Il 25 aprile è morto? Gli storici: ma è su quei valori che si basa l'Italia di oggi
- Scritto da Mario Avagliano
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di Mario Avagliano
La Resistenza resta “un valore fondante” della nostra Repubblica. Nell’anno del settantesimo dell’inizio della guerra di Liberazione, che sarà celebrato l’8 settembre, il giudizio della storiografia italiana è che il 25 aprile sia ancora oggi una festa di tutti gli italiani, nonostante le dichiarazioni liquidatorie di Beppe Grillo, il successo di libri come quelli di Giampaolo Pansa sulle violenze partigiane o il clamore suscitato dal saggio Partigia (Mondadori) di Sergio Luzzatto su Primo Levi e un episodio nero della Resistenza in Valle d’Aosta.
“In tutti i Paesi ci sono delle feste nazionali che unificano tutta la popolazione. Per l’Italia è la liberazione dal fascismo e dal nazismo. È assurdo che ogni anno ci si debba porre il problema dell’attualità di questa data. Nelle altre Nazioni non è così”, protesta Elena Aga Rossi, la storica italiana che più di ogni altro ha analizzato i fatti dell’8 settembre. “Il 25 aprile è la celebrazione di uno sforzo di rinascita nazionale che in sostanza è riuscito. Non dimentichiamo che se non abbiamo avuto il trattamento della Germania, è proprio perché non siamo rimasti inerti di fronte all’occupazione tedesca e alla restaurazione del fascismo, incalza Alberto Melloni, storico di area cattolica. “L’Italia di oggi e la stessa Costituzione hanno le loro basi nel 25 aprile e nella guerra di Liberazione. Se avessero vinto Mussolini e Hitler, non saremmo qui”, aggiunge Anna Foa, storica ebrea tra le più sensibili.
“La Resistenza è una festa di tutti, se la si identifica non con una parte politica, minore o maggiore, ma con tutti coloro che, a vario titolo e in varie forme, lottarono contro i nazifascisti”, avverte Emilio Gentile, uno dei massimi storici italiani del fascismo.
Altro discorso è quello dell’appeal che ha oggi il 25 aprile sull’opinione pubblica. L’Anpi, l’associazione nazionale dei partigiani, in questi anni ha moltiplicato gli iscritti, aprendo le porte a decine di migliaia di giovani e anche le manifestazioni di ieri in tutta Italia hanno fatto registrare un’ampia partecipazione. Ma nel corpo della società italiana “la guerra di liberazione non gode di buona salute ed è denigrata da molti”, si rammarica lo storico piemontese Alberto Cavaglion, autore tra l’altro di un pamphlet intitolato La Resistenza spiegata a mia figlia: “Sono abbastanza avvilito. Colpa anche della storiografia, che ha dedicato sempre meno attenzione a questo tema, lasciando il campo a Pansa e ai suoi epigoni”.
Uno dei motivi principali della “crisi” della Resistenza nell’immaginario collettivo è la narrazione eroica e a senso unico che ne è stata fatta nel dopoguerra. “La rappresentazione dei partigiani come angioletti puri e candidi ha procurato danni enormi”, sostiene Cavaglion. È stato dunque “giusto e opportuno il lavoro storiografico volto a descrivere luci ed ombre di questo evento, appoggiato e sostenuto dai più alti livelli istituzionali, come il presidente Napolitano”, sottolinea Eugenio Di Rienzo, storico di area liberale.
Bisognava “togliere alla Resistenza l’alone leggendario”, dice Emilio Gentile. Per questa via è stato possibile allargare il campo degli studi al di là dei fazzoletti rossi dei partigiani in montagna e nelle città, raccontando anche le vicende degli altri filoni del movimento di liberazione (la Resistenza militare, gli Imi, i deportati politici) e i limiti e gli errori della guerra partigiana, compresi gli atti violenti nei confronti dei vinti e degli stessi compagni di lotta.
Vicende come la strage di Porzus e i fatti di sangue del dopoguerra, però, non mettono in discussione il giudizio su quella pagina di storia nazionale. “Tutte le Resistenze sono violente. La guerra è guerra. La ricerca storica deve indagare a 360 gradi quel periodo, senza reticenze e senza tabù”, avverte Elena Aga Rossi. “Le violenze della guerra civile, di cui parlò già nel 1991 Claudio Pavone, non possono certo oscurare il significato della presa di distanza degli italiani dal fascismo”, taglia corto Melloni. “Né tolgono valore al sacrificio di chi lottò per la libertà del nostro Paese”, aggiunge Gentile.
Gli storici, invece, sono contrari a mettere sullo stesso piano partigiani e ragazzi di Salò. “Non è possibile una memoria condivisa perché c’era una differenza sostanziale tra chi deportava gli ebrei e chi combatteva i nazisti”, spiega Anna Foa. Tuttavia, la storia della Rsi va studiata con maggiore oggettività. “Per troppo tempo – dice Elena Aga Rossi – si è affermato che i fascisti erano tutti criminali e i partigiani tutti Santi. In realtà non era così. Accanto agli eccidi, alle delazioni, agli episodi di complicità con i nazisti, ci sono stati casi di fascisti di Salò che hanno aiutato gli ebrei o hanno aderito alla Rsi non per motivi ideologici ma soltanto per sopravvivere a quei tempi oscuri”.
E le dichiarazioni di Grillo sulla morte del 25 aprile? “Dubito che Grillo e i grillini abbiano memoria storica. Non vale la pena di parlarne”, si inalbera Anna Foa. “Dire che questa data è morta, ferisce la coesione civile del nostro Paese, proprio in un momento in cui il 25 aprile non divide più gli italiani”, argomenta Di Rienzo. E Cavaglion lancia un appello: “Chi ha a cuore la Resistenza, deve esprimere preoccupazione per come si presenta e agisce questo movimento nel nostro Paese. Non voglio esagerare, ma in questo populismo vedo in nuce i germi di un nuovo fascismo”.
(Il Messaggero e Il Mattino, 26 aprile 2013)