Intervista a Maria Giustina Laurenzi, attrice

di Mario Avagliano

Attrice, regista televisiva e teatrale, autrice di sceneggiature e di testi per il teatro. La cinquantenne salernitana Maria Giustina Laurenzi è un vulcano di iniziative. E’ una delle registe preferite di Dacia Maraini e ha frequentato a lungo casa Moravia. E’ amica di Lina Wertmuller e ha recitato in molte delle sue pellicole, come “Francesca e Nunziata”, il film-tv tratto dal fortunato libro di Maria Orsini Natale e andato in onda su Canale 5 la scorsa stagione. La Laurenzi vive tra Salerno e Roma, dove ha la sua base di lavoro, e il prossimo 5 aprile presenterà al Teatro delle Arti il suo ultimo documentario, voce narrante la Maraini, dedicato alla provincia di Salerno tra miti, storia e cultura.

Partiamo dalla Salerno della sua infanzia...
La mia è una famiglia di commercianti. Mio padre e mia madre si amavano molto. Ho avuto un’infanzia bellissima. Vivere in una città piccola facilita le amicizie, gli incontri, i giochi. Abitavo in via Principessa Sighelgaita e passavo interi pomeriggi a giocare con i miei amici nell’allora Orto Botanico.
Com’era la Salerno di quel tempo?
La Salerno degli anni Cinquanta era una città urbanisticamente elegante, con un lungomare di grande fascino. Poi purtroppo, a cavallo degli anni Sessanta, quando ero adolescente, ho visto sorgere i mostri, i palazzoni di cemento, specie nella zona orientale. Culturalmente, invece, c’era ben poco, a parte alcune figure importanti come Alfonso Gatto. Un giorno, avevo quindici anni, mi ritrovai a leggere le poesie di Gatto al Casino Sociale, con lui presente. Ricordo ancora che al termine della serata si complimentò con me e io arrossii.
Quando nasce la sua passione per il teatro?
Io studiavo al Liceo Artistico, con mia cugina Loredana Gigliotti, che poi è diventata una brava pittrice. Quasi subito, però, mi resi conto che quello non era il mio mondo, e così a 14-15 anni cominciai a frequentare un gruppo di ragazzi che faceva teatro, tra i quali c’era Geppino Gentile, che ora insegna letteratura spagnola all’Università. Insieme a loro feci i primi passi in quel mondo nel gruppo di Alessandro Nisivoccia.
Ci parli di Nisivoccia.
Avevamo entrambi i nasi più belli di Salerno; belli perché lunghi, intendo dire. Lo prendevamo bonariamente in giro perché imitava Gasmann. Siamo rimasti amici. Quando lo incontro per strada, ci abbracciamo contenti.
Il ‘68 lei lo vive sulle “barricate”…
Partecipai intensamente a quella stagione. Ho dei ricordi bellissimi. Per esempio, le riunioni carbonare negli appartamenti per organizzare le occupazioni della scuola. Facevo parte di un gruppo di persone vitali che aveva uno scopo nella vita. Ci credevamo veramente, i ragazzi di oggi non se ne rendono conto. Avevamo la sensazione di vivere una rivoluzione, eravamo certi che tutto il mondo sarebbe cambiato.
E’ in quel turbinio di passioni e di ideali che conosce Michele Santoro?
Sì. Michele era già allora un leader. T’incantavi a sentirlo parlare. Era un ragazzo di grande intelligenza, che sapeva il fatto suo. Tra l’altro era bellissimo. Piaceva molto alle ragazze. Con lui organizzammo anche spettacoli di strada. Ricordo un memorabile “Fanfani e Pulcinella”.
Santoro faceva teatro?
Faceva parte del gruppo teatrale dal quale, nel 1970, ebbe origine Teatrogruppo.
Il Teatrogruppo di Salerno fu una delle realtà più interessanti del teatro sperimentale di quegli anni.
La nostra intenzione era “politica”. Volevamo realizzare spettacoli che arrivassero in maniera diversa alla gente, producendo un teatro non più borghese ma di ricerca. C’erano Paola Apolito, Geppino Gentile, Carlo Vassallo, Ciro Caliendo, Gabriella e Giuliana D’Amore, Andrea Bastolla, Fiorenzo Santoro, Attilio Bonadies, Michela Manzoni. Ognuno di noi ha preso strade diverse, chi è diventato magistrato, chi docente universitario, chi preside, ma quell’esperienza fu davvero formativa per tutti, perché eravamo animati dalla voglia di stare insieme, di creare insieme.
Con il Teatrogruppo rappresentaste spettacoli nei luoghi sacri della cultura italiana, dalla Biennale di Venezia alla Piccola Scala di Milano.
Le nostre messe in scena erano il frutto di una grande ricerca sulla musica, i canti e i balli della tradizione popolare del salernitano. Era una cosa nuova per il teatro italiano e quindi ci invitarono un po’ dappertutto. Uno spettacolo assai emozionante fu a Torino, sotto un tendone da circo, ad una rassegna nazionale di teatro di ricerca. Cominciò a piovere e sotto il fragore della pioggia la nostra cantante, Adriana Ciaco, intonò una ninna nanna popolare che mise i brividi a tutti gli spettatori. Fu come se ci avesse restituito un pezzo di mondo antico.
Nel 1977 lei fonda e dirige Teatra.
Erano gli anni del femminismo. Sentivamo l’esigenza di sperimentare un teatro scritto e interpretato secondo il punto di vista delle donne. All’inizio pensammo a una scissione dal Teatrogruppo, ma lì c’erano i nostri fidanzati e mariti, e allora ci limitammo a declinare il gruppo al femminile. Scoprimmo che c’è un modo diverso di narrare al femminile, che da storie minime riesce a tirare fuori interi mondi. Adesso questo tipo di linguaggio è facilmente riconoscibile, per esempio in donne regista come Francesca Comencini, ma allora era una novità rivoluzionaria.
Scrivendo e recitando per Teatra conosce Dacia Maraini.
