Forte Bravetta. La fabbrica di morte

di Mario Avagliano

  Dopo la presa di Porta Pia, il giovane Regno d’Italia si preoccupò di allestire una linea di difesa militare dal Tirreno all’Adriatico. Il progetto definitivo approvato dal Parlamento nel 1878 prevedeva che Forte Bravetta, sulla via Aurelia, fosse una delle quindici fortezze di tipo prussiano poste a difesa di Roma capitale. All’epoca nulla lasciava prevedere che quella lugubre e massiccia costruzione, con il portone di ferro e un terrapieno alto 15 metri, sarebbe diventata un monumento a cielo aperto della Resistenza romana e dell’opposizione al fascismo e al nazismo, al pari di Regina Coeli, via Tasso e le Fosse Ardeatine.

La storia di questo triste edificio, che ospitò le fucilazioni eseguite a Roma dal 1932 al 1945, è stata ricostruita da Augusto Pompeo nel saggio Forte Bravetta. Una fabbrica di morte dal fascismo al primo dopoguerra (Odradek, pp. 300, euro 23).
Nel 1926 il regime fascista, allo scopo di ridurre al silenzio ogni forma di opposizione, istituì il Tribunale speciale per la difesa dello Stato e reintrodusse la pena capitale, abolita quasi quarant’anni prima dal codice Zanardelli. Fino all'8 settembre 1943 il «Tribunale di Mussolini» colpì, in prevalenza, presunti attentatori al capo del governo, agenti al servizio di potenze straniere, «slavofili», partigiani appartenenti a formazioni jugoslave operanti in Venezia Giulia e anche alcuni rapinatori e «borsari neri».
I condannati erano rinchiusi nel carcere di Regina Coeli dove, come scrive Giuseppe Kiraz alla cugina, «di notte si dorme poco» e si stava in compagnia di «centinaia, migliaia di cimici, piccole, grosse, bianche e rosce di tutte le varietà». Di lì venivano condotti al forte e fucilati alla schiena come traditori, come voleva il codice penale fascista. Le prime condanne ad essere eseguite riguardarono due antifascisti fuoriusciti all’estero, l’industriale Domenico Bovone e l’anarchico Angelo Pellegrino Sbardellotto, rientrati in Italia per uccidere Mussolini e liberare il Paese dalla dittatura.
Dopo l’armistizio le sentenze di morte furono emanate dalle autorità tedesche di occupazione e riguardarono, in prevalenza, oppositori e combattenti della Resistenza romana, arrestati spesso da militi della Repubblica sociale e su delazione di italiani. Le ultime fucilazioni, invece, furono eseguite dopo la liberazione di Roma e decretate da tribunali italiani e alleati costituiti per punire chi aveva collaborato con i tedeschi e i fascisti repubblicani.
Augusto Pompeo, utilizzando documenti d'archivio, resoconti della polizia, relazioni dei questori, lettere dei condannati a morte e dei loro congiunti e testimonianze di persone che vissero quegli eventi, ha recuperato le biografie dei caduti e ripercorso le vicende di quel periodo.
Le scariche di fucileria colpirono uomini assai diversi fra di loro. Alcuni provenivano dalla Venezia Giulia o dall’allora regno di Jugoslavia. Altri, pur nati in Italia, avevano trascorso parte della loro vita lontano dalla penisola per sfuggire alle persecuzioni politiche. Altri si trovarono, spesso non più giovani, a fare la «scelta di campo» nella «Città aperta» di Roma dopo essersi opposti alla dittatura fascista. Altri ancora furono fucilati per aver commesso delitti comuni o per aver collaborato con fascisti e nazisti.
Strazianti sono le ultime lettere dei partigiani condannati. «Amate la libertà e ricordate che questo bene deve essere pagato con continui sacrifici e qualche volta con la vita», è il messaggio del comunista Pietro Benedetti. «Me ne vado cosciente di avere sempre fatto il mio dovere di uomo», mandò a dire Antonio Lalli al figlio Luigi. «Come sai non ho fatto nulla che possa disonorarti, perciò puoi sempre andare a fronte alta», scrisse nella sua ultima lettera alla moglie Salvatore Petronari.
Una delle figure più luminose dei resistenti fucilati a Forte Bravetta è quella di don Giuseppe Morosini, collaboratore del Fronte militare clandestino di Giuseppe Montezemolo ed ispiratore (assieme a don Pietro Pappagallo) della figura del sacerdote del film Roma città aperta di Roberto Rossellini. Don Morosini si prodigava per aiutare oppositori e ricercati a nascondersi e celebrava messa per i partigiani nelle caverne e nei nascondigli di Monte Mario.
L’auspicio è che ora, anche grazie a questo libro, il sito di Forte Bravetta, abbandonato a se stesso, venga recuperato all’uso pubblico e divenga davvero, come propone Augusto Pompeo, “il luogo della memoria, oltre che dell’antifascismo e della Resistenza, anche dell’abolizione di un istituto arcaico e barbaro come la pena di morte da parte della neonata Repubblica italiana”.

