Intervista a Massimo Venturiello, attore
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di Mario Avagliano
Se c’è un attore in Italia che è capace di spaziare fra tutti i generi teatrali, da quello classico a quello contemporaneo, passando per il cinema, la televisione, l’attività di doppiatore e, più di recente, anche il canto, è il cilentano Massimo Venturiello, 46 anni, originario di Roccadaspide. Alla vigilia del suo debutto in L’opera da tre soldi di Bertolt Brecht e Kurt Weill, per la regia di Pietro Carriglio e l’allestimento del Teatro Biondo di Palermo, Venturiello ci racconta che la sua carriera è iniziata con un monologo dedicato ai contadini della sua terra, intitolato A’ sguerra. Poi critica duramente il teatro italiano attuale (“spesso è noioso e comunque è troppo legato al melodramma”) e parla dei suoi progetti futuri, che potrebbero incontrarsi con quelli del grande Roberto De Simone.
Lei è nato nel profondo Cilento.
Ho un ricordo molto forte degli anni dell’infanzia nel Cilento. Io poi ho avuto la ventura di nascere in carcere. Mio padre Pasquale era una guardia carceraria ed io ho vissuto i primi sei anni della mia vita nell’istituto carcerario mandamentale di Roccadaspide. Abitavamo nella cosiddetta via Larga, che fluiva accanto a un’altra via che in paese chiamavano Stretta. Certo, era un carcere di provincia, dove erano rinchiusi i ladri di pollo più che i grandi killer… Però ancora oggi, a volte, mi torna in mente l’immagine di mia madre che prepara la pasta e patate ed io che la mangio seduto sulle gambe di un carcerato.
Spero che non trascorresse tutto il tempo… dietro le sbarre!
No, no… Ricordo che con i miei due fratelli andavamo spesso in soffitta, dove c’era la gabbia dei conigli. D’inverno ci affacciavamo alla finestra e raccoglievamo la neve che si era depositata sul davanzale per confezionare gustose granite casalinghe. A Natale aiutavamo mio padre a costruire il presepe, utilizzando le scatole di cartone per fare le case e la farina per simulare la neve.
Roccadaspide com’era in quegli anni?
Era un paese molto povero, essenzialmente contadino. E Castel S. Lorenzo, il paese originario di mio padre, era ancora più arretrato. L’olio, per esempio, non esisteva. La sugna era il condimento ufficiale di tutti i piatti! Aveva un odore penetrante, e io che ero bambino, non riuscivo a sopportarla, mi nauseava un po’. La realtà sociale aveva tratti di paganesimo. C’era anche una comunità di zingari, integrata nel paese. Io giocavo nell’orto degli ulivi con i zingarelli. A ripensarci, sembrava un’altra epoca, sembrava di vivere ancora nell’Ottocento.
Quando lei aveva quasi sette anni di età, la sua famiglia si trasferì a Roma.
Feci in tempo a frequentare la prima elementare a Roccadaspide, poi mio padre fu assunto come ufficiale giudiziario prima a Milano e poi nella zona della Sabina, e così ci trasferimmo a Roma. Per me fu uno shock, avvertii molto il distacco dalla vita del paese. Forse anche per questo, nonostante che ami molto Roma e non la cambierei per nessuna città al mondo, non mi sono mai sentito un romano. Ho sempre avuto il senso delle mie radici cilentane, salernitane, meridionali.
Come nacque la sua passione per la recitazione, per l’arte?
Un po’ è stata l’influenza familiare, mio fratello Ennio Rega è un cantante, ha vinto un disco d’oro e ha partecipato anche al Premio Tenco, un po’ è stata la casualità della vita. Un giorno andai con gli amici a vedere in un teatro di Roma il Masaniello di Armando Pugliese. Rimasi tanto colpito, che il mattino dopo m’iscrissi all’Accademia d’arte drammatica. Allora, però, non avrei mai immaginato che 23 anni dopo, nel 1997, Armando mi avrebbe chiamato a recitare il ruolo di protagonista nella riedizione di quello spettacolo.
Erano le sue radici campane che tornavano a galla…
Infatti in quell’occasione per me è stato molto utile recuperare il dialetto che avevo imparato nel Cilento e poi anche a Roma, dai miei genitori. E non è tutto, anche i miei inizi e la mia carriera hanno a che fare con le mie origini. Il mio primo vero successo, quello che mi ha fatto conoscere come attore teatrale, è stato un monologo sui contadini del Cilento, che s’intitolava “A’ sguerra”, scritto da Ludovico Parenti. Il giorno dopo la rappresentazione, non esagero affatto, nell’ambiente non si parlava che di me!
