Storie – Il silenzio sulle leggi razziste

di Mario Avagliano

Settantacinque anni fa, giovedì 17 novembre 1938, il regime fascista varava il Regio Decreto Legge n. 1728, intitolato Provvedimenti per la difesa della razza italiana, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 264 del 19 novembre. Due giorni prima era stato approvato il Regio decreto legge intitolato n. 1779, intitolato Integrazione e coordinamento in unico testo delle norme già emanate per la difesa della razza nella Scuola italiana (GU n. 272, 29 novembre 1938). Proprio in questi giorni, quindi, Benito Mussolini e il suo governo dittatoriale davano il via al pacchetto complessivo delle cosiddette leggi razziali (meglio sarebbe dire razziste).

Il 75° anniversario, però, è passato in Italia quasi sotto silenzio. Le iniziative di ricordo di quei fatti sono state organizzate quasi soltanto in ambito ebraico. A parte la significativa iniziativa del comune di Trieste del 18 settembre scorso, tra le poche eccezioni citerei il convegno “A 75 anni dalle leggi razziali. Nuove indagini sul passato, ancora lezioni per il futuro”, in programma il giorno 10 dicembre 2013, dalle ore 9,30, presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Roma Tre (Sala del Consiglio, I piano, Via Ostiense 161). Nel corso dell’incontro verranno presentati i volumi di Michael A. Livingston, The Fascists and the Jews of Italy. Mussolini’s Race Laws, 1938–1943 (Cambridge University Press, 2013) e di Giuseppe Speciale (ed.), Le leggi antiebraiche nell’ordinamento italiano (Patron Editore, 2013).
Tra le rare prese di posizione dei politici, va registrata quella del sindaco di Firenze Matteo Renzi che, nel corso della cerimonia nella sinagoga di Firenze per la consegna della medaglia e dell'attestato di ''Giusto fra le Nazioni'' a Gino Bartali, ha giustamente dichiarato: "Le leggi razziali furono un'atrocità immane, che noi troppo spesso facciamo finta di dimenticare. E' vero che c'è stato il nazismo, è vero che l'ideologia folle nasce da Hitler ma è anche vero che l'Italia fu colpevole di aver proclamato delle leggi razziali che poi entrarono nel vivo della vita quotidiana".
Il 2013 non è ancora terminato. Il mio auspicio personale è che ci siano altre occasioni per riflettere sulla responsabilità dell’Italia e degli italiani in questa pagina nera della nostra storia. Un capitolo col quale dobbiamo ancora fare i conti.

(L’Unione Informa e Moked.it del 19 novembre 2013)

  • Pubblicato in Storie

Saluto del Ministro Bray alla presentazione del volume "Di pura razza italiana"

20 novembre, Palazzo Valentini, Roma

Gentili autori, autorità, e amici presenti in sala,

Rivolgo a voi un breve saluto in occasione della presentazione del volume “Di pura razza italiana” a cura di Mario Avagliano e Marco Palmieri, non potendo purtroppo essere presente in questa giornata di dolorosa riflessione per la nostra collettività. L’approvazione delle leggi razziali rappresenta, ancora oggi, una ferita aperta e una pagina buia della nostra storia del secolo scorso.

A 75 anni dalla loro promulgazione, il volume che oggi viene presentato ha il pregio di voler costituire un ulteriore e prezioso tassello per la ricostituzione di una imprescindibile memoria collettiva, radice di ogni vero spirito democratico e speranza per un futuro di pace, a difesa della persona e dei suoi diritti inalienabili. La cronaca documentata di episodi di intolleranza e discriminazione, avvenuti in quegli anni in tutti gli ambiti della vita sociale e culturale, tra indifferenza ed omertà, colpisce e addolora le nostre coscienze.
Il lavoro di ricostruzione per ricomporre gli eventi ci fa rivivere, capire, ci aiuta a far emergere la verità delle cose: ancora oggi la memoria è e deve essere un dovere. E con grande impegno dobbiamo rivolgerci, in particolare, alle giovani generazioni, affinché conoscano la barbarie di quella legge e siano invitati ad una riflessione attenta, perché soltanto attraverso una memoria consapevole potremo difendere l'uguaglianza, la libertà, la democrazia, la solidarietà e impedire che l’umanità conosca di nuovo simili tragedie. Grazie per il vostro lavoro.

