Storie – Il magistrato Bauer che fece arrestare Eichmann

di Mario Avagliano
 
   La cattura di Adolf Eichmann, uno dei principali responsabili della soluzione finale, non fu opera solo del Mossad. Un altro protagonista misconosciuto di quell’arresto clamoroso fu il procuratore generale Fritz Bauer, ebreo tedesco fuggito in Danimarca durante le persecuzioni e tornato in Germania, a Francoforte, dopo la guerra.  Fu lui a scoprire che Eichmann si nascondeva a Buenos Aires.
Lo racconta il film uscito nei giorni scorsi in Italia intitolato “Lo Stato contro Fritz Bauer”, del regista tedesco Lars Kraume, co-sceneggiato dallo scrittore francese Olivier Guez, che si era già occupato della vicenda nel libro “L’impossibile ritorno, storia degli ebrei in Germania dopo il 1945”.
La storia del tenace e coraggioso Bauer, omosessuale dichiarato, che sin dal suo ritorno dall'esilio in Danimarca cercò di portare in tribunale gli autori dei crimini di guerra perpetrati durante il Terzo Reich, è di grande interesse.
Per vincere le resistenze dello Stato tedesco, assai restio negli anni Cinquanta a fare chiarezza sul suo terribile passato, il magistrato fu costretto a contattare il Mossad, il servizio segreto israeliano, venendo imputato così del reato di alto tradimento.
Un assurdo giuridico, perché venne considerato traditore chi aveva fatto catturare un criminale. Il motivo? Non si era arreso alla ragion di Stato, rivolgendosi a un altro Paese, Israele, per avere giustizia.
 
(L’Unione Informa e Moked.it del 10 maggio 2016)

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Uno 007 per depistare Hitler

di Mario Avagliano

   La seconda guerra mondiale non fu combattuta solo dagli eserciti, con le armi convenzionali e quelle di distruzione di massa, ma anche dagli apparati di intelligence, attraverso giochi artificiosi di depistaggio e l’attività di agenti segreti modello 007 o di spie infiltrate dietro le linee nemiche.

Di recente il film The Imitation Game ha fatto conoscere al grande pubblico la brillante operazione condotta sotto copertura dal team del matematico Alan Turing per decrittare il codice Enigma, ideato dai nazisti per comunicare le loro operazioni militari in forma segreta. Meno nota è la battaglia di spionaggio ingaggiata nel 1944 dagli Alleati e dai tedeschi attorno al luogo dello sbarco angloamericano sul suolo europeo, che poi avrebbe deciso le sorti del conflitto nel Vecchio Continente.
È il tema di Overlord (Mondadori, pp. 368), il nuovo avvincente romanzo di Carlo Nordio, magistrato prestato alla narrativa, che dopo la storia di una spia nazista in Operazione Grifone, in questo nuovo libro, attraverso un misurato dosaggio di realtà documentata e di fiction, racconta i retroscena dello sbarco in Normandia, iniziato il 6 giugno 1944, il D-Day, appena quarantotto ore dopo la liberazione di Roma.
Il romanzo parte all’una di notte del 28 aprile, quando al chiaro di luna dieci navi da trasporto della Marina Usa, cariche di uomini e appesantite da decine di carri armati e di altri mezzi, attraversano il canale della Manica per simulare uno sbarco sulle coste del Devonshire, nell’Inghilterra sudoccidentale, su una serie di spiagge simili per conformazione a quelle della Normandia, da cui dovrebbe partire l'Operazione Overlord, il piano per stabilire una testa di ponte sulla terraferma allo scopo di liberare la Francia.
Un messaggio radio della flottiglia alleata viene intercettato dai tedeschi. All’istante alcune torpediniere germaniche partono verso le navi alleate e ne affondano due. Il bilancio è durissimo, seicento morti e altri dispersi, tra cui dieci ufficiali "Bigot", tra i pochi depositari del luogo segreto dello sbarco.
Alla notizia il premier inglese Winston Churchill trema. Sa bene che il rischio è enorme. L’effetto sorpresa è fondamentale. Se i tedeschi scoprissero dove le truppe angloamericani hanno intenzione di sbarcare, gli basterebbe trasferire un paio di divisioni corazzate lungo la costa della Normandia per far fallire l’operazione. Proprio per questo gli alleati hanno già messo in atto dei diversivi, facendo circolare piani falsi per lo sbarco in Norvegia o a Calais e costituendo armate fantasma nel Sudest dell’Inghilterra.
Grande è il sollievo di Churchill e di Eisenhower, comandante supremo delle forze alleate in Europa, quando scoprono che nessuno dei dieci Bigot è caduto in mano ai nazisti. È vero, un ufficiale americano ha parlato ed è trapelato il nome di uno di loro, il colonnello Clarence Collins, ora ricercato dai tedeschi. Per fortuna però Collins si è salvato e si trova al sicuro in un ospedale inglese.
Ciò nonostante Hitler ha ordinato di trasferire parte delle truppe della Wehrmacht da Calais verso la Normandia e la Bretagna. Come depistare i tedeschi? Tocca a Sir Stewart Menzies, rampollo di una ricca famiglia, amica del re Edoardo VII, nonché capo dei Servizi Segreti inglesi, e a Colin Gubbins del SOE, l'organizzazione britannica creata per operazioni di sabotaggio sul suolo europeo, elaborare un piano audace, approvato da Churchill e Eisenhower. Inviare una spia inglese in Francia, che assuma l’identità di Collins e si faccia catturare dalla Gestapo, portando fuori pista i nazisti circa il luogo dello sbarco.
Viene scelto il maggiore Jim Wallace, il migliore agente del SOE, 32 anni, istruttore di lotta, esperto di tiro, traduttore di francese, consulente della polizia federale, laureato in letteratura moderna. Ci riuscirà? L’esito è scontato, ma non la trama del romanzo di Nordio, che è ricca di colpi di scena e di suspense, con l’intervento di spie tedesche e di partigiani francesi, tra cui l’affascinante Marie, e si sviluppa con l’andamento e le tonalità di un giallo, ma sul filo di una vicenda storica tra le più appassionanti dell’era moderna.