Allora il giovane Venturiello era appena uscito dall’Accademia.
Stiamo parlando più o meno della prima metà degli anni Ottanta. A Roma stava venendo fuori una bella generazione di attori: Fabrizio Bentivoglio, Massimo Ghini, Luca Barbareschi, Paolo Rossi, Sergio Rubini, Claudio Bisio, Elisabetta Pozzi, Benedetta Buccellato. Io alternavo il teatro classico (in particolare Shakespeare) ai contemporanei. Con Sergio Rubini e Barbareschi fummo i primi ad esportare in Italia il teatro parlato americano, con l’uso anche del turpiloquio. Ricordo che una volta, in Sicilia, quando mettemmo in scena American Buffalo di Mamet, molti degli spettatori si infuriarono, inveirono contro di noi ed abbandonarono la sala.
Quali sono gli spettacoli che le sono rimasti di più nel cuore?
E’ difficile rispondere. Andando per esclusione, direi Giacomo il prepotente di Manfridi, in cui recitavo la parte di Antonio Ranieri, e Masaniello di Armando Pugliese. D’altra parte per me Pugliese è il regista teatrale che amo di più in assoluto, è il numero 1. In un panorama come quello attuale che, peraltro, è abbastanza grigio.
Che cosa c’è che non va nel teatro italiano?
Bah, spesso è noioso e troppo legato al melodramma. Forse porta i meriti e i demeriti dell’Italia di oggi, rispecchia semplicemente il Paese, che vive una realtà un po’ bassa, un po’ povera, anche a causa dei politici che lo governano. Il risultato è che nei teatri hanno successo i trionfi di serie B, i remake di cose già fatte. L’epoca di Strehler è finita. Anche se ogni tanto nascono spettacoli interessanti, come il bellissimo Edoardo proposto da Servillo.
Il teatro, comunque, è stato sempre il suo grande amore, più del cinema.
Il mio modo di recitare è legato a una certa fisicità, all’intonazione della voce. Quindi la mia dimensione ideale è il teatro, in particolare il teatro-evento, all’aperto. Penso agli scenari naturali di Paestum e di Siracusa, o anche allo spettacolo che ho fatto l’anno scorso su una nave. Al cinema, invece, la bravura spesso si vede nell’entrare nell’inquadratura. Certo, bisogna essere sciolti, naturali. Però, anche professionalmente, il quotidiano del cinema è noioso. Quando giri un film, passi le giornate in continua attesa. E’ sempre valido quello che diceva Edoardo: “Vuoi fare il cinema? Accattate na’ seggia”.
Lei ha lavorato con registi cinematografici importanti, dai fratelli Taviani a Gabriele Salvatores, da Lizzani a Bertolucci. L’esperienza più bella?
E’ stata quella di un film che non doveva essere un film, ma un documentario: L’autostop, per la regia di Michalcov, che è un vero artigiano del cinema. Durante le riprese mi è capitato più di una volta di commuovermi. Mi sono trovato molto bene anche con Gabriele Salvatores. Girando Marrakesh Express ci siamo molto divertiti, e con lui è rimasto un rapporto di affetto. Un altro regista che ho incrociato e mi piacerebbe ritrovare è Carlo Lizzani. E’ stato stimolante anche recitare al fianco di Luciana Litizzetto, in Ravanello Pallido. Devo dire che quando lavoro per il cinema, preferisco il genere brillante e i ruoli comici.
Massimo Venturiello in passato è stato anche doppiatore. Ha prestato la voce a Bruce Willis, a Dennis Quaid e anche a qualche personaggio dei cartoni animati.
Ho un po’ abbandonato questa attività, anche se non nego di essermi divertito, soprattutto quando ho doppiato Ade nel film di animazione Hercules o la macchina volante nella serie di cartoons Supercar, soprattutto perché ho potuto giocare con la mia voce.
Di recente lei ha recitato al Teatro Verdi di Salerno, nella messa in scena di Brancaleone. Che impressione le ha fatto?
E’ un teatro bellissimo, è stato restaurato molto bene. E anche il pubblico salernitano mi è piaciuto. Mi è sembrato attento e competente. Ho avuto una sensazione molto calda.
Martedì 9 dicembre Venturiello debutta in un nuovo spettacolo, L’opera da tre soldi di Bertolt Brecht e Kurt Weill, nell’allestimento del Teatro Biondo Stabile di Palermo per la regia di Pietro Carriglio.
