Storia - La mancata insurrezione di Roma

di Mario Avagliano

 

Perché Roma non si liberò da sola nel giugno del 1944? Si è molto parlato del ruolo del Vaticano nel consentire un passaggio indolore della capitale d'Italia dai tedeschi agli Alleati. Ma non tutto è stato scritto e indagato su questo argomento. Un libro interessante di Franco Maria Fabrocile, intitolato “Il segnale dell’elefante” (edizioni Marlin, pp. 274, euro 14,50), rivela particolari inediti della storia della mancata insurrezione, dall'osservatorio particolare del Partito d’Azione. Il libro sarà presentato domani, mercoledì 24 maggio, alle ore 18.00, presso il Circolo "Giustizia e Libertà" di Roma. In risalto la storia, anzi le storie, che hanno dato origine al Partito d’Azione romano, che raccoglieva la rete di Giustizia e libertà, fatta di ex combattenti e Arditi del Popolo, artigiani, ferrovieri, intellettuali, impiegati, ma anche giovani studenti, come il gruppo di quattordicenni-sedicenni del liceo Orazio, i “caimani” , che fra partite di calcio e nuotate nell’Aniene, dopo l’8 settembre 1943 partecipa a Porta S. Paolo alla difesa della capitale.

Tante le figure che attraversano il saggio, dall’ex ardito Domenico Alari a Max Salvatori, al grande organizzatore Cencio Baldazzi, al sardo di ferro Emilio Lussu e a sua moglie Joice, fino a Carlo Rosselli, Guido Calogero, Ugo La Malfa, Pilo Albertelli, Leo Valiani.

Dopo la decapitazione dei quadri organizzativi azionisti del febbraio-marzo '44, il partito si riorganizza e prepara un piano militare insurrezionale con 1200 armati. Mentre la base, intenzionata a combattere, trova collaborazione orizzontale con partigiani di colore diverso, i rapporti con gli Alleati e con i badogliani sono la quadratura del cerchio: il segnale radio - "elefante" - convenuto con gli americani per lo scoppio dell'insurrezione si perde in un giallo di rapporti interni al partito, destinati a lasciare dopo il 4 giugno ferite non rimarginabili e verità indicibili, mentre la guerra, inesorabile, continua.

(L'Unione Informa e Moked.it del 23 maggio 2017)

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Italia nera, Italia rossa, Italia liberata

di Andrea Rossi

Con “L’Italia di Salò” (Il Mulino, 2017), Mario Avagliano e Marco Palmieri proseguono la loro opera di scavo nel “come eravamo” della nostra nazione, e come nei volumi precedentemente editi, emergono dettagli importanti trascurati in altri studi sul passaggio traumatico dal regime fascista alla democrazia in Italia. Avevamo lasciato in Vincere e vinceremo, un paese stremato e maturo per il collasso istituzionale soprattutto a causa del crollo del fronte interno, ma con ancora fiammate di sincero appoggio al fascismo e alla guerra mussoliniana.

La scomparsa del duce dalla scena politica provoca l’ira sorda dei fascisti, i quali, a differenza di come è stato detto e scritto per decenni, non si nascondono e non si convertono, anzi, in molti casi già iniziano a pensare al “dopo” che ritengono inevitabile, ossia l’arrivo dei tedeschi per il ristabilimento dell’ordine interno e delle alleanze belliche. Se quindi il 25 luglio provoca sgomento e desiderio di vendetta fra le camicie nere e fra i tanti simpatizzanti di Mussolini, l’armistizio dell’8 settembre è il momento in cui, drammaticamente emergono le fratture nel tessuto sociale della nazione, seguendo fratture già “in nuce”: dittatura contro democrazia, onore contro libertà, volontarismo contro l’attendismo; il ritorno di Mussolini, la fondazione di uno stato fascista sotto l’aquila nazista e il proseguimento della guerra saranno poi le condizioni perché questo magma ribollente inizi a percorrere l’inevitabile sentiero della guerra civile.