(Il Messaggero, 4 dicembre 2012)

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Storie - Pino Levi Cavaglione e il giorno da leoni

di Mario Avagliano

«Marco [Moscati] è ritornato da Roma. I suoi sono sfuggiti alla razzia. Le notizie che egli porta sono raccapriccianti. I tedeschi hanno agito con meticolosa ferocia. Bambini lattanti, donne incinte, vecchi paralizzati non hanno trovato pietà. Venivano caricati sui camion gremiti altri infelici, con selvaggia furia». È quanto scrive nel suo diario il 20 ottobre 1943 il comandante delle bande partigiane dei Castelli Romani, Pino Levi (il cognome Cavaglione lo aggiungerà nel dopoguerra, in omaggio alla madre Emma, deportata e morta ad Auschwitz).
La biografia di questo incredibile personaggio, nato a Genova nel 1911, figlio di Aronne (Nino) Levi, è stata ricostruita per la prima volta nel libro «Il Ponte Sette Luci» (Metauro) di Lidia Maggioli e Antonio Mazzoni, presentato alla Casa della Memoria il 5 dicembre scorso.

Pino, all’epoca giovane avvocato, era un giovane fuori dal comune, che amava la letteratura, la storia, la fotografia, la musica lirica, il pugilato e leggeva in francese e inglese. Antifascista della prima ora, nel 1937 fu iscritto nel casellario politico centrale del Ministero dell’Interno, diventando uno dei 160mila sovversivi italiani. Quello stesso anno raggiunse Carlo Rosselli e gli amici di GL a Parigi per arruolarsi nelle brigate internazionali in Spagna; proposito dal quale dovette recedere per l’intervento del padre Aronne, che andò a prenderlo in Francia e lo riportò a casa.
Arrestato dal regime fascista il 10 maggio 1938, iniziò il suo lungo girovagare per il centro-sud della penisola, al confino prima per antifascismo e poi, dopo l’entrata in guerra, quale «ebreo antifascista». Liberato dal governo Badoglio, Pino dopo l’8 settembre sfuggì all’arresto dei nazifascisti a Genova e si recò a Roma, dove fu assegnato alle bande dei Castelli Romani. Dopo appena quaranta giorni ne diventò il comandante militare, su nomina del Cln. Il 16 novembre i genitori, che si nascondevano a Genova col falso nome di coniugi Parodi, vennero catturati dai nazisti. Il 6 dicembre furono deportati ad Auschwitz, da dove purtroppo non fecero ritorno.
Il titolo del libro (Il Ponte Sette Luci) prende lo spunto dall’azione militare più clamorosa realizzata dalla Resistenza romana. Nella notte di pioggia tra il 20 e il 21 dicembre la banda dei Castelli Romani, con la collaborazione del Fronte Militare Clandestino, portò a termine un’azione spettacolare dal punto di vista bellico. Vennero fatti saltare in aria, quasi nello stesso momento, un convoglio carico di esplosivi sulla Roma-Cassino, nei pressi di Labico, e il ponte Sette Luci della ferrovia Roma-Formia, a circa 25 km da Roma, mentre vi transitava un treno carico di militari tedeschi, provocando circa 400 tra morti e feriti. Gli ordigni per gli attentati e le informazioni sui treni erano stati forniti da Giuseppe Montezemolo.
La paternità dell’azione, per prudenza, fu avvolta da segreto: il Cln non ne diede notizia sulla stampa clandestina e i tedeschi, persuasi che i partigiani italiani non erano così efficienti da compiere azioni di belliche di tale portata, la attribuirono ai paracadutisti inglesi.
Pino Levi Cavaglione nel suo diario così scrisse: «No, dannati tedeschi, questa volta il colpo non vi è venuto dal cielo, non vi è venuto dagli aviatori inglesi. Vi è venuto da noi! Da noi che in questo momento ci sentiamo orgogliosi di essere italiani e partigiani e non cambieremmo i nostri laceri abiti bagnati e fangosi per nessuna uniforme. E vi odiamo, vi odiamo a morte».
Trasferito a Zagarolo e a Palestrina, l’intrepido avvocato conobbe Aldo Finzi, sottosegretario agli interni di Mussolini ai tempi del delitto Matteotti, che collaborò con lui e con la Resistenza. Finzi il 24 marzo 1944 verrà ucciso alle Fosse Ardeatine, assieme a Marco Moscati, catturato a Roma, dove si era recato per recuperare un carico di armi.
Dopo la liberazione, Pino Levi Cavaglione diventò funzionario dell’Alto Commissariato per l’epurazione di Genova. Nel 1946 sposò Margherita Garello, con la quale ebbe due figli: Marco (come l’amico del cuore Moscati) e Maura. Avvocato, militò nel Pci, fino all’invasione delle truppe sovietiche in Ungheria nel 1956, che lo indussero a lasciare il partito e ad iscriversi al Psi.
Nel 1945 uscì la prima edizione del suo diario, «Guerriglia nei Castelli romani», ristampato due volte. Lo recensirà anche Cesare Pavese, con le seguenti parole: «le sue scene hanno davvero l’incredibile verità di un documento fotografico». Il film «Un giorno da leoni» di Nanni Loy s’ispirerà proprio all’azione del Ponte Sette Luci e alle pagine di Pino, mirabile esempio di un racconto della Resistenza senza l’aurea del mito.
Anche la sua avventurosa vita, come quella di Primo Levi, si concluderà prima del tempo, per sua stessa mano, il 27 febbraio 1971.