 
(Il Messaggero, 25 aprile 2016)

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Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia. In rete la memoria delle stragi

di Mario Avagliano

   Boves, Caiazzo, Marzabotto, Mascalucia, Roma, S. Anna di Stazzema… L’elenco di borghi, città, località italiane che nel tragico periodo che va dall’estate del 1943 all’aprile del 1945 furono insanguinati dal terrore nazifascista è un lungo interminabile rosario. 5.428 stragi, con un bilancio di oltre 23 mila vittime, secondo il censimento realizzato in due anni di lavoro collettivo da 120 ricercatori e 60 istituti storici, nell’ambito del primo Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, presentato ieri alla Farnesina dal direttore generale per l'Ue del ministero degli Esteri, Giuseppe Buccino Grimaldi, insieme all'ambasciatore tedesco in Italia, Susanne Marianne Wasum-Rainer.

L’Atlante è disponibile da oggi online all’indirizzo www.straginazifasciste.it e costituisce una sorta di «grande memoriale virtuale», in continuo aggiornamento, che, come affermato daldirettore generale dell'Insmli Claudio Silingardi, trasforma le vittime in «uomini, donne, bambini», dando loro un nome e una carta d’identità.
La ricerca è stata finanziata dal ministero degli Esteri della Repubblica Federale tedesca, nell'ambito delle raccomandazioni suggerite dalla Commissione storica italo-tedesca, ed è stata realizzata dell’Anpi e dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia.
«Un censimento della violenza», come ha detto la storica Isabella Insolvibile, che ci fornisce una vera e propria guida storica e anche geografica di tutti i crimini di guerra verso i civili accaduti in Italia sotto l’occupazione nazifascista. L’Atlante è composto da una banca dati georeferenziata, da schede monografiche su ogni episodio e da testi contenenti la ricostruzione storica dei fatti, corredati da materiale fotografico.
La ricerca consente di fare ulteriore luce sulla pagina nera dell’occupazione nazifascista, dopo che colpevolmente i governi italiani del dopoguerra, per motivi di realpolitik e di salvaguardia del ruolo della Germania dell’Ovest come avamposto dell’Occidente, avevano fatto calare il silenzio sulle stragi, addirittura murando i relativi fascicoli nel cosiddetto «armadio della vergogna», scoperto nel 1994.
Per la prima volta, infatti, è stato definito il numero delle stragi a livello nazionale, 5.428, avvenute non solo nel Centro-Nord ma anche in Meridione, dalla Sicilia alla Campania. Dalla ricerca emerge un notevole aumento del numero delle vittime, che passa dalle 10-15 mila finora ipotizzate a 23.461 accertate, escludendo i caduti in combattimento e comprendendo quindi solo i civili inermi, catturati e uccisi a seguito di rastrellamenti, di rappresaglie o di stragi “eliminazioniste” o dirette contro specifiche tipologie di persone (ebrei, antifascisti, religiosi etc.).
L’Atlante, spiega Toni Rovatti, propone, ove possibile, anche i nomi degli esecutori: non solo membri delle famigerate SS naziste, ma anche militari della Wehrmacht e diversi italiani fascisti del regime di Salò il cui ruolo, come sottolinea Paolo Pezzino, è autonomo e determinante nel ben 19% delle stragi. A testimonianza che la Rsi «portò avanti in modo autonomo una propria politica della violenza».
Frutto della «stretta collaborazione» tra Italia e Germania, l'iniziativa punta alla «creazione di una comune cultura della memoria», ha sottolineato l'ambasciatore tedesco. Un «progetto scientifico molto impegnativo» per registrare tutti gli atti di violenza compiuti da nazisti e fascisti in Italia, «assicurando così alle vittime una degna memoria».
Di «passo avanti per la memoria comune» ha parlato anche il presidente dell'Anpi, Carlo Smuraglia, anche se resta ancora sospesa la questione della giustizia di transizione, ovvero delle sentenze relative a condanne all’ergastolo nei confronti di criminali tedeschi e austriaci, emesse da corti italiane ma non rese esecutive da quelle tedesche. Un “disaccordo” giudiziario che costituisce una ferita ancora aperta e che – come evidenzia la storica Isabella Insolvibile – «nessun investimento nella ricerca e nella memoria può autonomamente risolvere».