Da nessuno voluta (almeno a parole) ma da tutti combattuta, la lotta fratricida sarà lo stigma dei seicento giorni di Salò, con gradazioni diverse di partecipazione: dai soldati in grigioverde reclutati con i bandi emessi da Rodolfo Graziani, che per evitarla diserteranno in modo massiccio, spesso verso le formazioni partigiane (ma anche semplicemente per tornare a casa), alle brigate nere che hanno nel loro dna la repressione dell’antifascismo e della resistenza.

Nel vortice finiranno tutti: uomini e donne, giovanissimi e squadristi del ’22, torturatori e galantuomini, profittatori e persone perbene: come spesso accade, nella resa dei conti conclusiva di una guerra civile, il conto sarà pagato in solido non dai più colpevoli ma quasi sempre dai meno furbi, mentre molti fra i capi riuscirono a passare indenni dalla bufera successiva al 25 aprile 1945. Avagliano e Palmieri indagano con maestria questi “cluster”, e fanno luce sulle motivazioni di alcuni protagonisti, ma soprattutto dei tanti comprimari, tratteggiando una comunità disperata e assieme orgogliosa, spietata e talvolta umanissima, che finì per trovarsi dalla parte sbagliata della storia.

 

(Orientamenti, 1° giugno 2017)

Le "ragioni" dei vinti. La recensione di Avvenire

di Angelo Picariello

La storia dei vinti raccontata da loro stessi, "dal basso", dalle memorie minime dei protagonisti, al momento di arruolarsi, o alla fine di tutto, coi plotoni di esecuzione già schierati. L’Italia di Salò di Mario Avagliano e Marco Palmieri ripercorre le vicende del biennio che divise l’Italia in due, sul piano ideologico e territoriale: dal Gran Consiglio del 24 luglio 1943 che portò alla rimozione, da parte del re, di Benito Mussolini e al suo arresto, fino al 25 aprile 1945, giorno della Liberazione. Passando per l’armistizio firmato a Cassibile il 3 settembre, ma annunciato la sera dell’8; il blitz tedesco che portò alla liberazione di Mussolini sul Gran Sasso, l’annuncio della nascita della Repubblica Sociale da Radio Monaco, il 18 settembre.

Un vuoto storiografico già colmato dal racconto in chiave "reducistica" di Giorgio Pisanò, dalle ricerche di Renzo De Felice e Aurelio Lepre, dalla narrativa storica di Giorgio Bocca e Gianpaolo Pansa, dai saggi a quattro mani di Indro Montanelli e Mario Cervi. Ma questo nuovo, prolifico, binomio Avagliano-Palmieri si addentra soprattutto nella documentazione privata, nei racconti di vita vissuta sempre necessari a completare il delinearsi di un quadro storico, ma particolarmente determinanti nel definire gli eventi di un regime istituzionale provvisorio che, per forza di cose, ha lasciato poche fonti ufficiali cui poter attingere.

Vicende umane da inserire «nella temperie di una guerra totale che, in nome di contrapposte visioni ideologiche, vide scontrarsi eserciti regolari, formazioni altamente politicizzate, movimenti resistenziali, gruppi etnici, fedi religiose e non risparmiò la popolazione civile». Sullo sfondo le alterne vicende della guerra, ma anche le nuove motivazioni che fornì, appena prima del tracollo definitivo, il celebre discorso di Mussolini al teatro lirico di Milano il 16 dicembre 1944. Nomi famosi finirono dalla parte sbagliata, facendo la scelta che parve loro più coerente, come disse ad esempio l’attore Raimondo Vianello spiegando la sua, o anche solo più conveniente, come affermò candidamente Dario Fo, motivandola semplicemente con l’obiettivo di "portare a casa la pelle". Giornalisti come Enrico Ameri o Livio Zanetti, attori come Walter Chiari, Carlo Dapporto, Giorgio Albertazzi (che si definirà «non fascista» e spiegherà la sua adesione con l’idea di «orgoglio nazionale ») o Enrico Maria Salerno. Divertente il racconto di quest’ultimo che, ricorrendo ai suoi virtuosismi di guitto, tenterà di sfuggire all’arresto fingendosi matto e riempiendo di ingiurie la commissione che lo interrogava.

