Storie - il mio ricordo di Elio Toaff

di Mario Avagliano
 
Sulla straordinaria figura di Elio Toaff, ex partigiano, rabbino, intellettuale, uomo del dialogo interreligioso, si è scritto, a giusta ragione, molto in queste ore. Voglio citare un episodio che ho riportato nel mio libro “Di pura razza italiana”, relativo al periodo successivo alle leggi razziste del 1938.
Nel suo libro di memorie (Perfidi giudei fratelli maggiori, Mondadori) Toaff ha raccontato che nell’anno accademico 1938-39 all’università di Pisa, alla quale era iscritto, si recò ben poco perché il «viaggio Livorno-Pisa e viceversa era diventato una specie di calvario per gli studenti di razza ebraica, esposti al dileggio e al disprezzo – qualche volta anche alla violenza – degli studenti fascisti».
In una successiva intervista del 2006, Toaff ha ricordato che una volta, durante il viaggio di andata, «alcuni giovani fascisti mi avevano fermato, mi avevano fatto distendere in uno scompartimento, mi avevano spogliato e avevano scritto delle frasi ingiuriose sulla mia pancia».
Al ritorno a casa, su consiglio del professore di diritto commerciale Lorenzo Mossa (l’unico che in quel clima aveva avuto il coraggio di assegnargli la tesi), Toaff scattò una fotografia di quelle frasi, a futura memoria. Una fotografia che, rivelò nell’intervista, conservava tuttora. 
Forse è ancora lì tra le sue carte. A testimoniare l’Italia razzista del 1938 e il coraggio di un ragazzo ebreo che non si piegò mai alla violenza.
 
(L'Unione Informa e Moked.it del 21 aprile 2015)
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Intervista ad Emilio Gentile: 'La Resistenza valore fondante da condividere'