Massimo Bray
Ministro dei Beni Culturali

  • Pubblicato in News

Shalom7 - Presentato a Roma il volume ‘Di pura razza italiana' di Avagliano e Palmieri

Grande successo ieri a Roma per la "prima" del libro Di pura razza italiana di Mario Avagliano e Marco Palmieri (Baldini & Castoldi), che si è tenuta in una sala gremita di folla a Palazzo Valentini, sede della Provincia, a cura della Comunità ebraica di Roma e del Centro di Cultura ebraica. Due ore serrate di interventi e letture del libro, a cura dell'attore Alessio Di Caprio.

Dopo il saluto del commissario Riccardo Carpino, il presidente della Comunità ebraica, Riccardo Pacifici, ha sottolineato l'importanza di un libro che scalfisce il muro di silenzio che per lungo tempo ha coperto il tema delle leggi razziste italiane del 1938, in occasione del 75° anniversario della loro emanazione, pronunciando anche un duro J’accuse nei confronti delle istituzioni: «L'Italia non ha mai chiesto scusa agli ebrei, a differenza di quanto hanno fatto la Germania e la Francia».

Del libro hanno discusso, con i due autori, lo storico Amedeo Osti Guerrazzi e i giornalisti-storici Aldo Cazzullo e Roberto Olla.

Amedeo Osti Guerrazzi lo ha definito «un libro estremamente importante e completo, perché sulle leggi razziste c'è stata una immensa rimozione di massa, un oblio condiviso, che ha coinvolto l'intera popolazione e nessuno ha voluto vedere, sapere, capire cosa stava succedendo. Questo volume contribuisce a fare luce sulla galleria degli orrori dell’antisemitismo italiano».

Anche Aldo Cazzullo - autore di una appassionata recensione sul Corriere della Sera del 19 novembre - ha sottolineato che «questo libro chiama in causa la coscienza di tutti gli italiani. Una vulgata molto diffusa racconta che Mussolini fu uno statista provvido fino al '38, quando commise l'errore di legarsi a Hitler che lo trascinò nella persecuzione degli ebrei e nella guerra. Questo libro ha il grande merito di smascherare questa vulgata».

«Un libro necessario - ha aggiunto Roberto Olla, che ha moderato il dibattito toccando punti caldi e centrali che hanno coinvolto anche il pubblico in sala con interventi e domande - perché il binario su cui correvano le opere di divulgazione su questo tema era troppo stretto nel dualismo fra le leggi razziste volute dal regime da un lato e i giusti italiani dall'altro. Per questo è un libro da divulgare, se vogliamo che il nostro presente faccia i conti col nostro passato».

E’ stato letto anche un messaggio del ministro dei Beni culturali Massimo Bray, il quale ha scritto tra l’altro: «L’approvazione delle leggi razziali rappresenta, ancora oggi, una ferita aperta e una pagina buia della nostra storia del secolo scorso. A 75 anni dalla loro promulgazione, il volume che oggi viene presentato ha il pregio di voler costituire un ulteriore e prezioso tassello per la ricostituzione di una imprescindibile memoria collettiva, radice di ogni vero spirito democratico e speranza per un futuro di pace, a difesa della persona e dei suoi diritti inalienabili».

Nella parte finale dell’incontro, Mario Avagliano si è soffermato sulla genesi del libro Di pura razza italiana, nato da uno stimolo dello storico Michele Sarfatti, che in varie occasioni aveva evidenziato un gap della ricerca sullo «spirito pubblico» della popolazione italiana non ebrea di fronte alle leggi razziali. «L’enorme mole di relazioni dei fiduciari del regime, di diari, di lettere, di documenti e di articoli della stampa coevi che abbiamo esaminato – ha affermato Avagliano – hanno smentito le affermazioni di Renzo De Felice, secondo cui gli italiani subirono le leggi razziste. Man mano che siamo venuti in possesso di questi documenti, è venuto fuori il ritratto di un’Italia molto piccola, fatta di persecutori, complici, approfittatori, sciacalli, opportunisti o tutt’al più di indifferenti. pochi i gesti di solidarietà, e quasi sempre in ambito privato».

«Ed è proprio questo il principale intento del libro, fare i conti, attraverso la rigorosa analisi del documenti e delle fonti, con un passato troppo a lungo coperto da una cattiva coscienza”, ha concluso l’altro autore, Marco Palmieri.