Tanti giovani si arruolarono convinti che il no alla monarchia asservita alle convenienze dei ceti borghesi traditori fosse la scelta giusta. «È con le lacrime agli occhi – scrive da Bologna ai suoi un giovane entrato nei bersaglieri – ma col cuore fermo che vi comunico la mia decisione. Voi mi avete educato nel culto della nostra cara Patria e mi avete insegnato ad amarla. Roma stessa è in pericolo, perciò tocca a noi giovani indomiti difenderla».

Anche la Chiesa fu attraversata da divisioni, a seguito di una precisa strategia perseguita dal fascismo repubblichino, che fin dall’assemblea di Verona del novembre 1943 si propose di «avvicinare cordialmente i sacerdoti», per «indurli a esprimersi pubblicamente con le parole e con la stampa» in favore della Rsi. Sacerdoti risposero positivamente, come don Vittorio Genta che all’inizio del 1944 invia una circolare ai parroci della diocesi di Asti affinché si attivino nel portare sulla «buona strada renitenti e disertori». E che non fu solo una storia di diverse convenienze lo dimostra il racconto minuzioso, in gran parte inedito, delle tante adesioni nelle regioni dal Sud. Sud già liberato dagli Alleati, dove il re aveva cercato riparo e dove il fascismo era da tempo un lontano ricordo.

(Avvenire, 26 maggio 2017 - pag. 13)

L'Italia di Salò, la recensione del Foglio

L’originalità del corposo lavoro di Mario Avagliano e Marco Palmieri non consiste nell’aver dato voce alle ragioni dei vinti, a quanti cioè credettero che la soluzione di Salò, ultima e crepuscolare propaggine del regime fascista che per un ventennio governò l’Italia, bensì nell’aver riportato alla luce i racconti di vita vissuta, alle esperienze personali, a ciò che spinse migliaia di uomini a seguire Mussolini anche in quella fatale esperienza.

E’ un’opera robusta e seria, come dimostra peraltro il denso apparato bibliografico e i riferimenti precisi a date, spazi, avvenimenti. Scrivono gli autori che “nonostante l’indubbio salto di qualità nel panorama degli studi, restava ancora da scandagliare in profondità, ricorrendo alle fonti coeve disponibili e alla memorialistica postuma, scevra da condizionamenti che l’hanno caratterizzata, la storia degli italiani che decisero di aderire e combattere dalla parte sbagliata”. Una storia, cioè, “che nonostante gli inevitabili distinguo individuali e particolari, riportasse alla luce in termini generali il loro carico di motivazioni, contingenti e ideologiche, le ragioni di quelle scelte, la loro evoluzione e i conseguenti comportamenti durante i venti mesi di quell’esperienza”.

Il problema maggiore è stato quello che Avagliano e Palmieri chiamano “il problema politico-culturale” che ha giocato un ruolo non indifferente nell’usare schemi rigidi a proposito di quel periodo della nostra storia, leggendo spesso il tutto in una chiave ideologica che persiste a tutt’oggi. Antifascisti e reduci, insomma, hanno lottato su Salò ben oltre il 1945.