di Mario Avagliano

Il 25 aprile ricorda in modo specifico il movimento partigiano. In quegli anni ci furono altre forme di opposizione al nazismo e al fascismo, come la resistenza degli internati militari, che rifiutarono di aderire alla Repubblica sociale. Ma si tratta di un fenomeno diverso dai partigiani. Comunque la storiografia oggi ha approfondito anche questi aspetti. Ci sono state ricerche importanti, ad esempio su Cefalonia e sulla resistenza di matrice moderata.
Ha contato anche il clima della guerra fredda?
La guerra fredda è stata decisiva nel rompere il fronte comune della Resistenza, facendo emergere l’antagonismo ideologico tra i vari partiti del Cln, presente fin dal 1946, e favorendo una diversa rappresentazione pubblica degli eventi. Ad esempio, nell’immediato dopoguerra ci fu il tentativo del partito comunista di agitare il vessillo della Resistenza come una rivoluzione incompiuta o tradita dai governi democristiani. E negli anni Cinquanta e Settanta il mito della Resistenza venne di volta in volta rianimato a seconda dell’andamento del conflitto politico e per contrastare il risorgente neofascismo. Di recente si è arrivati quasi a dissolvere questo mito nell’oblio, specialmente per le nuove generazioni.
Nell’ultimo ventennio dal mito della Resistenza si è passati quasi all’antimito, come nel libro “Bella ciao” di Giampaolo Pansa.
In questo la storiografia c’entra poco. Va sempre distinto il piano della storiografia da quello della pubblicistica, la quale quasi sempre non ha aggiunto niente di nuovo a quanto già accertato dalla ricerca storiografica, ma ha presentato semplicemente i fatti con una visione polemica o scandalistica.
Ma c’è del vero nella tesi che i comunisti parteciparono alla Resistenza solo in funzione della rivoluzione proletaria?
Ogni partito contribuì alla Resistenza con il proposito di andare al di là dell’obiettivo immediato e necessario di liberare l’Italia dal nazifascismo. Ma nei fatti i comunisti non fecero la rivoluzione, contribuendo invece, assieme alle altre forze politiche, alla fondazione della Repubblica e alla Costituzione.
La vigilia di questo 25 aprile è stata caratterizzata da una polemica assai aspra sulla partecipazione della Brigata Ebraica e dei rappresentanti dei palestinesi al corteo romano. 
È molto triste. Oltre che da storico, lo dico da cittadino. Il 25 aprile dovrebbe costituire il momento in cui si mettono da parte le differenze ideologiche e politiche e si pone l’accento sui valori comuni della Resistenza. E poi non dimentichiamoci che questa festa ricorda un evento avvenuto in Italia nel 1945: la liberazione. La bandiera che sventolava il 25 aprile del 1945 era quella italiana, ed è l’unica che dovrebbe sventolare nella ricorrenza della Liberazione.
Il 26 gennaio 1955, a Milano, Piero Calamandrei, in un famoso discorso ad un gruppo di studenti, affermò: “Se voi volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani”.
È vero. I partiti della Resistenza realizzarono la Costituzione firmata nel dicembre del 1947. E questo nonostante che già durante la celebrazione del 25 aprile del 1947 fossero profondamente lacerati e antagonisti. Vuol dire che qualcosa di quello spirito comune era rimasto.
Il contributo alla guerra di liberazione da parte della Resistenza e del ricostituito esercito italiano come cobelligerante contò alla conferenza di pace a Parigi dell’agosto 1946?
Sì certamente, fu molto importante perché evitò all’Italia di fare la fine della Germania e di essere divisa in zone di occupazione fra americani, inglesi,francesi e jugoslavi.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha dichiarato alla Camera che non è possibile equiparare i resistenti con i combattenti di Salò.
Mi pare una dichiarazione di buon senso storico. Erano due gruppi di italiani animati da valori completamente contrapposti che si combatterono come nemici. Da una parte c’era chi combatteva per la democrazia e per la libertà, dall’altra parte chi combatteva per conservare, restaurare o addirittura espandere il regime totalitario e razzista. È vero, ci fu chi aderì a Salò in buona fede e per patriottismo, ma la buona fede non cambia la sostanza delle cose. Anche le SS erano in buona fede e patriottiche.
In Italia ci fu “una guerra civile”, come ha sostenuto Claudio Pavone nel suo saggio del 1991?
All’epoca ne erano già convinti i combattenti di entrambe le parti. La storiografia non ha fatto altro che prendere atto di una realtà che per molto tempo è stata ignorata perché si temeva che, parlando di guerra civile, si mettessero sullo stesso piano i resistenti e i combattenti di Salò.
La Resistenza è stata tradita dalle classi dirigenti del dopoguerra?
Si possono avere giudizi diversi sul grado di realizzazione degli ideali della Resistenza. Ma se oggi possiamo parlare liberamente anche di questo, è il prodotto della libertà che la Resistenza ha contribuito a riportare in Italia.
Sui confini orientali però ci furono scontri violenti tra le bande partigiane comuniste e cattoliche ed episodi come l’eccidio di Porzus.
Sono episodi tragici legati a situazioni particolari, su cui si è fatta ampiamente luce e che comunque non mettono in discussione il valore generale della Resistenza.
Neppure le vendette del dopoguerra?
Beh, qui siamo fuori dal perimetro della Resistenza. È come quando si vuol negare il valore storico e ideale del Risorgimento, parlando della repressione piemontese del brigantaggio.

(Il Messaggero, 22 aprile 2015)

La storia dell'eroismo ebraico. Il diritto di liberare i propri fratelli e di combattere l'islamofascismo