(L'Unione Informa, 12 dicembre 2012)

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Giorno della Memoria 2013 – Il coraggio di resistere

Presentato a Palazzo Chigi il programma della quattordicesima edizione del Giorno della Memoria. Filo conduttore di questa edizione "Il coraggio di resistere", tema che verrà sviluppato con particolare attenzione al ruolo avuto nel contesto bellico dalla Resistenza ebraica e alle rivolte nei ghetti e nei campi di sterminio.
A illustrare le specificità di questa nuova sfida, rivolta in primis alle nuove generazioni, il ministro per la Cooperazione internazionale e l'integrazione Andrea Riccardi, la coordinatrice dell’Ufficio Studi e Rapporti Istituzionali della presidenza del Consiglio dei Ministri Anna Nardini, il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, il Consigliere UCEI Victor Magiar e lo storico Marcello Pezzetti.

"Dopo aver affrontato negli anni scorsi l'argomento dell'autoritarismo, cioè delle origini delle dittature e quindi le origini delle persecuzioni e delle discriminazioni, - ha spiegato infatti Gattegna - dopo aver affrontato il fenomeno di internet che è diventato uno strumento di propaganda anche delle teorie più aberranti e più folli, quest'anno abbiamo deciso di focalizzare la nostra attenzione su coloro che hanno avuto la forza e il coraggio di opporsi attivamente al nazismo". "La testimonianza del Ghetto di Varsavia dimostra - ha proseguito il Presidente UCEI - che gli ebrei non si sono fatti portare passivamente alla morte e il loro fu l'esempio di chi decise di morire con le armi in pugno pur sapendo che la morte era sicura". Gattegna ha poi sottolineato che insieme ai combattenti del Ghetto ci sono state altre categorie di persone che hanno dato la vita per sconfiggere il nazismo, innanzitutto i Giusti che hanno rischiato la propria vita e quella delle loro famiglie per sottrarre vittime alla deportazione, i partigiani, gli eserciti alleati e infine gli scienziati come Rita Levi Montalcini, che anche nei momenti più difficili e bui non rinunciò mai ad impegnarsi nei suoi studi.Sulla stessa linea anche l'intervento di Marcello Pezzetti che ha spiegato che quello del Ghetto di Varsavia non è che l'evento più conosciuto ma che gli ebrei tentarono di ribellarsi perfino nei campi di concentramento con tre rivolte che si svolsero a Treblinka e Birchenau e di cui la gente comune sa poco o nulla.
"Ribellione, rivolta, resistenza, coraggio quattro termini che caratterizzano il taglio delle iniziative che si svolgeranno quest'anno in occasione del Giorno della Memoria" ha infine detto Victor Magiar nel saluto che ha concluso la conferenza stampa.
Fra i numerosi eventi con testimonianze, giornate di studio per i giovani e tavole rotonde che si svolgeranno, la Tavola rotonda Il coraggio di resistere che si svolgerà il 24 gennaio alle 15.30 nella Sala polifunzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, alla quale saranno presenti voci autorevoli come quella del ministro Riccardi, del presidente UCEI Gattegna, del rabbino capo di Tel Aviv-Yafo Meir Lau presidente di Yad Vashem, poi gli storici Marcello Pezzetti direttore della Fondazione Museo della Shoah e David Silberklang del Memoriale Yad Vashem e Michele Sarfatti della Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano. Sempre il 24 gennaio ma alle ore 11 del mattino la Comunità ebraica di Roma organizza un incontro diretto da Marcello Pezzetti con i testimoni della Shoah nel Tempio Maggiore " Dopo la Shoah...Il ritorno alla vita" cui sarà presente rav Lau. Molte le iniziative anche fuori della Capitale, sempre per citarne solo alcune, nella Reggia di Caserta il 23 gennaio sarà inaugurata la mostra "1938-1945. La persecuzione degli ebrei in Italia. Documenti per una Storia" che rimarrà in cartellone fino all'11 febbraio. A Milano il 27 gennaio, nel corso della cerimonia che si terrà al Memoriale della Shoah Binario 21, sarà presentato in collegamento diretto con il Museo di Yad Vashem, il libro Testimonianza Memoria della Shoah a Yad Vashem, traduzione italiana di "To Bear Witness". Fra le varie iniziative anche l'undicesima edizione del Concorso I giovani incontrano la Shoah.