Al di là di questo, il saggio cerca – riuscendoci – di rispondere all’interrogativo che oggi potrebbe porre qualunque ragazzo interessato alle patrie vicende storiche: cosa spinse un suo coetaneo d’allora, tra cui anche molti uomini di cultura, a risalire l’Italia disastrata per mettersi ancora una volta al servizio del Duce, in quello che ormai sembrava un epilogo disperato? Allora ecco che rileggere le lettere private, spulciare nei carteggi famigliari, diventa fondamentale per capire e conoscere le motivazioni ideologiche che portarono quegli italiani ad aderire alla Repubblica sociale. “Tra i volontari ci sono coloro i quali sono portatori di istanze che finiscono per coincidere con quelle del fascismo, ma hanno anche radici e basi che prescindono da esso, come ad esempio un certo modo di intendere l’amor di patria, il senso del dovere e l’attitudine a identificarsi e a obbedire a quella che viene riconosciuta come l’autorità legittima costituita”.

(Il Foglio, 27 maggio 2017)

Storie - L'Atlante delle stragi

di Mario Avagliano

Un lavoro di ricerca durato anni che, dopo il portale web e il convegno internazionale svoltosi a settembre 2016, finalmente approda in libreria, con un corposo saggio intitolato Zone di guerra, geografie di sangue. Le stragi naziste e fasciste in Italia (1943-1945), per i tipi del Mulino, a cura di Paolo Pezzino e Gianluca Fulvetti.

È la conclusione del progetto di ricerca promosso da Anpi e Insmli e finanziato dal Governo tedesco, che ha coinvolto 130 ricercatori e ha portato a censire tutte le stragi compiute sul suolo italiano durante il periodo della Repubblica di Salò e dell’occupazione tedesca: un totale di 5.616 episodi di violenza con ben 23.720 vittime

Oltre agli eccidi tragicamente noti, come quelli di Monte Sole e di Sant’Anna di Stazzema, il periodo compreso fra l’8 settembre del ’43 e la fine della lotta di liberazione ha visto cadere sotto il fuoco tedesco e fascista un numero spaventoso di italiani, tutti cittadini inermi e molti del tutto estranei alla lotta partigiana, vittime di rastrellamenti o uccisi senza motivi apparenti. Questo volume fornisce una mappa delle stragi che hanno insanguinato l’Italia, analizzandole dal punto di vista storiografico, interpretativo e geografico, avvalendosi di un apparato cartografico che illustra le fasi principali del conflitto in relazione alla cronologia delle stragi.

Da questo lavoro emergono la caratteristica di “guerra ai civili” del conflitto scatenato nell’Italia occupata (vedi il saggio di Carlo Gentile) e la responsabilità autonoma del restaurato regime fascista di Mussolini in molte delle stragi dei civili (vedi il saggio di Toni Rovatti “La violenza dei fascisti repubblicani), come evidenziato anche nel libro “L’Italia di Salò” (Il Mulino) pubblicato a marzo da me e Marco Palmieri.

L'atlante è disponibile online e accessibile all'indirizzo http://www.straginazifasciste.it e si compone di una banca dati e dei materiali di corredo (documentari, iconografici, video) correlati agli episodi censiti, ospitati all’interno del sito web. Nella banca dati sono state catalogate e analizzate tutte le stragi e le uccisioni singole di civili e partigiani uccisi al di fuori dello scontro armato, commesse da reparti tedeschi e della Repubblica Sociale Italiana in Italia dopo l’8 settembre 1943, a partire dalle prime uccisioni nel Meridione fino alle stragi della ritirata eseguite in Piemonte, Lombardia e Trentino Alto Adige nei giorni successivi alla Liberazione. L’elaborazione su base cronologica e geografica dell’insieme dei dati censiti ha consentito la definizione di una "cronografia della guerra nazista in Italia", che mette in correlazione modalità, autori, tempi e luoghi dei fatti.

La ricerca, come ha sottolineato l’ambasciatore tedesco Susanne Wasum-Rainer, è stata finanziata dal governo della Repubblica Federale di Germania, che attraverso il Fondo italo-tedesco per il futuro ha finanziato anche un altro grande progetto, l’Albo dei Caduti Imi, gli internati militari italiani. Sarebbe bello che anche il governo italiano si facesse promotore di un analogo lavoro di ricerca su pagine nere della nostra storia. Un esempio? Il censimento degli atti di persecuzione agli ebrei perpetrati a seguito dell’entrata in vigore delle leggi razziste del 1938.