Intervista a Mario Avagliano sulla storia della Brigata Ebraica

a cura di Leonardo Rossi

Come e perché nasce l'idea di costituire una Brigata Ebraica? 
Già dopo l'invasione tedesca della Polonia, nel settembre del 1939 l'Agenzia Ebraica offrì l'appoggio della comunità ebraica di Erez Israel allo sforzo bellico degli Alleati e propose di dare vita, come già avvenuto durante la Grande Guerra, a una forza armata ebraica che partecipasse al conflitto contro l’odiato Hitler, che perseguitava da anni gli ebrei in Europa. Londra respinse a lungo la proposta, temendo da un lato la reazione degli arabi e dall’altro che questo significasse un lasciapassare al processo di costituzione di uno Stato ebraico. Ai  volontari arabi ed ebrei fu consentito solo di entrare nelle varie unità dell'esercito inglese.  Ma alla fine, dopo sei anni di negoziazione, la campagna ebraica per un esercito nazionale, alimentata da personaggi come Vladimir Jabotinsky, uno dei fondatori della Legione ebraica dell’esercito britannico durante la Grande Guerra, Chaim Weizmann, leader del Movimento Sionista, e Benzion Netanyahu, padre dell’attuale premier di Israele, e appoggiata anche oltreoceano, ad esempio da molte stelle di Hollywood e di Broadway, ebbe finalmente successo. Fu Winston Churchill, subentrato a Neville Chamberlain alla guida del governo, a dare il via libera nel settembre del 1944, d'accordo col Presidente americano Roosevelt, alla creazione della Brigata Ebraica, esprimendo il suo favore all'idea che gli ebrei potessero combattere “contro gli assassini dei loro connazionali in Europa”.
Quando la Brigata viene fatta arrivare a Taranto, per cominciare la risalita, gli italiani come hanno reagito a una presenza militare così ben identificabile? In fondo, non si sostiene la tesi che gli italiani fossero antisemiti?
In realtà già a partire dall’agosto del 1943 piccole unità o compagnie di soldati ebrei parteciparono alla campagna d’Italia. Ad esempio ci fu una compagnia che sbarcò a Salerno e poi aiutò la popolazione napoletana e gli ebrei della città. E un’altra compagnia, arrivata a Taranto nel novembre del '43, realizzò finte strutture militari per ingannare i comandi tedeschi. Quanto alla Brigata Ebraica, era costituita da tre battaglioni, per un totale di circa 5.500 volontari ebrei provenienti dalla Palestina, allora sotto Mandato britannico, guidati dal generale Ernest Benjamin, ebreo di cittadinanza canadese. La Brigata si addestrò in Egitto, venne inquadrata nell’Ottava Armata e a novembre del 1944 fu destinata al fronte italiano, con un’insegna di battaglia particolare: una stella di David color oro su sfondo a strisce bianche e azzurre. La stessa bandiera che poi venne adottata dallo Stato di Israele. La notizia della costituzione di una unità combattente ebraica suscitò una reazione abbastanza stizzita da parte della propaganda tedesca e di quella della Repubblica di Salò. Le radio tedesche criticavano Churchill per aver permesso "ai giudei di avventarsi come cani idrofobi contro il popolo germanico”, parlando addirittura di “sanguinaria brigata giudaica". Nel nostro Paese, però, dopo la caduta del fascismo gli italiani avevano aperto gli occhi. E in pianura padana i nostri soldati combatterono fianco a fianco con quelli della Brigata Ebraica contro nazisti e fascisti di Salò. 
La Brigata si è distinta in importanti azioni militari, come lo sfondamento della Linea Gotica nella Vallata del Senio, come mai la sua memoria si è così affievolita fino a scomparire?
Il battesimo del fuoco della Brigata Ebraica avvenne in Romagna, con la partecipazione alle operazioni militari alleate per forzare il fronte del Senio, che le procurarono più di 40 vittime fra morti e dispersi, 150 feriti e 21 decorati al valore sul campo. Ai primi di marzo del 1945 la Brigata ebbe il compito di controllare il fronte a nord di Ravenna e poi  il 27 marzo fu trasferita nel settore di Riolo dei Bagni, dove assieme al Gruppo di Combattimento Friuli del ricostituito esercito italiano liberò la cittadina termale. Non fu la sola città liberata dai soldati ebrei, che intervennero anche a Cuffiano, Riolo Terme, Ossano, Monte Ghebbio, La Serra, Imola.
Ci sono anche lati oscuri della loro attività in Italia. Come la decisione di avviare un vero e proprio ufficio di aiuto per l'emigrazione ebraica a Milano, in via Cantù 5. Le forze italiane sapevano di questo esodo organizzato?
