Cava città borbonica? Ma fateci il piacere…

di Mario Avagliano

   L’immagine dei portici di Cava de' Tirreni imbandierati con i vessilli dei Borbone, in occasione della visita del principe Carlo, ha inferto una ferita profonda nel cuore dei cavesi che amano l’Italia e la nostra giovane Repubblica, malandata e incerottata a causa della crisi economica internazionale e degli scandali politici, ma dalla storia gloriosa, costruita col sangue di tanti martiri, uno per tutti il nostro concittadino generale Sabato Martelli Castaldi, ucciso alle Fosse Ardeatine, medaglia d’oro della Resistenza.

Sorprende e amareggia non poco che il sindaco Marco Galdi abbia dato il via libera e anzi abbia partecipato in prima persona (con la fascia tricolore!!!!) a uno “spettacolo” del genere, che ha chiamato a raccolta i neoborbonici da tutto il Mezzogiorno, con un corteo d’onore, il present’armi, grida entusiaste di «Viva il Re», la Fanfara dei Civici Pompieri di Napoli in Alta Uniforme Borbonica scortati dai Real Tiragliatori “Milites luci”, la consegna simbolica al principe delle chiavi del Santuario di S. Francesco e addirittura l’esecuzione dell’Inno al Re.
Non a caso il Movimento Neoborbonico, ha esaltato la «storica visita» sul suo sito, sottolineando la «continuità dei rapporti tra la dinastia borbonica e la "fedelissima Cava"», mentre sul web e sui social network i nostalgici dei Borbone festeggiavano a loro volta l’avvenimento.
Siamo tornati indietro di centocinquant’anni, in barba alle celebrazioni dell’Unità d’Italia nella nostra città, culminate il 17 marzo 2011 con l’alzabandiera in Piazza Abbro, la Santa Messa alla Cattedrale, il corteo della banda musicale per le vie del centro e la convocazione di una seduta straordinaria del consiglio comunale.
Non era lo stesso sindaco Galdi ad aver promosso quelle celebrazioni? E non era la stessa Chiesa cavese ad avervi partecipato, con l’appuntamento solenne della Santa Messa?
Se da allora qualcosa è mutato e il sindaco si è convertito improvvisamente al Movimento Neoborbonico, ne tragga le conseguenze.
La storia patria non si può cancellare.
Come dimenticare che alcuni dei maggiori teorici del sogno di un'Italia unita e tanti uomini d'azione che lottarono per la causa italiana furono meridionali? Basti citare i napoletani Vincenzo Cuoco, Luigi Settembrini, Alessandro Poerio e Carlo Pisacane, il calabrese Benedetto Musolino, i siciliani Rosolino Pilo, Francesco Crispi e Michele Amari, il pugliese Giuseppe Fanelli.
Questo sogno era allora un progetto di modernità. Significava richiesta di costituzione, di autogoverno, di giustizia e di diritti civili. Ecco perché i patrioti meridionali, molti dei quali aderivano alla Carboneria, nei decenni precedenti si erano rivoltati più volte contro i Borbone, anche nel salernitano (vi furono scontri tra i carbonari e le forze dell'ordine pure a Cava) e tanti di loro marcirono nelle carceri borboniche.
Quando nel 1849 Roma si sollevò, proclamando la Repubblica, da Napoli partirono moltissimi patrioti campani per aiutare i rivoluzionari romani.
Anche tra i Mille di Garibaldi vi fu una notevole presenza di meridionali, circa cento, principalmente siciliani, campani (tra cui nove della provincia di Salerno) e calabresi. Nel corso della spedizione tanti altri meridionali si arruolarono nelle file dei garibaldini e ovunque il Generale fu accolto da una folla festante. Le donne di Cava lo attesero lungo il corso e vollero baciarlo sulle guance. In quei giorni, come ha ricordato opportunamente Massimo Buchicchio, il garibaldino frate francescano Giovanni Pantaleo, siciliano, di passaggio a Cava con il Generale, non mancò di visitare il nostro santuario di S. Francesco.
Nelle ultime fasi della seconda guerra mondiale Brindisi e Salerno furono capitali d'Italia, i napoletani si ribellarono ai tedeschi per la libertà del Paese e migliaia di meridionali entrarono nella Resistenza, combattendo sulle montagne o nelle città del Centro Nord e finendo spesso davanti a un plotone di esecuzione o nei campi di concentramento per contrastare il nazifascismo.
Non c'è dubbio che nel processo unitario vi furono delle pagine nere, come l'assedio di Gaeta, le deportazioni dei meridionali ed alcuni violenti eccidi di cui si macchiò l'esercito sabaudo, a partire dalla strage di Pontelandolfo, nel Beneventano, del 14 agosto 1861. Dopo l'Unità, il processo di pacificazione e di omologazione venne condotto in modo maldestro e disomogeneo sotto il profilo economico e fiscale e nella realizzazione dei servizi e dei trasporti (diverso è il giudizio per quanto riguarda l'aspetto culturale e dell'istruzione), e i governi succedutisi alla guida del Paese fecero davvero poco per risolvere la cosiddetta questione meridionale, a parte l'esperienza della prima Cassa del Mezzogiorno.
Ma il destino del Meridione è nelle nostre mani. La rinascita delle popolazioni meridionali richiede uno Stato più efficiente, più moderno e più equo, e Regioni, amministrazioni locali, cittadini del Sud capaci di rimboccarsi le maniche, mettendo a frutto l'incredibile patrimonio di cultura, di storia e di bellezze naturali, artistiche ed archeologiche lasciatoci in eredità dai nostri padri.
Dobbiamo essere orgogliosi di essere cavesi e meridionali. Ma consapevoli che le scorciatoie di un revisionismo storico a senso unico e le nostalgie politiche di un partito del Sud o neoborbonico non ci porterebbero lontano, rischiando di minare pericolosamente la vita culturale, sociale ed economica del nostro Paese.

(CavaNotizie.it, ottobre 2012)

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