Intervista a Giuseppe Ippolito, scienziato
di Mario Avagliano
E’ uno dei più grandi specialisti italiani e mondiali di malattie infettive. Il professor Giuseppe Ippolito, salernitano di 51 anni, Direttore del Dipartimento di Epidemiologia dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, è stato tra i primi scienziati a livello internazionale ad occuparsi di Aids. Nella sua brillante carriera professionale ha affrontato in prima linea le maggiori emergenze sanitarie, dal virus Ebola al bioterrorismo, dalla tubercolosi alla Sars, vincendo premi prestigiosi e rappresentando l’Italia in gruppi di lavoro costituiti dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, dalla Comunità Europea. Il professor Ippolito è orgoglioso di essere meridionale e di essere “nato in una terra che ha ereditato il meglio della cultura greca”.
Lei è originario di Sant’Arsenio, nel Vallo di Diano. Come se lo ricorda il suo paese?
Era un paese piccolo, di tremila anime, a 483 metri sul livello del mare, ma evoluto rispetto alle media degli altri paesi del territorio. Un paese aperto, allegro, dove la gente ha sempre cercato di avere una buona qualità della vita.
La medicina è un “vizio” di famiglia...
E’ vero. Mio padre Vincenzo, che vive tuttora a Sant’Arsenio, era farmacista a Teggiano. La farmacia è rimasta in proprietà di famiglia. Il mio bisnonno di parte materna, Federico Costa, era un medico molto apprezzato nella zona. Io non ho fatto in tempo a conoscerlo, ma mia nonna materna aveva una casa-reliquia con tutti i ricordi di questo straordinario personaggio e diceva che era benvoluto dai pazienti. Allora mi colpiva il fatto che usava tenere uno scheletro completo nello studio. Era l’idolo della mia fanciullezza e probabilmente devo anche a lui la passione per la medicina.
Fino a quando è vissuto a Sant’Arsenio?
Mi sono diplomato al Liceo Classico di Sala Consilina a 17 anni e poi mi sono trasferito a Roma, dove mi sono iscritto all’Università, alla Facoltà di Medicina. Fu una decisione sofferta. Ero molto attratto anche da architettura.
Come fu il trapasso dal paesino alla Capitale?
Fu indolore. Ebbi la grande fortuna di essere ospitato a casa di mio zio Renato Coiro, che all’epoca non era sposato e mi fu davvero vicino, non facendomi pesare le difficoltà dell’ambientamento. Debbo a lui anche la sensibilità per l’arte e l’archeologia. Mi portava in giro per musei e gallerie. Era un formidabile “Cicerone”, competente e dotto.
Dalle visite ai Fori Imperiali allo studio dei microrganismi...
Il mio innamoramento per le malattie infettive è iniziato già al secondo anno di università, quando ho sostenuto l’esame di microbiologia. Ricordo che rimasi affascinato dai microrganismi, la cui scoperta aveva costituito una delle tappe più importanti della storia della medicina e dell’umanità. E così iniziai dedicarmi allo studio di esseri microscopici e dei loro effettui sull’individuo e sulla popolazione.
Immagino che non se ne sia pentito.
Mai. Le malattie infettive si sono sempre caratterizzate, fino alla comparsa dell’AIDS, per la caratteristica di avere un’evoluzione rapida e di poter vedere in tempi brevi gli effetti delle cure.
Dopo la laurea lei ha frequentato corsi di specializzazione in Italia e di aggiornamento negli Stati Uniti d’America e in varie parti del mondo.
Mi sono specializzato in Italia, e grazie al sostegno ricevuto dalla mia famiglia, ho potuto aggiornarmi all’estero. Mio padre e mia madre, Maria Coiro, sono persone di rara affettuosità e di grande sensibilità, che mi hanno permesso di viaggiare perché ritenevano che io dovessi avere le migliori occasioni di aggiornamento e e di esperienza. Mio padre ha sempre detto che “ai figli i soldi bisogna darglieli quando ne hanno bisogno...” Gli sono davvero grato!
Dove ha imparato di più?
Nel nostro Paese ci sono grandi professionalità, ma sono sempre rimasto colpito dalla grande disponibilità degli scienziati in America; tutti fanno il meglio per aiutarti, per farti crescere, per farti lavorare nelle condizioni migliori. Trovano sempre il tempo per parlare con te. È facile avvicinare anche il grande scienziato senza difficoltà e senza raccomandazioni. Spero di aver “importato” in Italia questo modello di relazione con gli altri.