(L'Unione Informa e Moked.it del 25 aprile 2017)

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Cosa fu davvero l’Italia di Salò

di Marco Di Porto

Dopo l’8 settembre 1943, quando cadde il regime fascista e l’Italia si divise in due, quanti aderirono alla neonata Repubblica sociale e presero le armi? E quali erano le loro motivazioni e i loro sentimenti?

L’ultima, vergognosa e tragica pagina del fascismo, che ne rappresentò l’epilogo e durante la quale avvennero le razzie e le deportazioni degli ebrei, gli eccidi di innocenti, gli arresti e gli internamenti di partigiani, militari e oppositori nell’Italia occupata dai nazisti, è stata indagata dagli storici e giornalisti Mario Avagliano e Marco Palmieri nel recente “L’Italia di Salò – 1943-1945”, edito dal Mulino.

Tra resoconti di polizia, corrispondenze intercettate dalla censura, diari, memorie e documenti editi e inediti, i due autori – Avagliano è storico collaboratore di Pagine Ebraiche, e autore, anche con Marco Palmieri, di diversi volumi sulle vicende degli ebrei italiani durante la guerra – ricostruiscono la storia dei fascisti di Salò. Raccontando le scelte e le storie dei volontari, dei coscritti, degli internati in Germania che “optarono” per la Rsi, dei prigionieri degli Alleati che rifiutarono di collaborare, delle seimila ausiliarie e dei fascisti che operarono nelle zone già liberate. In tutto oltre mezzo milione di aderenti, volontari o forzati, che vissero i venti mesi della guerra civile “dalla parte sbagliata”.

“Nel dopoguerra la Resistenza è stata oggetto di innumerevoli studi, ricerche e memorie, e il punto di vista resistenziale, spesso alimentato da storici che ne erano stati protagonisti, ha rappresentato una narrativa dominante”, scrivono gli autori nell’introduzione. “La vicenda dei tanti italiani che scelsero di aderire e combattere per la Rsi, al contrario, è rimasta a lungo marginale, finendo per rappresentare un autentico vuoto nel panorama storiografico e un tassello mancante nel composito quadro della conoscenza e della memoria di quel periodo.”

Un vuoto a cui gli autori hanno cercato di porre rimedio con questo volume di quasi cinquecento pagine, che racconta l’Italia della guerra civile, dalla caduta di Mussolini alla Liberazione.

La maggior parte degli aderenti a Salò, anche coloro che commisero gravi delitti, non pagarono o pagarono in misura lieve per le loro azioni. Casi esemplari sono il comandante della X Mas Junio Valerio Borghese, imputato per quarantatré omicidi, condannato a dodici anni di reclusione ma subito liberato, e il comandante dell’esercito di Salò Rodolfo Graziani, condannato a diciannove anni ma libero tre mesi dopo. Molti altri scamparono, in vario modo, alla giustizia, sfruttando anche la tendenza assolutoria che si intensificò dopo la sconfitta delle sinistre alle elezioni del 1948.

“In buona sostanza – si legge ancora nell’introduzione – nel giro di appena un decennio dalla fine della guerra la gran parte dei fascisti sfuggiti alle vendette post-Liberazione era di nuovo in libertà e la mancata applicazione delle pene diede di fatto un contributo decisivo alla più generale rimozione di memoria alla quale si è assistito nel dopoguerra.”

Non è un caso se, già nel 1948, il Msi raccoglieva il 2 per cento dei voti, e nel 1953 il 6 per cento, divenendo parte stabile del panorama politico della prima repubblica. “Segno evidente – continuano gli autori – che una domanda di rappresentanza politica del neofascismo effettivamente c’era, dovuta anche al retaggio di consenso e di adesioni che il fascismo e la sua esperienza finale di Salò avevano proiettato nell’Italia del dopoguerra, nonostante la tragedia del conflitto mondiale, l’orrore della guerra civile e le indubbie colpe del regime mussoliniano.”