La incontrai per la prima volta nel 1979, nel corso di un convegno sul teatro delle donne. Qualche tempo dopo lei mi chiamò a dirigere un suo spettacolo teatrale, Suor Juana. Era il mio primo contratto da professionista. Fu un successo e da allora Roma diventò la mia città di vita e di lavoro.
Lei ha curato la regia di molti testi teatrali, cinematografici e radiofonici di Dacia Maraini. Com’è nel privato questa grande scrittrice?
Dacia è una delle mie migliori amiche, è una persona con la quale ho diviso tante cose, dai viaggi, all’arte, al teatro, fino alla vita di tutti giorni. Per me è stata anche una maestra, mi ha insegnato molto a livello di scrittura e mi è stata vicina nei momenti di scoraggiamento, quando volevo mollare tutto. Di carattere è un po’ brusca, tra amiche la chiamiamo Madame Bruschetti. In realtà è un donna straordinaria, buonissima.
Tramite la Maraini lei ha frequentato anche Alberto Moravia.
Ho trascorso molte vacanze nella loro casa di Sabaudia. Moravia era quello che si dice un burbero buono. Ricordo che di sera rimanevamo in pochi, poiché la maggior parte degli ospiti usciva. Io sedevo accanto a lui e con la mia faccia tosta gli chiedevo di raccontarmi dei suoi viaggi. Passavo ore e ore ad ascoltare incantata le sue esperienze e le sue peripezie in Africa, in Cina, in giro per il mondo. Era un vero affabulatore. Diceva sempre che se non avesse fatto lo scrittore, sarebbe diventato un avventuriero.
Nella sua carriera artistica c’è un altro incontro “fatale” con una grande donna della cultura e dello spettacolo italiano, Lina Wertmuller.
Lina mi chiamò a collaborare alla sceneggiatura di una storia sulle canzoni napoletane, intitolata “Napoli luntanamente”, insieme a Raffaele La Capria. Quella sceneggiatura non è mai diventata un film, ma solo uno spettacolo teatrale. E’ iniziata però un’amicizia che dura tuttora e che ci porta a condividere sogni, progetti, speranze. Insieme a lei ho realizzato il Don Chisciotte, con la collaborazione del Conservatorio di Salerno e di quel bravissimo musicista che è Antonio Sinagra.
Anche la Wertmuller quanto a carattere non scherza…
La sua frase tipica è: “State attenti, che io picchio!”. Ed è vero, è un peperino, è una donna guerriera, ma insieme a Dacia è anche una delle persone più buone e generose che io conosca.
Con la Wertmuller lei è tornata anche a fare l’attrice.
Sì, ho recitato in alcuni suoi film: Ninfa Plebea, Francesca e Nunziata e Io speriamo che me la cavo. A proposito di quest’ultima pellicola, voglio raccontarvi un aneddoto che mi riguarda. Quando chiamarono la Wertmuller per proporle la regia di questa pellicola, ero a casa sua, stavamo lavorando a una sceneggiatura. Mandammo subito un amico ad acquistare il libro di Marcello D’Orta in libreria. Quando ce lo portò, lei mi disse: “Leggimelo tu, con il tuo bell’accento napoletano…”. Da allora è diventato un rito: ogni volta che fa un film, mi chiama a recitare o in qualche modo a partecipare al suo lavoro. Sono diventata un suo portafortuna.
In Francesca e Nunziata lei ha interpretato la zia di Sofia Loren.
Mi sono divertita da morire a girare un film tutto in costume, e poi con grandi attori come Giancarlo Giannini e Sofia Loren. La Loren è di una bellezza sconvolgente, ed è anche simpatica. E’ una donna semplice, mi creda.
La settimana prossima presenta il suo ultimo documentario televisivo, “Gran Tour”, dedicato alla provincia di Salerno, con la voce narrante di Dacia Maraini.
E’ il diario di viaggio di Dacia Maraini tra i miti, le suggestioni, la cultura, i profumi, la storia della nostra bellissima provincia. Mi hanno aiutato molto a realizzarlo dei miei amici fedelissimi, tra i quali mio cugino Lorenzo Gigliotti. L’idea è nata insieme al Presidente dell’ente provinciale Alfonso Andria, una persona veramente speciale, che ama profondamente il teatro. Posso aggiungere una cosa su di lui?
Prego.
Andria non sembra neanche di questa epoca qui. E’ impegnato su mille fronti, lavora dalla mattina alla sera, e pure nello stress rimane un uomo pieno di grazia, di cultura, un gentiluomo di altri tempi, distante anni luce dai politici rampanti di oggi, che sono soltanto rabbia e guerra.
A proposito di Salerno, è cambiata rispetto agli anni Settanta?
I sindaci degli ultimi anni si sono dati un gran da fare. Salerno si è letteralmente trasformata, recuperando l’antica bellezza e il suo fascino di città che si affaccia sul mare e sale dolcemente lungo le colline.
Ha nuovi progetti legati a Salerno?
L’Asl salernitana mi ha chiesto di realizzare un documentario sulla salute mentale. Ho già iniziato i sopralluoghi e devo dire che sono rimasta favorevolmente impressionata. La qualità della vita di chi soffre è migliorata in modo incredibile rispetto ai tempi bui dei manicomi.
Da donna di spettacolo e di cultura, che giudizio ha del clima culturale della Salerno di oggi.
Ho un giudizio molto positivo. Vedo dei bagliori di rinnovamento che fanno ben sperare. Penso alla rassegna teatrale al Teatro Verdi curata da Gennaro Cappuccio e da Franco Tozza, alle grandi mostre d’arte nel complesso di Santa Sofia, alle sette orchestre dell’Università, all’associazione D’Una che organizza un festival cinematografico delle donne. Dopo trent’anni sono stanca di vivere a Roma, e grazie a tutte queste iniziative, trovo sempre più spesso l’occasione di poter trascorrere lunghi periodo di tempo a Salerno, la città che amo e dove ho tutti i miei affetti.

