Storie – Il fascista del “Il sangue dei vinti” era un delatore di ebrei

di Mario Avagliano
 
Chi conosce Daniele Biacchessi, giornalista, scrittore, vicecaporedattore di Radio 24, più volte premiato per la sua attività di reporter, sa che è anche un appassionato autore, regista e interprete di opere di teatro civile. Il suo ultimo libro, “Orazione civile per la Resistenza” (Promo Music), è una storia corale della guerra di liberazione, ripercorsa attraverso interviste, narrazioni di episodi e di luoghi della memoria.
Ma Biacchessi è anche un curioso, un cercatore di verità.
Da buon cronista, si era sempre chiesto chi fosse il fascista con le mani dietro la nuca , trascinato per le strade di Milano da alcuni partigiani armati, ritratto nella fotografia sulla copertina del saggio “Il sangue dei vinti” di Giampaolo Pansa, che a sua volta aveva tratto l’immagine dal libro dell’ex esponente della Repubblica Sociale Giorgio Pisanò, “Storia della guerra civile”.
Nella didascalia del libro di Pansa, in seconda di copertina, si parla genericamente di “fascista ucciso il 28 aprile 1945”.
Biacchessi non si è accontentato. Così è andato negli archivi dell’Istituto di Storia dell’Età Contemporanea (ISEC) di Sesto San Giovanni e si è messo alla ricerca di questa immagine.
Scartabella che scartabella, eureka!, l’ha trovata. Ed ha scoperto che si trattava di Carlo Barzaghi, l’autista di Franco Colombo, il comandante della legione autonoma mobile Ettore Muti di Milano.
Carlo Barzaghi è conosciuto come il boia del Verzeè (del Verziere), scrive Biacchessi, “responsabile di efferati crimini di guerra: la compilazione di numerosi elenchi di ebrei e oppositori poi deportati nei campi di sterminio, la fucilazione di quindici prigionieri politici (10 agosto 1944, Milano, piazzale Loreto) detenuti nel carcere di San Vittore su ordine di Walter Rauff e Theo Saevecke, funzionari della Sicherheitpolizei stanziati all’albergo Regina di Milano”.
Barzaghi non è quindi un fascista qualsiasi, un innocente ucciso nei giorni dell’aprile 1945. E’ un esponente di spicco della Repubblica di Salò e si è macchiato di vari reati.
Eppure c’è chi, anche oggi, alla vigilia della festa della Liberazione, affigge nella capitale manifesti anonimi con un verso tratta dalla canzone “La locomotiva” di Francesco Guccini: “Gli eroi sono tutti giovani e belli”, dedicandoli “Ai ragazzi di Salò”. Guccini non l’ha presa bene: “Hanno tradito il senso della mia canzone”.
A costoro andrebbe ricordata la frase di Italo Calvino: “Dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buonafede, più idealista, c'erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l'Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c'era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, ché di queste non ce ne sono”.
 
(L’Unione Informa, 24 aprile 2012)

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