Ha avuto qualche maestro?
Ho incontrato nella mia vita professionale persone, prima che uomini di scienza che hanno segnato un momento importante del mio percorso formativo. Stanley Music mi aiutò a comprendere l’importanza di pensare sempre alla finalità pratiche di ogni indagine epidemiologica e di ogni studio sulle malattie infettive. In anni più recenti, ho imparato da John La Montagne, che è stato uno dei più grandi esperti di vaccini al mondo, che bisogna cercare di far parlare la ricerca di base con le applicazioni cliniche.
Nel corso della sua carriera, lei è stato protagonista di molti progetti di ricerca, vincendo anche diversi premi. Qual è il progetto di cui va più fiero?
Il progetto sulle infezioni ospedaliere, che mi fu affidato nel 1983 – quando ero ancora assai giovane – e mi ha permesso di realizzare in Italia lo studio che avevo preparato per una borsa di studio per fare un Master in Epidemiologia delle Infezioni Ospedaliere presso la Virginia University, negli Stati Uniti. È stata una grande sfida professionale e organizzativa mettere assieme 104 centri di rianimazione in tutto il Paese. Ancora oggi è per me motivo di grande soddisfazione.
L’incarico attuale di Direttore Scientifico le consente di fare ancora ricerca?
Questo nuovo lavoro è stato per me un cambiamento epocale nell’organizzazione della vita, ma non ho affatto abbandonato la ricerca. Oggi il mio impegno è quello di promuovere nuove idee di ricerca e cercare di far si che gli altri possano andare avanti nelle migliori condizioni. Le infezioni in ambito sanitario e le patologie infettive emergenti, come la tubercolosi o la Sars sono i temi sui quali sono attualmente più impegnato.
Lei è anche uno dei massimi esperti italiani di Aids.
Posso dire di essere uno dei primi ad essersi occupato di AIDS in Italia e tra coloro che per primi al mondo hanno percepito che questa nuova malattia era qualcosa con cui gli esperti di malattie infettive non si erano mai confrontati. L’Italia ha fatto tanto in tema di AIDS e sono fiero di aver lavorato insieme con il professor Giovanni Battista Rossi, che ha realizzato il Progetto Nazionale Aids, che ha portato l’Italia ad essere la 4^ nazione al mondo per produzione scientifica in questo settore. Sono state importanti per me anche l’esperienza con il professor Dianzani e quella con il professor Guzzanti, poi diventato ministro, che ha costruito il modello italiano di interventi anti-Aids, basato su una rete di malattie infettive sul territorio.
A che punto siamo nella lotta a questa terribile malattia?
Oggi l’Aids non è più una malattia rapidamente mortale ma è una malattia curabile, anche se non ancora guaribile. Ciò è stato possibile grazie al fatto che contemporaneamente tutto il mondo scientifico che lavorava nel mondo delle malattie infettive si è messo a lavorare sul problema. E’ come se si fosse fatto una specie di Piano Marshall per affrontare l’AIDS. Sicuramente il lavoro di più persone contemporaneamente rappresenta l’unica possibilità di affrontare un’emergenza epidemica. E’ il modello di reti virtuali e internazionali di ricerca che poi è servito a combattere la Sars e che in futuro potrà consentirci di elaborare risposte veloci a nuove patologie infettive che dovessero comparire.
Si lamenta spesso la mancanza di fondi per la ricerca. E’ un luogo comune o è tutto vero?
Purtroppo è tutto vero. C’è un sottofinanziamento, sia pubblico che privato, della ricerca in Italia e manca anche un riconoscimento del ruolo strategico della ricerca nello sviluppo. Inoltre, troppo spesso i pochi fondi che sono a disposizione sono assegnati in base a meccanismi clientelari.
Anche lo stato della sanità pubblica non è dei migliori.
La sanità è un diritto del cittadino ed è un bene che deve essere garantito a tutti. Ma i medici, anche se non si può fare di tutt’erba un fascio, hanno grandi responsabilità, sono stati troppo spesso compiacenti con i politici in cambio di qualche favore, fino a demandare loro la completa gestione del sistema. Troppo spesso il primo interesse è stato di poter conciliare il lavoro pubblico con l’attività privata. Non si può essere sempre arlecchini servitori di due padroni.