(L'Unione Informa, 17 gennaio 2013)

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Paronetto, l'uomo chiave della costituzione economica dell'Italia libera

di Mario Avagliano

Consigliere ascoltato e amico di Alcide De Gasperi e di Giovanni Battista Montini (futuro papa Paolo VI); ghost-writer di Pio XII in materia economica e sociale; allievo prediletto di Donato Menichella; amico inseparabile di Ezio Vanoni e di Pasquale Saraceno; riferimento del giovane Guido Carli all’IRI e dopo; consulente economico di Giovanni Gronchi ministro dell’industria; ispiratore di numerosi futuri componenti dell’assemblea costituente, a cominciare da Giorgio La Pira; collaboratore della Resistenza e del Fronte militare clandestino di Montezemolo. Questo e altro è stato Sergio Paronetto (1911-1945), economista e manager IRI, morto a soli 34 anni, tra il 1940 e il 1945 uno dei protagonisti nell’opera di prefigurazione dell’Italia della Repubblica, esercitando una determinante influenza sui cinque grandi “ricostruttori” del Paese: Alcide De Gasperi, Giovanni Battista Montini, Ezio Vanoni, Donato Menichella, Luigi Einaudi. Alla sua figura, ancora poco conosciuta, è dedicato il libro Sergio Paronetto e il formarsi della costituzione economica italiana (Rubbettino, 2012, pp. 550), a cura di Stefano Baietti e Giovanni Farese, che ha il grande merito di sottrarlo al "cono d'ombra" storiografico nel quale finora era stato oscurato.