E’ una rappresentazione straordinaria, con 40 attori, che si svolge, come scenario, nei bassifondi di Londra, e che è stata arricchita dalla presenza dell’orchestra dal vivo del Teatro Massimo di Palermo. Tra l’altro, grazie a questo lavoro ho scoperto di avere anche una vena musicale. Avevo paura di dover affrontare la prova del canto, invece pare che me la cavi molto bene. Va a finire che un giorno o l’altro mi ritroverò a Sanremo…
Quale personaggio interpreta?
Io sono Macheath, detto Mackie Messer, il capo di una piccola banda di criminali che finirà per essere condannato all’impiccaggione. E’ un personaggio leggero, elegante. Pensi che, poco prima di essere impiccato, sta lì a ridere. E’ un po’ il classico antipatico-simpatico. E’ un ruolo davvero affascinante, che fu interpretato in passato da Modugno. Per me non è che sia un termine di paragone facile!
Progetti nel cassetto?
La rappresentazione di Scaramouche, che deve la sua notorietà e il suo nome all'attore che per lungo tempo ne indossò la maschera, il napoletano Tiberio Fiorilli. L’idea è di farne una commedia musicale basata sul mondo napoletano, scritta 2-3 anni fa. Magari, chissà, potrebbe essere l’occasione per lavorare insieme a Roberto de Simone, un artista che stimo totalmente. Prima ero frenato dal timore di dover cantare, ma adesso che ho scoperto che mi piace, tutto è possibile…
Torna mai nella sua terra d’origine?
Ogni tanto, soprattutto d’estate. Roccadaspide si è trasformata, è diventata un centro abbastanza importante del Cilento. Non è più il paesello della mia infanzia. In particolare mi piace assistere alla festa di S. Cosmo e Damiano, che si tiene a fine settembre a Castel S. Lorenzo. Quello spettacolo mi affascina tantissimo, fin da quando ero un bambino cilentano che sognava ad occhi aperti guardando le stelle dalle finestrelle del carcere…
(La Città di Salerno, 7 dicembre 2003)
Scheda biografica
Massimo Venturiello nasce a Roccadaspide (Salerno) il 4 agosto del 1957. Dal 1979 al 1982 studia all'Accademia d'arte drammatica “S. D'Amico”. Debutta con Gabriele Lavia nel Tito Andronico di Shakespeare. Da allora lavora quasi sempre come protagonista in diversi spettacoli, alternando drammaturgie classiche e contemporanee e impegnandosi anche sul fronte del teatro di ricerca: American Buffalo di D. Mamet; La mandragola di N. Machiavelli, regia M. Scaccia; True West di S. Shepard, regia F. Però; Un saluto, un addio di A. Fugard, regia F. Però. Stringe una proficua collaborazione con il Teatro stabile di Genova: La putta onorata di C. Goldoni, regia M. Sciaccaluga; Jacques e il suo padrone di M. Kundera, regia L. Barbareschi; Giacomo il prepotente di G. Manfridi, regia P. Maccarinelli (1987). Passa poi al Teatro stabile di Torino dove recita nel Timone d'Atene diretto da W. Pagliaro. Cura la regia di Jazz e di La sonata di Kreutzer da L. Tolstoj. Con il regista di G. P. Solari inaugura un nuovo sodalizio che lo porta a interpretare La musica in fondo al mare di M. Confalone, Una notte poco prima della foresta di B. Koltés e Brancaleone (1998). Nel 1996 è la volta di La rosa tatuata di T. Williams, con la regia di G. Vacis, dove è al fianco di V. Moriconi, nella parte che fu di B. Lancaster nella celebre trasposizione cinematografica. Va ricordata anche la sentita partecipazione alla riedizione di Masaniello, con la regia di A. Pugliese (1997). Successivamente ha lavorato in Liliom un amore zingaro (2000), commedia musicale da Ferenc Molnar, per la regia di Maurizio Panici, con musiche del fratello Ennio Rega; e in Aiace (2001), regia di P.Gazzara. Quest’anno è già andato in scena in Navigazioni di T. Conte, con il Teatro della Tosse di Genova, e in Macbeth di Shakespeare, al fianco di Mariangela D’Abbraccio (2003). Per il cinema e la televisione ha lavorato con diversi registi tra cui: G. Salvatores, N. Michalcov, P. e V. Taviani, E. Scola, M. Ferrero, S. Bolchi, M. Ponzi, C. Vanzina, C. Lizzani, G. Bertolucci. Tra i film da lui interpretati, Good morning Babilonia (1997), I miei primi quarant’anni (1987), Marrakesh Express (1989), Cattiva (1991), Vietato ai minori (1992) e Ravanello pallido (2001).In televisione ha partecipato, tra l’altro, agli sceneggiati Il giovane Casanova (Canale 5, 2002) e Padri (RaiUno, 2002)
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