(La Città di Salerno, 28 marzo 2004)

Scheda biografica

Maria Giustina Laurenzi è nata a Salerno il 19 maggio del 1951. Laureata in Lettere Moderne, ha frequentato il corso di sceneggiatura cinematografica di Gigliola Scola e quello di scrittura teatrale di Dacia Maraini. Dal 1970 al 1980 ha lavorato come attrice, animatrice teatrale e ricercatrice con il Teatrogruppo di Salerno, realizzando numerosi spettacoli che sono stati rappresentati, tra l’altro, alla Biennale di Venezia, alla Piccola Scala di Milano, al festival internazionale di Lenzburg e al festival di Chieri. Tra il 1977 e il 1980 è stata assistente volontaria alla cattedra di Storia del Teatro e dello Spettacolo dell’Università di Salerno. Sempre nel 1977 ha fondato e diretto, fino al 1985, il gruppo teatrale Teatra, per il quale ha scritto e messo in scena gli spettacoli: S.C.U.M., Vuoto a perdere, Viaggio di ritorno, Dipartire, Alla ricerca del bottino perduto. Dal 1980 lavora assiduamente con Dacia Maraini, per la quale ha firmato la regia di numerosi testi teatrali (Suor Juana, Viaggio nella memoria, Lezioni d’amore, Lettere al padre), cinematografici (Trio e Scialle azzurro) e radiofonici (Quarto mondo). Per il teatro, nel 1987 ha diretto Uscita d’emergenza, di Manlio Santarelli, con il gruppo Il Giullare, e più di recente, El Retablo de Maese Pedro (2003), opera musicale da Manuel De Falla. Per il cinema, ha scritto tra l’altro il film Tutti gli anni, una volta all’anno (1994), con Giorgio Albertazzi, Vittorio Gassman e Lando Buzzanca, presentato fuori concorso al festival del Cinema di Venezia. Dal 1985 lavora alla Rai come regista ed autrice. Ha recentemente firmato con Mauro Morbidelli e Loredana Rotondo una serie di ritratti di Rai Educational dal titolo Vuoti di memoria.

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