Il contributo di Paronetto è riconoscibile nel processo di modernizzazione nella continuità che getta un ponte tra la ricostruzione industriale degli anni Trenta e la ricostruzione del Paese negli anni Quaranta. Da lui originano i suggerimenti più penetranti per l’interpretazione della libertà economica e della democrazia economica come essenziali per la libertà e per la democrazia e per misure quali il mantenimento della legge bancaria del 1936; la conservazione dell’IRI e del sistema dell’azionariato di Stato, che avrebbe trovato pochi anni dopo l’auspicata espansione con l’ENI di Vanoni e Boldrini (e Mattei); la programmazione economica, che ha il suo punto più alto nello Schema Vanoni; la genesi del Piano per il Mezzogiorno (con la legge del 1950 scritta da Menichella e Vanoni); la concezione redistributiva del sistema tributario, condivisa con Ezio Vanoni e oggetto della legge del 1951; il sistema di welfare totale; la definizione di un ruolo per i corpi sociali intermedi, in particolare i sindacati, condivisa con l’amico Giulio Pastore; la messa in valore nel dopoguerra dei tanti piani giacenti nei cassetti degli enti fondati o governati da Alberto Beneduce (tra cui il piano Inacasa, il piano autostradale); la costituzione economica italiana attraverso la partecipazione attiva ai documenti che a essa sono propedeutici, quali le Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi e il Codice di Camaldoli.
Nel libro, mettendo al centro i fatti, le teorie, le istituzioni e gli uomini che gravitano attorno alla figura di Paronetto (Alberto Asquini, Enrico Cuccia, Alfredo De Gregorio, Francesco Giordani, Guido Gonella, Giovanni Gronchi, Raffaele Mattioli, oltre a quelli già citati), il fascio di luce sulla “stagione della politica economica” in cui prende forma la via italiana allo sviluppo e la più grande esperienza occidentale di partecipazione dello Stato al capitale delle imprese, assume una nuova riconoscibilità nel cui ambito la componente “cromatica” dell’apporto paronettiano è dominante almeno fino alla seconda metà degli anni Cinquanta.
Abbeveratosi negli anni Trenta a due fonti primarie – nella FUCI con Giovanni Battista Montini e nell’IRI con Donato Menichella –, Sergio Paronetto, è l’anima della rivista “Studium”, cui conferisce valenza e importanza enciclopedica, e dell’omonima casa editrice, e tra il 1940 e il 1945, anno della morte, dà un contributo fondamentale all’elaborazione di una forma per l’economia italiana del dopoguerra, esercitando una forte influenza, fin qui misconosciuta e dimenticata, su Alcide De Gasperi e su molti costituenti. Ben noto a Meuccio Ruini e al suo giovane capo della segreteria tecnica Federico Caffè, e da loro apprezzatissimo, Paronetto difende la necessità del piano quale strumento nel quale si indirizzano sapientemente e proficuamente le scelte di politica economica: responsabilità dello Stato, tuttavia, non passibile di essere un prodotto della burocrazia. La sua eredità in merito verrà proseguita dai fraterni amici e sodali Pasquale Saraceno ed Ezio Vanoni.
Non c’è solo il pensiero, ma anche l’azione (Ascetica dell’uomo d’azione è il titolo delle sue brevi memorie postume, con prefazione di Giovanni Battista Montini). Dopo l’8 settembre 1943, nominato vice direttore generale dell’IRI, collabora con il Fronte militare clandestino di Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo e si spende contribuendo a salvare una parte rilevante del patrimonio industriale del Paese secondo le linee del Piano Menichella-Malvezzi, di cui è il garante presso l’Ufficio di Roma dell’IRI, la cui sede è stata trasferita al Nord, e fornendo ai partigiani basi logistiche nei compendi dell’IRI. Contemporaneamente, offre rifugio in casa sua a quanti lottano contro l’occupazione tedesca, correndo gravi rischi.
Al cuore del pensiero e dell’azione di Paronetto sta l’idea che non c’è libertà senza giustizia sociale (dove c’è povertà, non c’è giustizia, non c’è libertà), e che non c’è spazio possibile per la giustizia sociale senza sapiente gestione, sotto il profilo morale e il profilo tecnico, dell’economia, anzitutto dell’economia pubblica. In ciò, pur rispettando l’autonomia di ciascuna disciplina, rompe gli argini disciplinari: economia e società; economia e diritto; economia e statistica; economia e storia.
In quel periodo il giovane economista rompe anche gli argini che separano le tante cerchie chiuse del Paese: cattolici democratici (per Paronetto passa la strada che va da De Gasperi ai Laureati Cattolici e da Montini a Vanoni), comunisti (per Paronetto passa la strada che va da Rodano a Togliatti), liberali (per Paronetto passa la strada che va da Carli a Einaudi; nonché le strade incrociate: da Mattioli a Togliatti, da De Gasperi a Menichella, da De Gasperi a Mattioli).
Si trova durante la guerra, senza averne coltivato l’ambizione, al centro della raggiera che collega la linea dei cinque grandi “ricostruttori” (De Gasperi, Einaudi, Menichella, Montini, Vanoni) e la schiera di valorosi tecnici e politici chiamati, in Italia e all’estero, come ministri e non, a dare pratico corso alla ricostruzione (Andreotti, Boldrini, Campilli, Carli, Cuccia, Fanfani, Ferrari Aggradi, Giordani, Gonella, Gronchi, La Pira, Malagodi, Mattioli, Moro, Pastore, Saraceno, Taviani, Vito).
Paronetto vivo, riceve il pressante invito di De Gasperi a non fargli mancare mai il contributo della “sua coscienza illuminata della realtà” (Andreotti testimonia come Paronetto sia stato il consigliere economico in assoluto più stimato e ascoltato da De Gasperi); Paronetto morto, riceve il tributo di Vanoni, che ne scrive chiamandolo suo “maestro”, e di Menichella, che lo definisce “il più intelligente, preparato e amato tra i miei collaboratori”.

