L'Italia post-guerra tra distruzione e voglia di ripartire. Presentazione del libro a Roma

“Sono appassionata di storia e libri come questo dovrebbero essere letti da tutti, perché racconta le radici dell’Italia di oggi”. Così l’avvenente Myriam Melluso, con tanto di fascia di Miss Italia social 2019, ha commentato la sua partecipazione alla presentazione del libro “Dopoguerra” (Il Mulino) di Mario Avagliano e Marco Palmieri, svoltasi mercoledì sera nella suggestiva cornice di Palazzo Ferrajoli, nel cuore di Roma, di fronte a Palazzo Chigi, ad opera dell’Associazione Italide presieduta da Antonella Freno e della Fondazione De Gasperi. Una serata di storia, cultura e musica, condotta da Ruggero Po, con un pubblico foltissimo, lo storico Lucio Villari, testimoni d’eccezione (la democristiana Maria Romana de Gasperi e il comunista Aldo Tortorella), lettura di brani del libro da parte di Sara Ricci (Un posto al sole e Il Paradiso delle signore) e Laura Mazzi (vista nel film Fabrizio D’Andrè - Principe libero), l’intervento di Patrizia Mirigliani, patron di Miss Italia, e brani dell’epoca cantati dal tenore napoletano Giuseppe Gambi. Un viaggio nel clima e nelle atmosfere del dopoguerra, proposte da un libro che, ha detto Tortorella, “si legge tutto d’un fiato”, e ha chiosato Villari, riguarda un periodo straordinario e positivo dell’Italia, in cui si seppe ricominciare dopo la guerra e ricostruire un Paese distrutto.

In questi anni infatti nascono i prototipi delle Vespa e della Ferrari, sperimentati sulle strade devastate dai bombardamenti, i gelati Algida nati da un residuato bellico americano, la prima lavatrice Candy messa a punto grazie agli schizzi inviati da un prigioniero negli Usa, il primo volo di linea dell’Alitalia e c’è tanta voglia di fare festa e di ballare al suono dei nuovi ritmi come il bughi bughi, mentre prende quota un nuovo concorso di bellezza, Miss Italia. Ma ci sono anche macerie ovunque, ponti saltati, case senza servizi, disoccupazione dilagante, inflazione alle stelle, vendette politiche, reduci che faticano a reinserirsi nella società, borsa nera, prostituzione e sciuscià disposti a tutto. Sono i due volti dell’Italia uscita in ginocchio dalla seconda guerra mondiale e dalla guerra civile, che nel triennio 1945-1947 si rimbocca le maniche per voltare pagina, come raccontano Avagliano e Palmieri, in un quadro internazionale in cui già sta prendendo piede la divisione del mondo nei due blocchi contrapposti della guerra fredda. Una ricostruzione, dunque, che non è solo materiale, ma anche morale e spirituale da un lato, politica e istituzionale dall’altro, con le prime elezioni a suffragio universale anche femminile e il tesissimo referendum monarchia-repubblica.

(Libero, 27 settembre 2019)

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Mario Avagliano vince il XVIII Premio “Pianeta Azzurro – I Protagonisti” di Fregene con il libro “Dopoguerra”

Con il libro “Dopoguerra. Gli italiani fra speranze e disillusioni (1945-1947)” (Il Mulino), Mario Avagliano si è aggiudicato la statuetta in bronzo della XVIII edizione del “Premio Pianeta Azzurro – I Protagonisti” di Fregene, sezione saggistica, che ha voluto assegnare un riconoscimento anche alla sua carriera di «esploratore» della Storia d’Italia. Un premio che negli anni scorsi è stato vinto da personalità del calibro di Nino Manfredi, Ettore Scola, Emmanuele F. M. Emanuele, Ennio Calabria, Lilli Gruber, Franco Mandelli, Carlo Lizzani, Giovanni Bollea, Annalisa Manduca, Luca Verdone, Igor Man, Milena Vukotic, Giovanni Pieraccini, Gianfranco Jannuzzo, Anna Kanakis e tanti altri. Avagliano in passato si è aggiudicato altri premi importanti con i suoi volumi, dal Fiuggi Storia al Premio Anpi Nazionale.

Ecco la motivazione del Premio:

MARIO AVAGLIANO – SAGGISTA E STORICO

Nella sua attività di saggista e storico, Mario Avagliano ha esplorato, da solo o in coppia con Marco Palmieri, con una sequenza di 14 libri, un periodo del Novecento - i dieci anni che vanno dal 1938 al 1948 - nevralgico, quello in cui l’Italia ha subito le più difficili prove, dalle tragedie della dittatura e della seconda guerra mondiale, con particolare riferimento al fascismo e alla Repubblica sociale Italiana, alla persecuzione razziale degli ebrei, alle vicende dell’armistizio dell’8 settembre 1943, agli internati militari, alla resistenza italiana, alla deportazione degli ebrei, dei politici e dei civili e, successivamente, allarga lo sguardo all’età della ricostruzione morale e materiale.