(Il Messaggero e Il Mattino del 7 aprile 2016)

Storie – Il passato nazista della Lufthansa

di Mario Avagliano 

  Anche la Lufthansa, la compagnia aerea tedesca, fu complice del nazismo. Nel 1932 la Deutsche Luft Hansa, dalle cui ceneri nel 1955 nacque la Lufthansa, mise a disposizione di Adolf Hitler un velivolo per la sua campagna elettorale. Erhard Milch, dirigente della compagnia, divenne segretario di Stato del potente ministro dell’aviazione Hermann Göring. E durante la Seconda guerra mondiale la Deutsche Luft Hansa sfruttò 10 mila lavoratori forzati, bambini compresi, costringendoli a lavorare in condizioni disumane in stabilimenti dove si costruivano o si riparavano ali, motori e componenti meccaniche.
  È quanto rivela uno studio dello storico tedesco Lutz Budrass, commissionato nel 1999 dalla stessa compagnia aerea, e a lungo tenuto nel cassetto, i cui risultati sono stati anticipati dalla Lufthansa, con un fascicolo allegato a un libro fotografico sulla storia della società, uscito poco prima dell’arrivo in libreria, lo scorso 14 marzo, del saggio, pubblicato da una casa editrice di Monaco.
Il passato scomodo della compagnia tedesca non è una novità in senso assoluto. La storiografia tedesca si era occupata dell’argomento e nel 2012 un team di ricercatori delle Freie Universität, coordinati dal professore Reinhard Bernbeck, aveva riportato alla luce le mura di una vecchia baracca dei prigionieri a Tempelhof, ritrovando poi migliaia di reperti dell’epoca.
  Dalla ricerca di Budrass, di 700 pagine, intitolata significativamente “Aquila e gru” (il simbolo della Germania nazista e il logo della compagnia aerea), emergono però vari dettagli inediti, come ad esempio il fatto che tra i lavoratori forzati vi fossero molti ebrei, impegnati nelle riparazioni all’aeroporto di Tempelhof, e che la compagnia nel 1942, a differenza di quanto fecero altre imprese tedesche, non si oppose in alcun modo al loro prelevamento e alla loro deportazione nei campi di sterminio.

(L’Unione Informa e Moked.it del 29 marzo 2016)

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Si apre l’armadio della vergogna

Gli storici a confronto

  di Adam Smulevich

  Vivo interesse e molte speranze tra gli storici del nazifascismo con l’avvio della pubblicazione degli atti della commissione parlamentare d’inchiesta sul cosiddetto “armadio della vergogna” contenente 695 fascicoli d’inchiesta e un registro generale riportante 2274 notizie di reato relative a crimini di guerra commessi sul territorio italiano durante l’occupazione nazifascista. Una svolta che è frutto dell’impegno personale della presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini, che ha ricordato in queste ore come un “paese veramente democratico” non possa avere paura del proprio passato.