ARGOMENTO DEL LIBRO
Il volume ospita le riflessioni di ben sette ex ministri - Piero Barucci, Sabino Cassese, Francesco Forte, Giorgio La Malfa, Adriano Ossicini, Paolo Savona, Vincenzo Scotti -, di un governatore emerito della Banca d'Italia, Antonio Fazio, di un ex Presidente del CNEL, Giuseppe De Rita, di un ex direttore generale dell'Enciclopedia Treccani, Vincenzo Cappelletti, di un ex capoazienda nel Gruppo IRI ed ex direttore del dipartimento di Diritto privato e comunitario dell’Università di Roma Sapienza, Felice Santonastaso. Completano la squadra studiosi di storia economica, anche delle nuove leve (S. Baietti, S. Bocchetta, L. D’Antone, N. De Ianni, G. Di Taranto, G. Farese, F. Felice, M. Serio, T. Torresi). Pregnante è la testimonianza di Maria Luisa Valier Paronetto, la moglie di Sergio Paronetto, autrice della unica biografia sinora pubblicata (per i tipi di Studium) sulla figura dell’economista valtellinese. La materia generale è la storia economica italiana, in specie quella bancaria, finanziaria e industriale, con saggi riguardanti i fatti, le teorie, gli istituti e gli uomini intrinseci al mondo economico del periodo compreso tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta, quali Alberto Asquini, Alberto Beneduce, Guido Carli, Enrico Cuccia, Alfredo De Gregorio, Francesco Giordani, Raffaele Mattioli, Donato Menichella, Pasquale Saraceno, Ezio Vanoni.
Tutto è letto attraverso la vicenda del protagonista cui è dedicata l'attenzione degli autori: Sergio Paronetto (1911-1945), economista di impresa e giovane vicedirettore generale dell'IRI, morto a soli 34 anni, uno degli estensori della legge bancaria del 1936 con Alberto Beneduce e Donato Menichella, incaricato da Giovanni Battista Montini, e anche da Alcide De Gasperi, che aveva già utilizzato l’amico valtellinese per Le Idee Ricostruttive, di pensare quello che diverrà nel 1943 il Codice di Camaldoli (riprodotto in Appendice al volume), destinato a essere la base dalla quale i costituenti trarranno in gran parte i lineamenti della costituzione economica.
Nella sua riflessione sull’economia e lo Stato non si ha traccia di una ideologia di partito o di integralismo religioso, anche se egli è stato, oltre che economista d’impresa e manager industriale, animatore della Fuci e del Movimento Laureati Cattolici, stretto amico e sodale di Giovanni Battista Montini, poi papa Paolo VI, e di Igino Righetti e con questi co-fondatore dello stesso Movimento Laureati. Editore della rivista “Studium”, gran parte dei suoi scritti sono concentrati nelle pagine di questa testata, su “Azione fucina” e nelle relazioni ufficiali dell'IRI, di cui Sergio Paronetto era sistematicamente il primo estensore.

I CURATORI

STEFANO BAIETTI, dirigente dell'Anas, dopo esserlo stato nel Gruppo IRI e in una controllata delle Ferrovie dello Stato, ha approfondito la storia della spesa pubblica nei sistemi infrastrutturali e la storia degli enti in cui ha prestato la sua opera. Con Giovanni Farese è autore di Sergio Paronetto and the Italian Economy between the Industrial Reconstruction of the Thirties and the Reconstruction of the Country in the Forties (in "The Journal of European Economic History", 2010) e della voce biografica Sergio Paronetto (1911-1945), economista e manager industriale (in “Enciclopedia della Banca, della Borsa, della Finanza”, 2011). È promotore della giornata di studi Sergio Paronetto.

GIOVANNI FARESE insegna Storia e teoria dello sviluppo economico nella LUISS "Guido Carli". Ricercatore nell'Università Europea di Roma, è Managing Editor di "The Journal of European Economic History", rivista distribuita in circa 90 Paesi. È autore del volume L'Imi di Azzolini e il governo dell'economia negli anni Trenta (Napoli, 2009) e ha curato, per Rubbettino, la pubblicazione del diario inedito di Giovanni Malagodi, Aprire l'Italia all'aria d'Europa. Il diario europeo, 1950-1951 (2011). È Aspen Junior Fellow dell'Aspen Institute Italia, socio della Società Italiana degli Storici Economici e della Società Italiana degli Economisti. È promotore della giornata di studi Sergio Paronetto.

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Storie – La Rosa Bianca che si oppose ad Hitler

di Mario Avagliano

Spesso dimentichiamo che anche in Germania ci fu chi si oppose ad Hitler, al nazismo e alla persecuzione degli ebrei. Settant’anni fa, il 22 febbraio 1943, tre esponenti del movimento di resistenza della Rosa Bianca, (Sophie e Hans Scholl e Christoph Probst) furono processati e giustiziati dai nazisti. Il 10 marzo Rai Storia trasmetterà lo sceneggiato di Alberto Negrin (il regista della fiction su Giorgio Perlasca) sulla storia di quei giovani studenti tedeschi di ispirazione cristiana che tentarono di opporsi al regime hitleriano. Uno sceneggiato prodotto nel 1971 e scritto da Dante Guradamagna e Aldo Falivena consultando direttamente i diari allora inediti di Hans e Sophie Scholl e che vede tra i protagonisti un giovane Gabriele Lavia.