Anche le strutture sanitarie, però, spesso lasciano a desiderare, specialmente al Sud.
Non c’è dubbio che occorre migliorare le strutture sanitarie, anche per risolvere quella differenza evidente tra Nord e Sud ed evitare la migrazione sanitaria. Ma non bisogna dimenticare che, anche se molti ospedali del Mezzogiorno sono carenti da un punto di vista edilizio e organizzativo, in essi sono presenti professionisti di alto livello che non hanno nulla da invidiare ai colleghi del Nord e che ottengono grandi risultati in condizioni di lavoro difficili. A loro va tutto il rispetto per il lavoro che fanno.
Qual è la sua ricetta per cambiare la sanità?
Non sono in grado di dare ricette, ma sicuramente bisogna puntare sulle persone e sulla loro motivazione. Oggi uno dei grandi problemi della sanità è la scelta clientelare delle persone; spesso il merito viene calpestato e l’assunzione o la progressione di carriera avviene in base a logiche di parentela o di appartenenza a un partito od a un’organizzazione…. Questa è una vera iattura.
Torna mai a Sant’Arsenio?
I miei genitori vivono tra Sant’Arsenio e Teggiano e io scendo giù almeno un paio di volte all’anno. Vengo volentieri, anche perché Sant’Arsenio continua ad essere un paese dall’aria civilizzata. I miei hanno anche casa a Palinuro. Amo molto il mare cilentano e la gente semplice di quei posti.
Qualche amicizia dell’infanzia ha resistito al tempo?
Sono rimasto in contatto con la mia compagna di banco alle elementari, Ilde Coiro. E proprio l’anno scorso ho avuto una rimpatriata con i miei compagni di scuola delle elementari.
Com’è di carattere Giuseppe Ippolito?
Sono orgoglioso di avere un carattere schietto, aperto e anche un po’ ribelle, come il mio bisnonno medico... Le persone che lavorano con me e mi vogliono bene dicono anche che sono un entusiasta ed un trascinatore di persone sui miei programmi.
Si sente ancora meridionale?
Eccome! Parlo, penso e mi arrabbio in dialetto e ho amici con i quali chiacchiero solo in dialetto. Mi sento fermamente meridionale e sono fiero di essere nato in una terra che ha ereditato il meglio della cultura greca. Basti pensare che la classe dirigente dello Stato è meridionale. Guardi i magistrati.
Cosa le manca della sua terra?
La cordialità della gente, la semplicità delle persone, la loro cultura della vita, il senso della famiglia, e anche i sapori antichi della cucina. Il mio piatto preferito è fusilli con il sugo di castrato. Due anni fa, a una festa popolare a Sant’Arsenio, ho assaporato dopo tanti anni il gusto dei fagioli con la bieta... Erano squisiti!
(La Città di Salerno, 20 febbraio 2005)
Scheda biografica
Giuseppe Ippolito è nato a Sant’Arsenio (Salerno) il 13 ottobre del 1954. Si è laureato in Medicina e Chirurgia all’Università di Roma nel 1978, con votazione 110/110 e lode. Si è specializzato in Malattie Infettive (1981) e in Dermatologia e Venereologia (1984) all’Università di Roma Lavora dal 1980 presso l’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani, del quale - dal 1998 - è Direttore Scientifico. Coordina di due programmi europei. Grazie anche alla sua azione, l’Istituto è titolare al momento di 10 contratti di ricerca europei ed ha costituito una società mista pubblico privato, per lo sviluppo di tecnologie diagnostiche innovative, con una società americana di biotecnologie. Nel 1998 gli è stato assegnato il premio Charles C. Shepard Science Award dei Centers for Disease Control per lo studio “A case-control of HIV seroconversion after percutaneous exposure”. Ha avuto numerosi incarichi in commissioni e comitati del Ministero della sanità, tra cui la Commissione Nazionale per la lotta contro l'AIDS, in gruppi di lavoro costituiti dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, dalla Comunità Europea, dell’Health Canada, della U.S. National Foundation for Infectious Diseases. Ha pubblicato oltre 350 lavori originali editi a stampa, di cui oltre 200 indicizzati, tra cui 24 libri e 27 capitoli di libri, 87 rassegne e 44 altre pubblicazioni.
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