(Shalom7, 21 novembre 2013)

  • Pubblicato in News

Storie - Leggi razziste, "una cosa da niente"...

di Mario Avagliano

Settantacinque anni fa le leggi razziste chiusero in un nuovo ghetto, dalle mura invisibili, la minoranza ebraica che da lì a qualche anno avrebbe fronteggiato la soluzione finale nazista. Quale impatto ebbe la persecuzione dei diritti sulla comunità degli ebrei? E come reagì l'opinione pubblica italiana a quell’improvviso accanimento contro una minoranza che aveva partecipato a pieno titolo al Risorgimento?

È il tema della raccolta di racconti di Mario Pacifici, dal titolo "Una Cosa da Niente e Altri Racconti" (Edizioni Opposto), che presenterò assieme a Marco Palmieri giovedì 28 novembre, alle ore 18.30, nella Sala dell’Assunta dell’Ospedale Fatebenefratelli all’Isola Tiberina.

Dodici racconti in cui Pacifici, con uno stile narrativo incalzante ma non retorico, che in certi tratti ricorda Goffredo Parise e in alcune similitudini Giorgio Bassani, narra i soprusi, le umiliazioni, l’isolamento subiti dagli ebrei, ma anche la complicità e l’indifferenza dei loro connazionali “ariani”, che persiste nel dopoguerra. Insegnanti, burocrati, commercianti, alti ufficiali, ristoratori, che non di rado sono malevolmente partecipi all’antisemitismo di Stato, raramente indignandosi, nella maggior parte dei casi considerando appunto le misure razziste varate dal regime una cosa giusta o tutt’al più “una cosa da niente”.

(L'Unione Informa e Moked.it 26 novembre 2013)

  • Pubblicato in Storie

Palatucci, si riaprono gli archivi

di Mario Avagliano

Prima riunione per il “Gruppo di ricerca su Fiume-Palatucci 1938-1945” convocato su impulso di Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano con l'obiettivo di far luce sulla figura del Giusto tra le Nazioni Giovanni Palatucci (nell'immagine), che fu questore di Fiume e che fu ucciso a Dachau nell'inverno del 1945.
L'incontro, svoltosi nei locali del Cdec, ha visto la partecipazione di tutti i componenti dell'organo: Michele Sarfatti (Fondazione CDEC; coordinatore del Gruppo), Mauro Canali (Università di Camerino), Matteo Luigi Napolitano (Università degli Studi Guglielmo Marconi), Marcello Pezzetti (Fondazione Museo della Shoah di Roma), Liliana Picciotto (Fondazione CDEC), Micaela Procaccia (dirigente della Direzione generale per gli archivi del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo), Susan Zuccotti (Centro Primo Levi, New York).
Numerosi gli aspetti messi a fuoco già a partire da questa prima riunione, compreso l'avvio di una significativa ricognizione degli archivi noti o ancora da consultare. Al termine dei lavori, previsti in sei mesi, il Gruppo pubblicherà una relazione sui risultati delle ricerche con allegati i documenti rilevanti.

(L'Unione Informa e Moked.it del 20 dicembre 2013)

  • Pubblicato in Articoli

Storie – Zi’ Mario Limentani, il testimone di Mauthausen

di Mario Avagliano

Lo chiamano ancora oggi «il Veneziano», anche se vive ininterrottamente a Roma dai primi anni Trenta, a parte la drammatica parentesi dei due anni di deportazione. Mario Limentani, detto Zi’ Mario, a 90 anni di età è uno dei pochi sopravvissuti di quei circa 1.700 ebrei della comunità più popolosa d’Italia che, durante i nove mesi di occupazione tedesca della capitale, tra il settembre del 1943 e il giugno del 1944, vennero estirpati a forza dalle loro case e tradotti nell’inferno dei Lager del Reich. La sua storia, per tanti aspetti unica ed esemplare, è stata per la prima volta raccontata in modo organico e completo nel libro intitolato “La scala della morte. Mario Limentani da Venezia a Roma, via Mauthausen” (Marlin editore), scritto da Grazia Di Veroli, che con delicatezza e rispetto della sfera privata dell’interlocutore, ha sapientemente collazionato i suoi ricordi di oggi con le interviste rilasciate dallo stesso Limentani negli ultimi venti anni, a partire da quelle al Cdec e alla Shoah Foundation di Spielberg. Il saggio sarà presentato dal Centro di Cultura Ebraica, l’Aned di Roma e la Libreria Ebraica “Kiryat Sefer” giovedì 9 gennaio 2014, alle 20.30, presso il Museo Ebraico di Roma (via Catalana/Largo 16 ottobre). Intervengono, oltre al sottoscritto, Anna Foa e Marcello Pezzetti. Saranno presenti l’autrice e Mario Limentani.

