Da Baffone agli immigrati la paura ha fatto un Quarantotto

di Marco Bracconi 

Oggi come allora, una campagna allarmista e, poi, una secca sconfitta per la sinistra. Ma le analogie non si fermano qui, a iniziare dalle fake news. Due storici le mettono in fila   Tasto indietro. Rivediamo il film dall’inizio. E poi torniamo alla fine. Il ‘48 e oggi. Ma state attenti, non parliamo del 1848, che pure forse ci starebbe, visto che fu anno di gran rivoluzioni, bensì del più vicino 1948. Quando nella cabina elettorale c’era Dio che ti guardava, non come oggi che, al massimo, ti guarda il figlio di Casaleggio. Storicamente parlando, il gioco delle somiglianze e delle differenze è sempre un gran rischio. Ma, se perfino Marco Minniti, all’indomani del 4 marzo ha parlato di «una batosta peggio del ’48», allora il gioco vale la candela.

Soprattutto se ad accenderla sono due storici che su quell’anno della nostra Repubblica hanno scritto un libro documentatissimo, divertente e per certi versi illuminante. «Sconfitta peggiore di quella? Non so. I comunisti non furono così scontenti di perdere, sarebbe stato difficile gestire la vittoria in quel contesto internazionale. E poi il loro vero obiettivo era prendere più voti dei socialisti, e lo colsero», dice Mario Avagliano, assieme a Marco Palmieri autore di 1948. Gli italiani nell’anno della svolta. Fatti, cronache e retroscena della baraonda culturale, politica, sociale e verbale che precedette il 18 aprile, vale a dire la data dello scontro epico tra la Dc e il Fronte popolare.

Secondo Palmieri la svolta del 1948 non è paragonabile a quella odierna «perché si trattava della scelta di un campo e di una collocazione internazionale per un Paese che usciva da un ventennio totalitario e da una guerra, anche civile». Però oggi come allora, secondo lo storico, «siamo di fronte a un profondo cambiamento della geografia politica,anche se non sappiamo se produrrà uno schema come quello, capace di durare decenni».

Scorrendo i capitoli di questo saggio che si legge come un romanzo d’avventura, le discontinuità tra oggi e allora, si moltiplicano. Settant’anni di storia non passano senza scavare solchi e ci ritroviamo lontani anni luce dalle scomuniche papali, dal piano Marshall e dalla Guerra fredda. Eppure, sono gli stessi autori di 1948 a dirci che alcune dinamiche dello scontro politico, stabilite in quell’anno cruciale, sono le stesse oggi in vigore. Avagliano ricorda «la delegittimazione dell’avversario, indicato agli elettori come fonte di pericolo, e la conseguente paura instillata nell’opinione pubblica. E ancora, la semplificazione sloganistica del dibattito e la forte partecipazione nei momenti di maggiore contrapposizione».

Se ieri arrivava Baffone a mangiare i bambini, insomma, oggi i migranti ci invadono per distruggere “la razza bianca”, e viene da chiedersi come sarebbe andata se settant’anni fa ci fossero stati internet e i social network. «Li avrebbero usati meglio i democristiani» immagina Palmieri. Che aggiunge: «Nella comunicazione hanno sempre saputo cogliere gli aspetti di modernità prima della sinistra. Pensate al manifesto con Giuseppe Garibaldi a due facce, la sua e quella di Stalin. Oppure alle campagne pubblicitarie rivolte esplicitamente alle donne, che non va dimenticato andavano per la prima volta ad eleggere i loro rappresentanti alla Camera e al Senato».

Nel libro si narra tutta la passione ma anche l’emotività dell’Italia che sceglie il suo primo Parlamento repubblicano. E c’è un’illuminante citazione di Giuseppe Dossetti che parla di un elettorato influenzato dall’emotività e da fattori esterni alla razionalità della scelta politica. Sembra un’analisi della moderna politologia, e anche per Avagliano è una conferma: «Sì, da questo punto di vista il paragone regge benissimo, negli ultimi decenni è andata sempre più come diceva Dossetti. Soprattutto a partire dagli anni Novanta è cresciuta la volontà di cambiamento a tutti i costi, al di là dei contenuti. Più emotiva che razionale. Qui c’è un ilo rosso che lega il 1948, il voto degli ultimi due decenni e ancora di più quello del 4 marzo».

Certo a girarla con una macchina fotografica l’Italia prima di quel 18 aprile e quella di oggi sarebbero due posti molto diversi: «I manifesti ovunque, le piazze piene e i sacerdoti invalidi portati a braccio al voto sono l’istantanea di una partecipazione fisica, viscerale» ricorda Palmieri, eppure «il comizio finale di Di Maio, con poche migliaia di persone in piazza, ha avuto due milioni di contatti ». È la rivoluzione digitale e non quella del proletariato, ma ogni tempo ha il tipo di partecipazione che si merita e perfino le prime fake news, spiega Palmieri, sono datate 1948: «Nelle case degli italiani iniziarono ad arrivare lettere di finti comunisti nelle quali si invocavano il libero amore, la dissoluzione della Chiesa cattolica e altri scenari semiapocalittici». E anche le polemiche sui sondaggi hanno un precedente in quel 18 aprile, con la Doxa accusata dai comunisti di pronosticare la vittoria democristiana perché il campionamento si basava su un “metodo statistico americano”. Il gioco della Storia, avverte Avagliano, dimostra la sua fallacia se si entra nel giudizio qualitativo, perché «le culture (e le personalità) politiche di allora avevano uno spessore non paragonabile a quelle del 4 marzo. Era una generazione che usciva da Fascismo e Resistenza, aveva fatto una Costituzione, si era forgiata in quel tipo di esperienze. È evidente la differenza con quella che oggi si affaccia alla vita pubblica».

Se il libro dei due storici è un catino che ribolle di passioni e linguaggi tutti novecenteschi, le cronache dell’oggi ci indicano un rapporto tra la politica e i cittadini non necessariamente meno partecipato, ma molto più astratto e disincantato. «Però attenzione alla questione della militanza politica» fa notare Palmieri. «Se dobbiamo tentare un paragone storico con il 1948 allora possiamo dire che i militanti della Dc e del Fronte, quel tipo di militanti, con quel tipo di adesione passionale e speranzosa, sono oggi gli attivisti del Movimento Cinque Stelle e gli iscritti alla Lega di Salvini». Se è vero che quella svolta fu diversa da questa è dunque anche vero che il 4 marzo si è affacciata l’ipotesi – o l’ombra – di un nuovo bipolarismo. E se così andrà, allora sì che sarà stato un Quarantotto.

(Venerdì di Repubblica, 16 marzo 2018)

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