Biacchessi, pagine partigiane a rischio di «smemoria»
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di Mario Avagliano
Ad uno ad uno, purtroppo, se ne stanno andando gli ultimi testimoni della Resistenza contro la dittatura fascista e l’occupazione nazista. Centinaia e centinaia di ex partigiani ci lasciano così, senza troppe celebrazioni, accompagnati spesso dalle note di Bella ciao, con intorno qualche vecchio compagno, i familiari, rare bandiere tricolori. Muoiono come persone normali, umili e semplici, protagonisti della grande stagione delle scelte, e lasciano un vuoto che è impossibile da colmare. E con loro potrebbero svanire anche le storie dell’Italia partigiana. «L’Italia liberata. Storie partigiane», di Daniele Biacchessi (Jaca Book) parte proprio da qui, dalla fine anagrafica di una generazione di italiani che in soli venti mesi, dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, riprese le redini del Paese e lo condusse attraverso la Costituzione repubblicana verso la democrazia, dopo lunghi anni governati dal regime fascista, dalle barbarie e dall’orrore del nazismo.
La battaglia per la memoria della Resistenza di Biacchessi non parte adesso. Dal 2004 il giornalista-saggista-regista e interprete porta in giro per l’Italia (spesso nei luoghi simbolo della guerra di liberazione) e in Europa uno spettacolo di teatro civile in versione solista o accompagnato da Gang, Gaetano Liguori, Michele Fusiello, Massimo Priviero e altri. Questo spettacolo è ora diventato un libro, con l’obiettivo di «narrare la vita di uomini e di donne che con le loro azioni coraggiose hanno cambiato il corso della Storia e smontare attraverso l’oggettività della documentazione, orale e scritta, la forza delle parole e della narrazione, le tesi false del nuovo revisionismo».
Uno dei meriti di questo lavoro è puntare l’attenzione, con taglio divulgativo, oltre che sulle storie note dei sette fratelli Cervi, della Risiera di San Sabba, unico campo di sterminio in Italia, delle stragi di civili a Boves, Sant’Anna di Stazzema, Montesole e tante altre località, del terribile eccidio delle Fosse Ardeatine a Roma (nel quale furono uccisi anche numerosi meridionali) e delle violenze delle autorità di Salò e delle bande fasciste, anche su altre vicende meno conosciute, compreso alcuni episodi di resistenza nel Sud tra il settembre e l’ottobre del 1943.
Un ampio capitolo è ovviamente dedicato al moto di popolo delle quattro giornate di Napoli, nato in seguito alla razzia della città scatenata dai tedeschi, che saccheggiano la città, uccidono un marinaio, Andrea Mansi di stanza a Rovello, sulla soglia dell’università, lungo il Rettifilo, rastrellano centinaia di persone, rapinano cittadini, sparano sulle donne che fanno la coda davanti ai negozi, lasciano per giorni senza pane una città di un milione di abitanti.
La rivolta esplode fulminea tra il 27 e il 28 settembre al Vomero, in via Chiaia, in piazza Nazionale, in decine di punti diversi della città. È la rivolta degli eroi bambini, dal volto sporco e dallo sguardo furbo, e degli scugnizzi di Napoli. Il dodicenne Gennaro Capuozzo resta al suo posto di servente a una mitragliatrice in via Santa Teresa, presa sotto il fuoco di carri armati nazisti. Viene colpito in pieno da una granata mentre difende la sua città. Filippo Illuminato, tredici anni, e Pasquale Formisano, diciassette, corrono incontro a due autoblindo che cercano d’imboccare via Roma da via Chiaia. Avanzano decisi e rapidi, fino a quando cadono esanimi mentre lanciano una bomba contro i nazisti. In ogni rione emergono i capipopolo: Stefano Fadda a Chiaia, Ezio Murolo in piazza Dante, Aurelio Spoto a Capodimonte. Il 30 settembre i nazisti sgomberano la città. Il nemico si lascia dietro una lugubre scia di rappresaglie: gruppi di guastatori massacrano alcuni giovani in località Trombino.
Ma Biacchessi parla anche dell’insurrezione di Matera del 21 settembre 1943 e di Lanciano del 5-6 ottobre, delle stragi naziste a Rionero in Vulture il 24 settembre e a Caiazzo, in provincia di Caserta, il 13 ottobre, delle bande partigiane in Abruzzo e della battaglia di Bosco Martese del 25-26 settembre, definita da Ferruccio Parri «la prima battaglia campale in campo aperto della resistenza italiana».
Di grande interesse le storie di formazioni partigiane mitiche come la banda Tom e di partigiani eroici come Dante Di Nanni, pugliese residente a Torino, che il 18 maggio 1944 si barrica in casa e resiste da solo all’assalto di un centinaio di fascisti e nazisti, uccidendone 9 e ferendone 17, fin quando circondato e coperto di sangue, preme il ventre alla ringhiera del balcone e saluta col pugno alzato gridando «Viva l’Italia». Poi si getta di schianto con le braccia aperte sull’asfalto.
In chiusura, le interviste dello stesso Biacchessi ad alcuni protagonisti dell’epoca, padri della repubblica: Tina Anselmi, Vittorio Foa, Giuliano Vassalli, Giorgio Bocca, il quale regala una riflessione amara ma con un fondo di verità, almeno per una parte di nostri connazionali: «Come diceva Livio Bianco di Giustizia e Libertà, “la Resistenza è stata una lunga e meravigliosa vacanza”, nel senso che pur nel dramma è stato un periodo bello, un momento in cui si ritrovavano tutti i valori democratici fondamentali. Ma è durato poco, perché poi gli italiani hanno continuato ad essere quello che sono sempre stati: voltagabbana e servitori».
(Il Mattino, 10 dicembre 2019)