Nel libro-intervista, che esce significativamente nel 70° anniversario della deportazione da Roma del 4 gennaio 1944 (ricordato domenica scorsa dall’Aned a Regina Coeli), scorrono le immagini dell’infanzia di Limentani, originario di Venezia ma trasferitosi nella capitale giovanissimo - par di sentirlo, nella sua classica parlata in romanesco verace impastata di inflessioni venete - fino all’impatto scioccante con le leggi razziste del 1938. E poi la guerra, la fame, i bombardamenti, la caduta del fascismo, l’occupazione tedesca, la raccolta dell’oro e la tragica alba del 16 ottobre del 1943, con la retata degli ebrei in tutta Roma, durante la quale i Limentani si nascondono in uno scantinato e si sottraggono alla cattura da parte delle SS di Herbert Kappler. Purtroppo il ventenne Mario Limentani, come centinaia di altri ebrei romani, finirà comunque tra le grinfie dei nazisti, qualche settimana dopo, a fine dicembre del 1943, nei pressi della Stazione Termini, forse a causa di una delazione della celebre spia ebrea Celeste Di Porto, detta la Pantera Nera. E ad arrestarlo e a consegnarlo ai tedeschi saranno alcuni fascisti, a testimonianza di quanto pesò il collaborazionismo italiano nella vicenda della Shoah. Incarcerato a Regina Coeli, il 4 gennaio del 1944 Mario viene condotto al binario n. 1 della Stazione Tiburtina e caricato su un vagone piombato in partenza per il Reich, assieme a circa 300 deportati. I suoi compagni di viaggio sono in maggioranza politici, dai nipoti di Badoglio, Pietro e Luigi Valenzano, al gruppo dei comunisti, tra i quali spicca la figura di Filippo D’Agostino, uno dei fondatori del partito comunista d’Italia. Ma vi sono anche una decina di ebrei. All’arrivo a Mauthausen, a Limentani, che pure viene registrato come ebreo, viene cucita sulla tuta a righe «una stella fatta con due triangoli: uno rosso con IT nero perché ero italiano e m’avevano portato con i politici e uno giallo perché ero ebreo». Quasi ad attestare il destino in parte comune che toccava a chi si era opposto al nazifascismo e a chi era perseguitato per il solo fatto di essere ebreo. La particolarità dell’esperienza di Limentani (come quella degli altri del suo gruppo) trae origine proprio da qui. Egli infatti, a differenza della maggior parte degli ebrei italiani, non viene deportato ad Auschwitz, ma a Mauthausen, uno dei Lager simbolo della deportazione politica, più avanti trasferito nel sottocampo di Melk, poi di nuovo a Mauthausen e infine nell’altro sottocampo di Ebensee. Nell’immaginario collettivo, quando si pensa alla Shoah, soprattutto per quanto riguarda gli ebrei italiani, il pensiero va subito al Lager di Auschwitz, dove furono deportati oltre 6mila di loro (su un totale di poco più di 6.800). Forse anche per questo motivo le vicende dei circa 800 ebrei che furono deportati in altri Lager, hanno avuto – ingiustamente – un’attenzione minore da parte della storiografia e dell’opinione pubblica. Il racconto dei due anni nei Lager nazisti è commovente, ma – come è nello stile asciutto e privo di retorica di Limentani – non indulge mai al pietismo e non insiste sui dettagli più crudi, mantenendo sempre un certo pudore e lasciando confinato ciò che è indicibile nella sfera dell’inesprimibile. Tra le pagine più toccanti delle memorie di Limentani, raccolte e verificate dalla Di Veroli, ci sono quelle sulla famosa «scala della morte» di Mauthausen, dalla quale prende il titolo questo libro: i 186 gradini, ripidi e scivolosi, che portano alla cava e che i deportati sono costretti a salire e scendere più volte al giorno, con un pesante carico di massi di granito.Molti di loro muoiono su quella scala, privi di forze, rotolando sui gradini oppure facendo un tragico volo nel burrone sul quale la scala si protende. Limentani sarà uno dei pochi ebrei romani a sopravvivere alla soluzione finale e a tornare a casa. E nel dopoguerra, diventerà una delle colonne portanti dell’Aned capitolino e uno dei principali testimoni italiani della deportazione razziale e politica.

(L'Unione Informa e Moked.it del 7 gennaio 2014)

  • Pubblicato in Storie
Sottoscrivi questo feed RSS