I 139 prigionieri famosi che Hitler voleva scambiare per salvarsi

di Mario Avagliano
 
   Sono le nove del 28 aprile 1945. È una livida mattinata di primavera, il giorno prima al Nord ha nevicato. Mentre Benito Mussolini e la sua amante Claretta Petacci sono nelle mani dei partigiani, nel Comasco, e stanno per andare incontro al loro tragico destino, a poche centinaia di chilometri, in Sudtirolo, un convoglio speciale di cinque autobus giunge nel villaggio di Villabassa, a circa trenta chilometri da Cortina d’Ampezzo.
Sotto una pioggerellina gelida, emerge dalla fitta nebbia un gruppo di 139 persone, scortato dalle SS naziste. Uomini, donne, persino una bambina bionda, provenienti da diciassette diversi Paesi. Alcuni vestiti con la divisa a strisce dei lager, altri con giubbe militari prive di spalline e di mostrine, altri ancora con giacche sformate con appiccicato il triangolo rosso dei deportati politici.
Sembrano fantasmi, ma tra di loro vi sono alcuni dei più noti protagonisti della storia d'Europa. Si tratta dei cosiddetti "prigionieri d'onore", personalità eccellenti che in quegli anni di guerra sono stati detenuti in maniera segretissima in vari lager del Reich, da Dachau a Flossenbürg. Heinrich Himmler, il potente ministro dell'Interno della Germania nazista, in vista della sconfitta vorrebbe utilizzarli nelle trattative di pace con gli Alleati.
A raccontare la storia di questo convoglio e le vicende intrecciate dei prigionieri speciali del Fuhrer, con un incalzante stile narrativo accompagnato dal consueto rigore storico, è il bel libro “Gli invisibili” di Mirella Serri (Longanesi, pp. 232).
I personaggi ritratti sono di primo piano. L'ex cancelliere austriaco Kurt von Schuschnigg, incarcerato dopo l'annessione dell'Austria, raggiunto volontariamente nel lager dalla moglie Vera; l'ex vice cancelliere austriaco e sindaco di Vienna, Richard Schmitz; il generale Alexandros Papagos, ministro greco della guerra che aveva fermato e respinto l’invasione italiana; l'ex presidente della banca centrale tedesca, Hjalmar Schacht; l'ex primo ministro francese del Fronte Popolare, l’ebreo Léon Blum; il famoso industriale Fritz Thyssen.
Ci sono anche parenti illustri: Vassilij Kokorin nipote del ministro degli Esteri sovietico Molotov; il consigliere diplomatico Mario Badoglio, figlio di Pietro; il generale Sante Garibaldi, nipote dell'eroe dei due mondi. E ancora: l’ex capo della polizia di Salò Tullio Tamburini (arrestato il 21 febbraio 1945 insieme al suo vice Eugenio Apollonio, con l’accusa di "doppiogiochismo"), diversi figli e parenti dei congiurati dell'attentato contro Hitler del 20 luglio 1944, e il principe Filippo d'Assia, marito della principessa Mafalda di Savoia e genero del re d'Italia. Oltre ad agenti segreti britannici, contesse, giornalisti, teologi, cabarettiste e professori.
Molti di questi prigionieri speciali sono stati rinchiusi nei lager sotto falsa identità e in isolamento. Il loro vero nome era conosciuto solo dai comandanti dei campi. È il caso ad esempio di Léon Blum, che solo nel 1944 vide per la prima volta altri deportati, “il volto segnato da lunghe cicatrici, piedi nudi negli zoccoli, attaccati come bestie a una carretta”.
Tra le vicende raccontate da Mirella Serri, spicca quella dell’aristocratica coppia composta da Mafalda di Savoia e Filippo d’Assia.
Un dossier dell’Ovra, la polizia segreta di Mussolini, ha fatto luce sulla doppia vita di Filippo, che intrattiene rapporti omosessuali ed è stato colto sul fatto al cinema Cola di Rienzo mentre molesta un giovanotto. Nonostante questi “peccati”, il principe viene utilizzato da Hitler come mediatore presso Mussolini e si presta a far esportare capolavori dell’arte dall’Italia alla Germania, come la “Leda e il cigno” di Tintoretto. Poi, nominato governatore dell’Assia, consente agli esperimenti nazisti di eutanasia e al programma Aktion T4 contro i disabili. Finché, dopo l’8 settembre, viene arrestato in quanto genero del re traditore e tenuto prigioniero nel campo di Flossenbürg.
Una sorte ancora peggiore subisce la moglie, la fragile e avvenente principessa Mafalda. Rapita con un sotterfugio da Herbert Kappler a Roma, viene deportata a Buchenwald. Ferita durante un bombardamento anglo-americano a fine agosto del ‘44, viene sottoposta ad una lunga operazione chirurgica, allo scopo deliberato di provocarne la morte per dissanguamento.
I prigionieri invisibili sono destinati alla Fortezza Alpina, il ridotto prescelto dai gerarchi nazisti per l’ultima resistenza contro i dilaganti eserciti nemici. Ma il criminale piano fallisce miseramente. I 139 vengono liberati e la loro storia un po’ scomoda viene dimenticata. Fino a questo libro.

(Pubblicato in una versione più sintetica su Il Messaggero, 12 novembre 2015)

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