(Moked.it del 25 aprile 2017)

 

25 aprile: in un libro il volto inedito dell'Italia di Salò

di Gabriele Le Moli

La firma dell'armistizio, l'8 settembre del 1943, segnò per  l'Italia non la fine della guerra ma l'inizio di un nuovo, e se  possibile più feroce conflitto, che spaccò in due il Paese. Accanto a quella fra gli eserciti regolari, fu combattuta  una 'guerra civile' e 'contro i  civili' che vide schierati su fronti opposti gli italiani inquadrati nella Resistenza e i connazionali che invece scelsero di seguire ancora il fascismo aderendo alla Repubblica sociale italiana.

Una spaccatura che ancora oggi sembra non essere rimarginata, se si guarda alle polemiche  legate alle celebrazioni per il 25 aprile. Una distanza, quindi, mai  colmata, e che per anni è stata raccontata come una contrapposizione  fra 'giusti e sbagliati', semplificando valori e motivazioni in base  alla logica dominante dei vincitori. La vicenda personale, civile e  morale dei tanti italiani che scelsero di schierarsi 'dalla parte  sbagliata' - rimasta a lungo marginale nella storiografia del dopoguerra - è affrontata adesso con rigore scientifico nel volume "L'Italia di Salò. 1943-45" di Mario Avagliano e Marco Palmieri,  uscito in questi giorni per Il Mulino.

Il volume, grazie ad un voluminoso e ricchissimo corpus di documenti storici, in parte  inediti, scandaglia a fondo e 'dal basso' lo spettro di motivazioni  che indussero oltre mezzo milione di italiani ad aderire alla Rsi.  Attraverso diari, lettere, testamenti ideologici, documenti di polizia  e relazioni delle forze armate emerge un ritratto di quei giorni e di  quei protagonisti, più vivo e reale e liberato dai condizionamenti  ideologici e politici tipici della memorialistica post-bellica.

I documenti raccolti da Avagliano e Palmieri rispondono così ad una serie di domande su aspettative e motivazioni degli italiani rimasti fedeli al Regime, e passano in rassegna le loro diverse esperienze militari (dall'esercito nazionale apolitico alle milizie di partito come la Guardia nazionale repubblicana e le Brigate nere, fino alle sanguinarie bande irregolari ed alle SS italiane comandate dai tedeschi). Nelle parole e nei sentimenti di chi visse lo choc dell'armistizio - sentito da molti come un tradimento - diventa chiaro come per tanti italiani l'8 settembre non rappresentò un taglio netto col Ventennio, ma una svolta in continuità rispetto ad un percorso di formazione culturale e politica, il cui naturale conseguenza fu proseguire con la militanza nella Rsi.

(Ansa, 24 aprile 2017)

I combattenti della parte sbagliata

di Raffaele Liucci

Arduo scrivere una storia condivisa della Repubblica Sociale Italiana (1943-45). Eppure Mario Avagliano e Marco Palmieri in L'Italia di Salò (Il Mulino) ci sono forse riusciti, indagando un passato segnato dal «disconoscimento totale e reciproco dell’umanità dell’avversario», come ha osservato Luigi Ganapini, autore nel 1999 di uno dei primi studi scientifici d’insieme sulla Repubblica delle camicie nere. Rispetto alle precedenti, questa nuova sintesi privilegia una ricostruzione dal basso, dando spazio ai diari e alle lettere coeve degli uomini comuni. Una fonte non priva di trabocchetti (i testimoni diretti non sono quasi mai i migliori giudici di se stessi), ma utilissima per aprire uno squarcio su una realtà magmatica, non del tutto riconducile all’ideologia dei capi. Altra peculiarità di questo tomo è lo sguardo esteso anche alle propaggini estere della Rsi, dai «non cooperatori» nei campi di prigionia alleati sino al «fascismo clandestino» operante al Sud, nell’Italia liberata.