Non parlerei di lati oscuri. L’attività delle compagnie militari ebraiche e poi della Brigata Ebraica di aiuto agli ebrei che intendevano recarsi in Israele era nota ed era svolta alla luce del sole. Proprio allo scopo di coordinare l'opera di soccorso ai profughi ebrei che stavano affluendo nell'Italia meridionale, venne costituito a Bari un "Centro profughi", poi trasferito a giugno del 1944 a Roma, a seguito della liberazione della capitale. Man mano che gli alleati risalivano la penisola, altri centri profughi furono istituiti in varie altre città, come Ancona, Ravenna, Firenze, Arezzo, Siena e nella primavera-estate del 1945 in varie città dell'Italia settentrionale, come Milano. L’obiettivo era quello di recuperare i sopravvissuti alla Shoah e addestrare in appositi centri di preparazione professionale chi era interessato a "salire" in Israele. Fu importante anche l'attività dei militari ebrei nell'opera di ricostruzione morale e materiale delle comunità ebraiche delle città liberate. Dopo la persecuzione fascista e la caccia all’uomo da parte dei nazisti e della polizia di Salò, per gli ebrei italiani l'incontro con soldati con il simbolo ebraico della stella di David, fu davvero emozionante. Nell’estate del 1945, infine, le unità della Brigata Ebraica presidiarono il confine con l’Austria, proprio per facilitare il transito dei sopravvissuti dell'Olocausto verso la Palestina. In seguito molti veterani della Brigata diventarono membri attivi nel "Bricha", il movimento clandestino che permise l’immigrazione di migliaia di profughi ebrei in Israele, e poi parteciparono alla guerra del 1948 che portò alla fondazione del nuovo Stato.
Adesso, a Roma è esplosa la polemica per il rifiuto da parte dell'Aned e della Brigata Ebraica di partecipare alla manifestazione in Campidoglio accanto alle bandiere palestinesi. A loro avviso, erano alleati dei nazisti. 
Credo che il problema sia più generale. La manifestazione del 25 aprile riguarda un evento cruciale della nostra storia: la liberazione del nostro Paese dal nazismo e dal fascismo e il ritorno della libertà e della democrazia. L’unica bandiera che dovrebbe sventolare in piazza e nei cortei è quindi quella italiana, tutt’al più assieme a quella delle formazioni partigiane e di chi contribuì alla guerra di liberazione. Fatta questa premessa, a “rigor” di storia non c’è dubbio che, come per primo capì il compianto presidente dell’Anpi Massimo Rendina, la Brigata Ebraica è pienamente legittimata a partecipare alla celebrazione con i suoi vessilli, le bandiere palestinesi invece non c’entrano niente. Ci sono altre occasioni per manifestare la vicinanza o meno alla causa palestinese. 
Vogliamo dire qualche parola sulla “amicizia” palestinese durante la II Guerra Mondiale, da che parte stavano loro? Chi era il Gran Muftì di Gerusalemme e che relazione aveva con Adolf Hitler?
Muhammad Amīn al-Husaynī, che all’epoca era Gran Muftī di Gerusalemme, è stato uno dei principali leader nazionalisti arabi e forse il più feroce e determinato oppositore del progetto di nascita di uno Stato ebraico in Palestina, sostenendo al contrario la creazione di uno Stato islamico. Fu questo il motivo che lo spinse ad allearsi a doppio filo con la Germania di Hitler e l’Italia di Mussolini, collaborando con le forze dell’Asse durante la seconda guerra mondiale, con attività di propaganda e di sabotaggio e l’arruolamento di una divisione di militanti islamici bosniaci nelle formazioni delle SS, in funzione antiebraica. Amīn al-Husaynī condivideva il progetto di Hitler dello sterminio finale degli ebrei e dal 1941 si trasferì a Berlino, dove rimase fino alla fine della guerra. Ormai la storiografia ha accertato, sulla base di una grande quantità di documenti e di carteggi, che il movimento di Amīn al-Husaynī e i vertici del nazismo erano collegati e lavorarono di comune accordo contro la comunità israelitica internazionale e le democrazie occidentali.
Perché l'islamismo si è legato a doppio filo con il nazismo? E come mai buona parte dei gerarchi scampati alle vendette sono scappati in paesi arabi a trazione Baathista. C'è un collegamento di fondo tra baathismo e nazismo?
Sarebbe sbagliato generalizzare. L’Islam non è un monolite indistinto e ci sono anche componenti del mondo islamico moderate e democratiche. Inoltre molti gerarchi nazisti, oltre che nei paesi arabi, fuggirono anche in Usa (vedi il caso degli scienziati) e nell’America del Sud. Fatto sta, però, che il Mein Kampf di Adolf Hitler tra molti islamici è tuttora un best seller. Ed è anche vero che il baathismo siro-iracheno, fondato nel 1943 a Damasco, si ispirò al nazionalsocialismo.
Solamente nel 1998 l'OLP ha tolto dalla sua carta fondativa gli articoli sulla distruzione dello Stato di Israele, ma non Hamas. C'è un fondo di verità storica nella decisione della Brigata ebraica di non voler sfilare accanto ai palestinesi?
Questo è un discorso diverso. Lo ribadisco: la Brigata Ebraica partecipò alla guerra di liberazione ed è giusto che sia in piazza con i suoi vessilli il 25 aprile. Molti palestinesi e arabi, invece, in quegli anni oscuri, si schierarono dalla parte dei nazisti. Punto. Al di là del giudizio che si può avere su Hamas, e il mio è certamente negativo, riproporre la questione del Medio Oriente in funzione o in riferimento alla festa della liberazione, sarebbe un grave errore.

(Il Giornale dell'Umbria, 24 aprile 2015)

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