  Nonostante i ritardi accumulati in questi decenni per Lutz Klinkhammer, direttore dell’Istituto Germanico di Roma, il bicchiere è mezzo pieno. “Si tratta – racconta a Pagine Ebraiche – di un’operazione di trasparenza molto lodevole, che certamente renderà l’accesso più facilitato ai cittadini. Il frutto di una volontà politica che va senz’altro apprezzata”. Klinkhammer ha rapidamente analizzato i documenti disponibili da questa mattina sul sito dell’archivio storico della Camera. “La prima impressione – osserva – è che manchi ancora molto materiale, custodito in particolare da alcune istituzioni e organi militari. La speranza è che tutto possa essere consultabile nei tempi più rapidi e in modo libero, senza vincoli”.

  “Il fatto che questo materiale sia online è estremamente positivo” sottolinea Anna Foa. Già ieri, in occasione dell’annuncio, aveva sottolineato l’importanza e il significato di questa operazione. Con l’auspicio che la pubblicazione degli atti dia il via “a studi ancora più approfonditi su quella stagione, fornendo nuove risposte e chiarendo punti che restano oscuri”. Perché, aveva poi ricordato, “ne abbiamo davvero tutti molto bisogno”.

  Condivide questa impostazione Mario Avagliano, che racconta come tra colleghi e addetti ai lavori l’attesa fosse molta. “Per lunghi anni – afferma – il silenzio è calato in modo inesorabile. L’amnistia concessa da Togliatti, e in seguito il fatto di dover tutelare la Germania Ovest come bastione occidentale per tutto il corso della Guerra Fredda, hanno impedito una vera ricerca fino a tempi non così lontani. Oggi, nel nome della trasparenza, viene fatto un nuovo passo in avanti”.

 Meno entusiasta Marcello Pezzetti, direttore scientifico del Museo della Shoah di Roma. “La pubblicazione ha ormai valore soltanto per gli storici e lascia per questo molta tristezza. Insieme a una domanda: quanti criminali sarebbero stati condannati se questo materiale fosse stato divulgato ben prima? Il rammarico – afferma – è che abbiamo impedito alla giustizia tedesca di fare il suo corso”. Riguardo al materiale diffuso online, Pezzetti si dice convinto che non “tocchi più di tanto” la costruzione che è stata fatta delle diverse vicende belliche.
 

(L’Unione Informa e Moked.it del 16 febbraio 2016)

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Eichmann, il boia nazista chiese la grazia a Gerusalemme

di Mario Avagliano
 
   Fino all’ultimo momento il criminale nazista Adolf Eichmann provò a negare le sue responsabilità nella Shoah, affermando di essere stato un «semplice strumento» di Adolf Hitler. È quanto risulta dalla lettera manoscritta dello stesso Eichmann, datata 29 maggio 1962, che oggi, in occasione della Giornata della Memoria, il presidente israeliano Reuven Rivlin ha deciso per la prima volta di rendere pubblica. Una missiva di quattro pagine, indirizzata all'allora presidente d’Israele Yitzhak Ben-Zvi, di cui già si conosceva l’esistenza (ne aveva parlato tra gli altri Hannah Arendt nel suo libro La banalità del male), ma non il contenuto.
Nella lettera Eichmann sosteneva che il tribunale israeliano avesse esagerato il suo ruolo nell'organizzazione della logistica della «soluzione finale», vale a dire nello sterminio degli ebrei. «Bisogna distinguere i responsabili dalle persone che come me sono state semplici strumenti nelle loro mani», scrisse l'ex ufficiale delle SS. «Io non ero un responsabile e non mi sento quindi colpevole» (...) «pertanto non ritengo giusto il giudizio della corte e vi chiedo, signor presidente, di esercitare il vostro diritto a concedermi la grazia, così che la condanna a morte non venga eseguita».
In realtà il funzionario tedesco, classe 1906, era stato uno dei protagonisti della persecuzione degli ebrei in Europa. Già all’età di ventotto anni venne incaricato dalla Gestapo di occuparsi della questione ebraica. Segretario della conferenza di Wannsee del 20 gennaio 1942 che decise la «soluzione finale», curò in prima persona il meticoloso piano dei trasporti ferroviari di deportazione degli ebrei, contribuendo al perfetto funzionamento della macchina di morte nei lager di Auschwitz e della Polonia orientale (Belzec, Sobibor, Treblinka).
Nel 1945 Eichmann, al pari di altri gerarchi nazisti, riuscì a far perdere le proprie tracce, imbarcandosi nel 1950 a Genova per l’Argentina, con un passaporto falso intestato a Ricardo Klement. Il funzionario nazista lavorava in uno stabilimento della Mercedes a Buenos Aires quando venne individuato dagli agenti del Mossad, i servizi segreti israeliani. Rapito l’11 maggio 1960, fu trasportato a bordo di un aereo in Israele, dove venne processato e condannato a morte nel 1961.
La lettera – insieme a quella con cui Ben-Zvi respinse la richiesta di grazia – è stata esposta nella residenza dell’attuale presidente israeliano Reuven Rivlin, nell’ambito di una mostra inaugurata ieri e dedicata al celebre processo del 1961, che riaccese l’attenzione sulla Shoah, mandato in onda in diretta tv mondiale e svoltosi presso il Beit Haam, la Casa del Popolo di Gerusalemme.
Proprio in questi giorni è uscito in numerose sale cinematografiche italiane, come evento speciale per la Giornata della Memoria, The Eichmann Show, film di produzione britannica, diretto da Paul Andrew Williams, che ripercorre tutte le tappe produttive della diretta televisiva delle 121 udienze del processo, narrando fra l’altro, grazie a videocamere nascoste, le reazioni di Eichmann di fronte alle testimonianze dei sopravvissuti.
Eichmann venne impiccato poco prima di mezzanotte del 31 maggio 1962 in una prigione a Ramia. Come prescriveva il verdetto, il suo cadavere venne cremato e le sue ceneri disperse da una motovedetta israeliana nel Mediterraneo, al di fuori delle acque territoriali d’Israele. Il suo processo venne seguito per la rivista New Yorker da Hannah Arendt, che lo descrisse come «un esangue burocrate» che si limitava ad eseguire gli ordini e ad obbedire alle leggi. Una tesi poi messa in discussione da vari studiosi e che è stata di recente demolita da un saggio della filosofa tedesca Bettina Stangneth, intitolato Eichmann prima di Gerusalemme. La vita non verificata di un assassino di massa, che lo ha identificato come un carrierista rampante e ambizioso e un nazista fanatico e cinico, che agì con incondizionato impegno per difendere la purezza del sangue tedesco dalla «contaminazione ebraica».