Ecco un brano del loro secondo volantino di denuncia:
«Non vogliamo scrivere, in questo foglio, della questione ebraica, né pronunciare discorsi in difesa. No, solo come esempio vogliamo ricordare brevemente il dato di fatto che, dalla occupazione della Polonia, trecentomila ebrei sono stati assassinati in quel Paese nel più bestiale dei modi. Qui noi vediamo il più orrendo delitto contro la dignità umana, un delitto che non ha confronti in tutta la storia dell'umanità. Anche gli ebrei sono uomini, qualunque sia la posizione che si vuole assumere sulla questione ebraica; e tutto questo è stato perpetrato contro degli uomini. […]
Perché il popolo tedesco è così inerte dinanzi a questi crimini, tanto orrendi e disumani? Quasi nessuno ci riflette. Il fatto viene accettato come tale e consegnato ad acta. E di nuovo il popolo tedesco cade nel suo ottuso e stupido sonno e dà a questi criminali fascisti il coraggio e l'occasione per continuare ad uccidere, ed essi lo fanno. È questo il segno che i tedeschi sono abbrutiti nei loro più intimi sentimenti umani? Che nessuna corda vibra in essi di fronte a simili azioni? Che sono ormai affondati in un sonno mortale dal quale nessun risveglio sarà più possibile, mai, giammai? Sembra così e così certamente è se i tedeschi non usciranno finalmente da questo torpore, se non protesteranno, dovunque e ogni volta che potranno, contro questa cricca di criminali, se non parteciperanno al dolore di queste centinaia di migliaia di vittime. E dovranno provare non solo compassione per questo dolore, no, ma molto di più: corresponsabilità.
Infatti, anche solo con il loro inerte atteggiamento essi danno a questi uomini oscuri la possibilità di agire così; essi sopportano questo "governo" che ha assunto su di sé una colpa infinita, certo, ma, soprattutto, essi stessi sono responsabili del fatto che tale governo ha potuto avere origine! Ogni uomo vuole dirsi estraneo a questo tipo di corresponsabilità, ognuno lo fa e poi ricade nel sonno con la coscienza più serena e migliore. Ma egli non potrà dirsi estraneo: ciascuno è colpevole, colpevole, colpevole!»
Credo che sia giusto ricordarli.

(L'Unione Informa, 26 febbraio 2013)

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ANPI, Legambiente e Corriere della Sera ricordano Ugo Forno con il premio letterario “Il coraggio di scegliere”

Gli studenti vincitori del concorso letterario “Il Coraggio di Scegliere” in memoria di Ugo Forno, ultimo e giovanissimo martire della Resistenza romana, sono stati premiati questa mattina presso il Museo Storico della Liberazione in Via Tasso 145. Il premio, indetto dall'ANPI di Roma e Lazio, insieme ai familiari e amici di Ugo Forno e a Legambiente Lazio, con il sostegno del Corriere della Sera, ha coinvolto gli alunni dodicenni delle Scuole Medie del Secondo Municipio. L’elaborato primo classificato, scritto da Pietro Coppari della scuola Giuseppe Sinopoli, verrà pubblicato sulla Cronaca di Roma del Corriere della Sera, mentre ai primi cinque classificati e alle due menzioni speciali andrà una copia del libro “Il ragazzo del Ponte” di Felice Cipriani, che racconta la storia di Ugo Forno. I volumi sono stati gentilmente messi a disposizione dalle Edizioni Chillemi.

“Ugo fa la sua scelta e la fa da solo. Questo mi ha colpito molto perché noi che abbiamo la sua stessa età oggi siamo più propensi a ragionare in gruppo e a prendere decisioni comuni”, scrive Pietro Coppari nel suo elaborato. “E’ importante che tanti ragazzi e ragazze dell'età in cui Ugo ha compiuto il suo eroico gesto, si siano immedesimati in lui e nel suo sacrificio per la libertà”, ha affermato Mario Avagliano, scrittore, giornalista e vice presidente ANPI di Roma, membro della giuria del premio.
“Piero Calamandrei affermò che la Costituzione è nata ovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità”, ha ricordato Elena Improta, vice presidente dell'ANPI di Roma, “per questo la Carta Costituzionale ha le sue radici anche su quel ponte ferroviario sull'Aniene, in difesa del quale il dodicenne Ugo Forno nel 1943 diede la vita”. “In tempi di confuse trasformazioni come questi, la sua storia può costituire un riferimento per ragazzi che stanno formando le proprie idee e la propria coscienza”, afferma Improta.

Roma, 18 marzo 2013

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Resistenza, al ragazzo-partigiano Ugo Forno la medaglia d'oro al merito civile alla memoria

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA GIORGIO NAPOLITANO HA CONFERITO LA MEDAGLIA D’ORO AL MERITO CIVILE ALLA MEMORIA AD UGO FORNO.

Con la seguente motivazione:

Giovane studente romano, durante i festeggiamenti per la liberazione della città di Roma, appreso che i tedeschi, battendo in ritirata, stavano per far saltare il ponte ferroviario sull'Aniene, con grande spirito di iniziativa, si mobilitava, unitamente ad altri giovani, e con le armi impediva ai soldati tedeschi di portare a compimento la loro azione. Durante lo scontro a fuoco veniva, tuttavia, colpito perdendo tragicamente la vita. Fulgido esempio di amor patrio ed encomiabile coraggio.

5 giugno 1944 - Roma

La data della consegna ai famigliari sarà stabilita dalla Presidenza della Repubblica nei prossimi giorni.