Sia chiaro: questi documenti confermano molti tratti distintivi dei combattenti «dalla parte sbagliata». Lo choc del 25 luglio e la vergogna provata per il «tradimento» dell’8 settembre. La volontà di riscatto, anche solo per «perdere una guerra a modo mio». La propensione a considerare il duce vittima di «falsi fascisti» e la rinnovata fiducia nelle sue doti quasi sovrannaturali. L’odio per «la zona grigia degli indifferenti e dei rassegnati». L’ansia di vendetta e il desiderio di combattere non solo al fronte, ma anche contro i «ribelli» (smentendo così la tesi di una certa refrattarietà dei militi di Salò a scontrarsi con altri italiani). Le invettive contro i «negri» e i «porci angloamericani». Una concezione del mondo complottistica e manichea, con «massoni» ed «ebrei» gran burattinai. Del resto, come stupirsene? La Rsi dichiarò di «nazionalità nemica» tutti gli israeliti italiani e collaborò alacremente al genocidio ebraico.

D’altra parte, questa ricognizione svela un quadro assai più variegato dei «gregari di Salò». Non soltanto coscritti entusiasti, ma anche «tiepidi, recalcitranti, renitenti, disertori». Molti di loro, trasferiti in Germania per un periodo di addestramento, scrivono alle famiglie messaggi densi di angoscia per la fame, il freddo, la fatica e la sensazione «di essere agnelli ai comandi di alcuni ufficiali tedeschizzati». C’è poi chi si rifiuta, in Italia, di partecipare a esecuzioni sommarie di partigiani e civili. Per non parlare di quanti passeranno al fronte avverso, come il futuro storico del colonialismo Angelo Del Boca, qui citatissimo. Degne di riflessione anche alcune missive di «repubblichini» in attesa di essere giustiziati, intrise di dignitosa compostezza, tanto che potrebbero essere quasi scambiate per lettere di condannati a morte della Resistenza: «Muoio con l’animo tranquillo perché ho la coscienza di aver fatto tutto con slancio e devozione a quella Patria che ho amato più di me stesso, più della famiglia, forse più di Dio».

Gli autori non trascurano la persecuzione degli ebrei, la «guerra ai civili» e le torture anti-partigiane. Utile corollario a queste pagine è un recente libro di Alberto Mandreoli (Il fascismo della repubblica sociale a processo. Sentenze e amnistia, Il Pozzo di Giacobbe), che ricostruisce in modo capillare i processi celebrati a Bologna nell’immediato dopoguerra contro i fascisti responsabili di stragi e violenze varie, con sentenze di condanna annacquate dall’amnistia di Togliatti (giugno ’46). È il tema della mancata Norimberga italiana.

Ma Avagliano e Palmieri non dimenticano neppure la resa dei conti scattata dopo il 25 aprile ’45: l’ultimo capitolo del libro è infatti riservato alle vendette partigiane e al «sangue dei vinti». Un esito ahimè prevedibile, giacché una guerra civile non può cessare per decreto da un giorno all’altro, e quella italiana era iniziata con il primo squadrismo. Ma è anche vero che la Resistenza permise a molti antifascisti dell’ultima ora di rifarsi una verginità, facendo dei «repubblichini» (spesso giovanissimi) i capri espiatori di una lunga stagione avviatasi nel ’22, non dopo l’8 settembre ’43. Come se il Tribunale Speciale, il patto con Hitler, le leggi razziali e la pugnalata alla schiena della Francia non fossero episodi altrettanto gravi del revival crepuscolare di Mussolini, dall’autunno ’43 a piazzale Loreto.

(Il Sole 24 Ore, Domenicale, 23 aprile 2017)

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