(Il Messaggero e Il Mattino, 28 gennaio 2016)

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Storie - La Memoria degli internati militari

di Mario Avagliano

  La legge istitutiva della Giornata della Memoria del 2000 riguarda, oltre che la Shoah e la persecuzione degli ebrei, anche i deportati politici e gli internati militari. All'indomani dell'8 settembre 1943, infatti, le truppe naziste nell'occupare l'Italia, scatenarono una caccia all'uomo nei confronti degli ebrei, con la complicità del redivivo fascismo di Salò, ma anche una feroce repressione dell'opposizione politica e sociale, con la deportazione di antifascisti, resistenti civili, partigiani, operai scioperanti. Inoltre l'esercito tedesco catturò e disarmò in Italia e sui vari fronti di guerra (dalla Francia ai Balcani alle isole greche) circa 1 milione di ufficiali e soldati italiani, spesso con l'inganno e non di rado con la collaborazione di nostri connazionali immediatamente schieratisi con la Germania a seguito dell'armistizio.
Di questo milione di soldati, circa 100 mila aderirono subito alle Ss tedesche o alla Rsi e altri 190 mila riuscirono a fuggire o vennero rilasciati.
In 710 mila vennero internati nei campi del Reich e posti di fronte all’alternativa se entrare nell’esercito della Repubblica Sociale, guidata da Benito Mussolini, oppure restare in prigionia, soffrendo la fame e sopportando gli stancanti e snervanti turni di lavoro. La maggior parte di loro, circa 600-630 mila, disse di “no” all’adesione, in nome della fedeltà all’Italia, al re e all’ideale di libertà, anche se una quota non irrilevante (oltre 100 mila) optò per la Rsi.

Diverse migliaia di internati morirono nei campi, per le pessime condizioni di vita e di lavoro o anche perché picchiati e fucilati. Anche la loro storia va ricordata.

(L’Unione Informa e moked.it del 26 gennaio 2016)

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Storie – In Germania si lavora all’edizione critica del Mein Kampf

di Mario Avagliano

   Settant’anni dopo siamo pronti a leggere il Mein Kampf? Se lo chiede lo storico Umberto Gentiloni sulle colonne de la Stampa di Torino. In Germania gli studiosi del prestigioso Istituto Storico di Monaco di Baviera stanno lavorando da tre anni ad un'edizione critica di duemila pagine, con 3.700 note. L’obiettivo è quello di distruggere il mito di Adolf Hitler e le sue tracce, “rafforzando le ragioni della storia quindi la sfida e gli strumenti per una consapevole comprensione del passato”, scrive Gentiloni. Sarà davvero possibile? Una sfida da seguire con attenzione.

(L’Unione Informa e Moked.it del 22 dicembre 2015)

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