La sua ultima opera, in tandem con Palmieri, “Dopoguerra – Gli italiani tra speranze e disillusioni” (edito da Il Mulino), è dedicata a un triennio frenetico, straordinario nelle sue luci e ombre, in cui l’Italia impara a liberarsi delle scorie della dittatura e a declinare le parole della libertà e della democrazia.

La Giuria del Premio “Pianeta Azzurro – I Protagonisti” ha apprezzato l’opera di Avagliano nella sua narrazione ampia, documentatissima, di straordinario impatto emotivo, corale, la quale controbilancia l’attuale storytelling banalizzante dei fatti e focalizza i valori che, all’epoca, contribuirono alla resurrezione di un Paese prostrato dai lutti, dalle macerie, dall’impoverimento della popolazione e del tessuto produttivo.

Avagliano, assieme agli altri vincitori hanno ricevuto a Fregene oggi la statuetta in bronzo, creata nell’89 dalla nota scultrice Alba Gonzales, in una partecipata cerimonia svoltasi presso il Centro Internazionale di Scultura Contemporanea, al Lungomare di Ponente 66/A.

La serata è stata condotta dall’attrice Pacifica Artuso. Intermezzi musicali sono stati cantati dalla soprano Silvia Pietrantonio, mentre l’attrice Barbara Amodio ha recitato poesie di Alda Merini e Pietro Metastasio.

“Trent’anni sembrano passati in un soffio – ha affermato la creatrice del Premio, Alba Gonzales – ma l’imprinting iniziale del Premio, ossia di voler insignire personalità di tanti settori della società che rendono il mondo più ricco e culturalmente elevato, che sin dall’inizio volemmo dargli, insieme con mio marito Giuseppe Pietrantonio, resta la stella polare mia e della Giuria che presiedo. Sono particolarmente orgogliosa del ventaglio di vincitori di quest’anno, ‘protagonisti’, com’è nel nome stesso del Premio, ed esempio per le giovani generazioni.”    

Fregene, 14 settembre 2019

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Il Dopoguerra, un laboratorio tra compromessi e idee geniali (Il Messaggero)

di Pasquale Chessa

«E' scoppiato il dopoguerra»: la battuta, a orecchio attribuita a Flaiano, è invece di Suso Cecchi D'Amico la sceneggiatrice di Ladri di biciclette, che descrive al marito musicologo l'aria del tempo alla fine del 1945: «Finora è stato un limbo». Dietro c'è l'inferno di Mussolini, della Guerra Mondiale, della Guerra Civile, ancora in atto con la "resa dei conti", «la più feroce e sincera di tutte le guerre» secondo il latinista comunista Concetto Marchesi. Non sarà facile per la nuova Italia, temprata dalla Resistenza, dopo vent'anni di dittatura, costruire la sua nuova identità senza il fascismo. Seguendo «gli italiani fra speranze e disillusioni» (così dice il sottotitolo del libro) ci spiegano come ci siamo riusciti, Mario Avagliano e Marco Palmieri, capaci di rintracciare nella cronaca politica e culturale, nelle mode e nei costumi i passaggi cruciali della grande storia.
 
LA VIA
Si capisce meglio, per esempio, la "Via italiana al socialismo", che consente a Togliatti di rimandare a un futuro mitico il tempo della rivoluzione, leggendo un articolo dell'Unità del 23 giugno 1945 che comincia così: «Si balli pro Tizio, pro Sempronio l'essenziale è che si balli (...) stretti possibilmente a una bella e formosetta fanciulla». Non è incauto sostenere che da lì comincia la legittimazione democratica e popolare del Pci, in sintonia con quel compromesso storico originario con la Dc su cui si fonda la nostra Costituzione. Sebbene nella parola Dopoguerra (idea titolo di Avagliano e Palmieri) sia contenuto il concetto di guerra, è dal suo superamento che nasce l'altra storia: «L'immagine del Paese che si rimette in moto alla fine della guerra non è solo metaforica».
 
