Le Alpi e la guerra, percorsi di memoria
- Scritto da Mario Avagliano
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di Mario Avagliano
Gli amanti della montagna, che conoscono le malinconiche canzoni degli alpini, sanno bene che la Grande Guerra sulle Alpi, nei 400 chilometri che separano il Passo dello Stelvio da Caporetto, è stata “un conflitto speciale, crudele e romantico al tempo stesso”. Una guerra combattuta su un territorio affascinante e impervio, unico al mondo, che spesso ha visto affrontarsi, seppure con divise militari diverse, uomini molto legati ai loro monti. È quanto racconta Stefano Ardito, una delle firme più note del giornalismo di montagna e di viaggi italiano, in “Alpi di Guerra Alpi di pace. Luoghi, volti e storie della Grande Guerra sulle Alpi” (Corbaccio, pp. 265, euro 19,60).
Se nelle zone di pianura la prima guerra mondiale ha lasciato ben poche tracce, invece le Alpi centrali e orientali, dal Passo dello Stelvio alle Alpi Giulie, dove sono state combattute battaglie ad alta quota, tra pareti di roccia e ghiacciai, sono oggi un museo all’aperto di quel conflitto, percorso ogni anno da decine di migliaia di turisti, escursionisti e alpinisti. Infatti sulle Dolomiti, sull’Adamello, sul Pasubio, sullo Jôf di Montasio e su decine di altri massicci, è possibile visitare i sentieri di arroccamento, le vie attrezzate, le fortezze, i bunker, le teleferiche e le caverne artificiali costruite in quegli anni dai militari italiani e austro-ungarici.
In questo libro Stefano Ardito ci conduce in una sorta di tour su quelle vette, raccontando - senza la “retorica della Vittoria” di stampo risorgimentale - diciassette episodi esemplari della Grande Guerra sullo sfondo delle Alpi, dalle prime battaglie sul Monte Piana nel maggio del 1915 fino al crollo del fronte sulle Alpi e sul Piave alla fine di ottobre del 1918, compresa la leggendaria costruzione della Strada delle 52 gallerie da parte dei genieri italiani sul Pasubio e quella della Citt nel ghiaccio scavata dagli austro-ungarici sulla Marmolada.
Sui monti si combatté un conflitto all’antica, cavalleresco, dove il coraggio personale aveva ancora un valore. Il mito degli alpini italiani e dei Kaiserjäger austriaci nacque in quegli anni. Ma anche in quei paesaggi da fiaba, tra aquile e camosci, si manifestava l’orrore della guerra, come le nuove armi di distruzioni di massa, i gas asfissianti e la crudeltà dei comandanti, che mandavano all’assalto i loro uomini contro reticolati e mitragliatrici, pur sapendo che l’attacco si sarebbe risolto in un massacro.
Con apprezzabili capacità narrative, Ardito ripercorre storie conosciute e altre meno note, come la cattura e la morte di Cesare Battisti, la guerra lampo del giovane tenente Erwin Rommel sulla cima del Matajur o le vicende delle due guide Sepp Innerkofler e Julius Kugy e del capitano Giovanni Sala e del sottotenente romano Enrico Jannetta, mago dell’arrampicata, accompagnando alla descrizione delle vicende quella dei luoghi della loro memoria, che ancora oggi è possibile visitare, alcuni comodamente in auto o in funivia, altri con qualche ora di cammino in montagna o arrampicandosi sui ghiacciai. “Solo così – conclude Ardito -, apprezzando l’ambiente ostile dove i nostri nonni o bisnonni hanno dovuto vivere e uccidere (e non di rado essere uccisi) si capiscono la sofferenza e il dolore della guerra”.
(Il Messaggero, 1 settembre 2015)