Dicembre 1944 Dichiarazione del sottotenente paracadutista Giovanni Allegra:
“dichiaro che nell’azione militare contro i tedeschi svoltasi lungo il fiume Aniene il 5 giugno 1944 alle ore 9, il dodicenne UGO forno di Enea, con fede patriottica e spirito guerriero, combatteva isolatamente nell’ala destra del gruppo dal sottoscritto comandato, composto di partigiani, pieno di entusiasmo e di ardore per scacciare gli ultimi avanzi della soldataglia tedesca annidata a ridosso del ponte sull’Aniene, nei pressi dell’aeroporto”. (intenti a farlo saltare)
Durante tale azione il piccolo Ugo Forno si prodigava a procurare armi e munizioni, aggiustando dal canto suo dei tiri di fucile che facevano accanire maggiormente il nemico. Incoraggiava con la parola e con l’esempio di altri giovani che raggiunti da scoppi di granata cercavano scampo nelle vicine grotte.
I tedeschi abbandoneranno l’impresa e su quel ponte oggi corrono i treni dell’Alta Velocità. Ughetto pagherà con la vita la sua generosità.
"Finalmente - ha dichiarato il suo biografo Felice Cipriani - Ughetto è stato inserito nell’Olimpo degli eroi di questo Paese. La sensibilità del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, sostenuta anche dalla documentazione ritrovata negli archivi storici lo scorso anno, ha reso possibile una decisione che si attendeva da 69 anni. Con la medaglia d’oro a Ugo Forno, ha sottolineato Cipriani, biografo del piccolo eroe, si rende merito alla famiglia Forno, considerato che Angelo Enea, papà di Ughetto faceva parte del Fronte Militare Clandestino ed aiutò molti militari renitenti alle leva o fuggiti dalla prigionia a scampare dalla persecuzione nazifascista".

Francesco Forno, fratello maggiore di Ughetto ha dichiarato: “il ricordo di Ughetto non mi ha mai abbandonato in questi 69 anni e quella mattina di festa del 5 giugno, che per la mia famiglia durò poche ore, l’ho sempre presente. Mi porto dietro il cruccio di non aver impedito a mio fratello di realizzare il suo disegno, confidatomi in segreto e che era quello di andare a recuperare delle armi abbandonate con l’8 settembre e che lui aveva nascosto in alcune grotte. La guerra sembrava finita a Roma e non pensavo che lui si recasse a combattere i sabotatori tedeschi”.

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Storie - Medaglia d’oro a Ughetto, martire della Resistenza

di Mario Avagliano

Il ragazzo del ponte avrà la medaglia d’oro al merito civile. A distanza di quasi settant’anni dagli eventi, lo Stato italiano si è finalmente ricordato di Ugo Forno, detto Ughetto, l’ultimo martire della Resistenza romana, il dodicenne gracile ma vivacissimo, con i capelli scuri e gli occhi azzurri, che morì il 5 giugno 1944, nelle ore della liberazione di Roma, per difendere il ponte ferroviario sull’Aniene dagli ordigni germanici (dove ora sfrecciano i treni dell'Alta velocità), mettendo in fuga assieme ad altri ragazzi e ad alcuni contadini i sabotatori della Wehrmacht. Nello scontro a fuoco con i tedeschi, lo studente fu colpito a morte. La breve vita dell’ultimo resistente romano è stata raccontata l’anno scorso da Felice Cipriani nel saggio “Il Ragazzo del Ponte. Ugo Forno eroe dodicenne. Roma 5 Giugno 1944” (edizioni Chillemi).

Lunedì si è tenuta la premiazione degli studenti vincitori del concorso letterario “Il Coraggio di Scegliere” in memoria di Ugo Forno, presso il Museo Storico della Liberazione in Via Tasso 145. Il premio, indetto dall'Anpi di Roma e Lazio, insieme ai familiari e amici di Ugo Forno e a Legambiente Lazio, con il sostegno del Corriere della Sera, ha coinvolto gli alunni dodicenni delle Scuole Medie del Secondo Municipio. L’elaborato primo classificato, scritto da Pietro Coppari della scuola Giuseppe Sinopoli, verrà pubblicato sulla Cronaca di Roma del Corriere della Sera, mentre ai primi cinque classificati e alle due menzioni speciali andrà una copia del libro di Cipriani.
L’assegnazione della medaglia d’oro a Ughetto è uno degli ultimi atti della presidenza della Repubblica di Giorgio Napolitano, contrassegnata da una forte attenzione e sensibilità ai temi della memoria del nostro Paese. Il mio auspicio è che la sua eredità di valori sia raccolta dal nuovo inquilino del Colle.

(L'Unione Informa, 19 marzo 2013)

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