L'IDEA
Affonda nell'industria bellica l'idea della Vespa progettata per Enrico Piaggio da un ingegnere aeronautico che odiava le moto, e perciò inventò lo «scooter». Seguendo la stessa ispirazione Enzo Ferrari reinventa l'automobile da corsa. Ma anche l'Algida nata nel 1946 sfrutta un residuato americano per fare gelati. Una storia fondata sui fatti: peccato che nell'indice dei nomi manchi Renzo De Felice. C'è in questo Dopoguerra una teoria implicita del processo storico come una serie contigua e distinta di vasi comunicanti: nel 1946 la nascita di Miss Italia sta bene insieme al referendum fra monarchia e repubblica, prima volta delle donne alle urne; Bartali e Coppi fanno pendant con Peppone e Don Camillo; la nascita del Piccolo teatro a Milano non stona con la traumatica uscita dal governo del Pci nel 1947. Aveva ragione il protagonista di Napoli milionaria di Eduardo De Filippo: «Ha da passa 'a nuttata». La nottata è passata. Si dirà: ma l'Italia non è poi venuta tanto bene? Vabbè, nessuno è perfetto.
 
(Il Messaggero, 11 agosto 2019)

Le dieci maestre del voto

di Mario Avagliano

Nei primi 85 anni di Stato unitario l’Italia è stata una monarchia misogina, nella quale hanno votato esclusivamente gli uomini. La nostra nazione è stata una delle ultime di Europa a concedere il diritto il voto alle donne, che fu esercitato per la prima volta solamente nel 1946. Un ritardo che è stato foriero di pessimi risultati, visto che nel periodo monarchico si sono avvicendati ben 64 governi, si sono registrati lunghi periodi di forte instabilità politica e sociale e l’istituto delle elezioni è stato alla fine abolito dal fascismo.

La storia italiana poteva andare diversamente se si fosse vestita anche di rosa? Difficile rispondere. Fatto sta che per una breve stagione le donne italiane coltivarono la speranza di poter dire la loro sul futuro politico della loro nazione. Infatti il 25 luglio del 1906, quando l’irruente Benito Mussolini era ancora un maestrino socialista di provincia, una sentenza della Corte di appello di Ancona, presieduta dal magistrato ebreo Lodovico Mortara, accordò il diritto di voto a dieci donne marchigiane, tutte maestre, che avevano presentato apposito ricorso.
La loro vicenda, che all’epoca fece scalpore e provocò un acceso dibattito in tutta Italia, è stata ricostruita e raccontata nel libro di Marco Severini, intitolato Dieci donne. Storia delle prime elettrici italiane (liberi libri, pp. 261, euro 15). Grazie al coraggio delle maestre marchigiane, Ancona divenne per qualche settimana il centro del mondo. Maria Montessori le dedicò addirittura un inno poetico.
Si trattò, come scrive lo stesso Severini, di “un evento eccezionale”, in quanto quel pugno di donne andò ad affiancarsi a un corpo elettorale composto da più di 2 milioni e mezzo di maschi. Ma l’illusione dell’emancipazione durò appena lo spazio di dieci mesi (la sentenza Mortara fu annullata dalla Corte di Cassazione) e purtroppo non si concretizzò in partecipazione al voto in quanto, per il ritorno al governo di Giovanni Giolitti, non vi furono elezioni politiche.
E così le dieci donne marchigiane che, con la conquista dell’iscrizione alle liste elettorali, avevano impresso una svolta impensata alla lotta per il suffragio femminile, raccogliendo l’entusiasmo delle numerose associazioni femminili, dei socialisti e dei repubblicani che si battevano da anni per l’emancipazione, tornarono purtroppo nell’anonimato.
Il saggio di Severini ha il merito di riportare alla luce la storia di quelle pioniere del voto alle donne, di cui vengono proposte per la prima volte le biografie, e delle portabandiera dell’emancipazione femminile made in Italy, come Anna Maria Mozzoni e Maria Montessori. Ma è anche un omaggio alla competenza giuridica e all’onestà intellettuale del giurista mantovano Lodovico Mortara, “personalmente contrario, giuridicamente favorevole” al suffragio femminile, e di quei politici maschi, come il repubblicano Roberto Mirabelli, che sulla scia del pensiero di Mazzini, grande fautore del voto alle donne, sostennero in Parlamento, con forza e determinazione, la causa dell’altra metà del cielo. Perché, come disse in aula Mirabelli il 25 febbraio 1907, la donna non fosse più “inchiodata alla croce delle secolari esclusioni”.
Quella battaglia, in quella fase storica perdente, avrebbe avuto sicuramente un esito positivo nella seconda metà degli anni Venti, sulla scia di quanto accaduto in altri Paesi europei. Ma l’avvento del fascismo e la sua concezione della donna come semplice “angelo del focolare” ritardarono di un ventennio la partecipazione femminile alla vita politica. Solo la Resistenza e poi la Costituente sanciranno finalmente la pari dignità delle donne, legittimandole al voto sia in qualità di elettrici che di elette.

(L'Unione Informa, 3 maggio 2013)

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