teatro Studio di Salerno, in scena al Mercadante di Napoli, che ha visto la partecipazione del mimo Michele Monetta ed ha vinto il I Premio al "Festival Nazionale Teatro Ragazzi" a Padova, 19° edizione.
Come giudica la Salerno di oggi?
Mi sembra una città un po’ scollata, senza identità; non disperata, ma assente rispetto alla realtà. Insomma, una città senz’anima, anche dal punto di vista artistico e culturale. A parte l’eccezione lodevole delle grandi mostre di Picasso e di Mirò, per il resto regna il niente.
Pietro Lista sostiene che a Salerno si avverte la mancanza di Filiberto Menna. Condivide?
Guardi, senza nulla togliere a Filiberto Menna, del quale ho avuto sempre grande stima, io sento la mancanza di Luigi Giordano, che ha rappresentato una coscienza vigile della città, è cresciuto nella città e della città e ha dato tantissimo a Salerno.
Tra gli artisti salernitani, chi stima di più?
Apprezzo il rigore artistico e l’onestà dello scultore e pittore Antonio Della Garzia. 
E tra i giovani?
Ritengo che uno dei talenti emergenti più interessanti sia Marco Vecchio, figlio di Sergio Vecchio.
A che cosa sta lavorando in questo momento?
Sto preparando una raccolta di 80-90 disegni che presenterò a settembre a Cava de’ Tirreni, nel complesso di S. Maria del Rifugio. Sono disegni fantastici, un po’ aerei. Sarà l’occasione per il mio ritorno a Cava, una città che amo molto, è stata compagna di viaggio della mia vita e che mi ha dato tanto affetto e amicizia.  
 
(La Città di Salerno, 7 maggio 2006)
 
 
Carta d’identità
 
Antonio Petti è nato a Napoli il 18 giugno 1936 e vive a Salerno dal 1965.
E’ sposato con Rina Del Duca, cilentana di Vallo della Lucania, ha due figli (Maria Giulia e Francesco) e due nipoti.
Hobby: la lettura.
Libri preferiti: i romanzi di Louis-Ferdinand Céline.
Film del cuore: “La strada”, di Federico Fellini.
 
Carriera: Disegnatore e scenografo, si è dedicato alla ricerca grafica fin da giovanissimo. Ha esposto i suoi lavori in mostre personali e collettive, in Italia ed all'estero. Della sua grafica si sono occupati, con recensioni e presentazioni, scrittori e critici di chiara fama, come Edoardo Sanguineti, Filiberto Menna, Paolo Ricci, Enrico Crispolti, Enzo Striano, Luigi Compagnone, Domenico Rea, Dario Micacchi, Francesco Vincitorio, Aldo Trione.
Ha realizzato il "Monumento a Pinocchio", in bronzo e pietre colorate, collocato nel Parco Lungoirno di Salerno.
Per il teatro ha creato scenografie e costumi. Lo spettacolo "La Ballata di Pinocchio" di Luigi Compagnone, prodotto dal Teatro Studio di Salerno, ha vinto, anche grazie alle sue scene ed ai suoi costumi, il I Premio al "Festival Nazionale Teatro Ragazzi" a Padova, 19° edizione.
È autore del romanzo "Città della luna" (1998), edito da Piero Manni in Lecce, da cui è stato tratto uno spettacolo teatrale di grande intensità.
È autore dei seguenti libri di disegni: Il Vangelo di Luca, prefazione di Dario Micacchi, Ed. «Palladio», 1976; Disegni per il Novellino, prefazione di Enrico Crispolti, Ed. «Laveglia», 1976; Disegni per Masaniello, prefazione di Domenico Rea ed Enzo Striano, Ed. «Il Lavoro Tirreno», 1979; Pinocchio, cartella di sei acqueforti con presentazione di Luigi Compagnone, Ed. «Il Laboratorio», 1982; Nero di China, prefazione di Vitaliano Corbi, Ed. «Loffredo», 1998.
Ha curato le illustrazioni de "Lo cunto de li cunti" di Giambattista Basile, commissionatagli dal Parco Letterario di Bracigliano (Salerno).
I disegni si trovano ora nel Museo della Fiaba di Giffoni Sei Casali (Salerno). 
Per l'editore Loffredo di Napoli ha scritto vari testi di Educazione Artistica adottati in tutt'Italia.
Ha inoltre collaborato, come disegnatore ed illustratore, a vari quotidiani e riviste. Tra essi si segnalano: «Il Mattino», «Il Mattino Illustrato», «Paese Sera», «La Voce della Campania», «Il Corriere di Napoli», «Quaderni Emiliani», «Oggi».
 
 

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