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Intervista a Luigi Centola, architetto

di Mario Avagliano
 
Nella nouvelle vague dell’architettura internazionale, un posto di rilievo è occupato dal salernitano Luigi Centola, classe 1968. Il suo studio Centola & Associati ha vinto concorsi e premi internazionali per il recupero turistico-culturale della Valle dei Mulini di Amalfi e Scala, per il Museo di arte e architettura contemporanea a Castelmola (Messina), per un Centro Culturale presso l’ex mattatoio a Roma, per la sistemazione paesaggistica della Banca Europea a Lussemburgo e per la nuova stazione turistica e il parco vulcanico Etna Nord a Linguaglossa. I progetti di Centola sono stati esposti in mostre a Londra, Madrid, Stoccolma, Copenaghen, Los Angeles, Auckland, Roma, Venezia, Milano, e lui è invitato di frequente a tenere conferenze presso il KTH di Stoccolma, l’Architectural Association di Londra, l’American Academy di Roma e in varie università americane e italiane. Centola è professore a contratto di progettazione architettonica e architettura degli interni presso la facoltà di architettura ‘Valle Giulia’ dell’Università La Sapienza di Roma e vive tra la capitale e Salerno, città che ama profondamente e al cui sviluppo urbanistico vorrebbe offrire il suo contributo di idee, a partire dalla realizzazione del nuovo porto commerciale nella zona tra Pontecagnano e Battipaglia. 
 
Com’è diventato architetto?
Sono un architetto per caso.
Per caso?
Dopo il diploma al Liceo Scientifico “Da Vinci”, ero indeciso tra Ingegneria ed Economia e Commercio. Cullandomi nell’incertezza, feci passare il termine ultimo di iscrizione e così, per ripiego, fui costretto ad optare per la facoltà di Architettura del Federico II di Napoli.
Pentito?
No, per niente.
Insomma, strada facendo si è innamorato del mestiere di architetto.
Guardi, io non credo all’innamoramento. Io ho una visione dell’architettura come scienza al servizio del territorio e di un modello di vita più adeguato. L’architettura per me non è un processo puramente artistico, ma si costruisce attraverso lo studio, la tecnica, gli approfondimenti. Certo, occorre anche la passione, ma deve essere una passione ragionevole, ammantata di razionalità.
Lei ha studiato e ha lavorato diversi anni all’estero.
Sì, dopo essermi laureato con lode a Napoli nel 1993, ho fatto un master a Londra, ricevendo nel 1996 il Graduate Design Diploma dall’Architectural Association, una delle più antiche e prestigiose scuole di architettura del mondo, fondata nel 1850, e nel 1998 la Fulbright in architettura e arti visive. Per quanto riguarda le esperienze lavorative, sono stato borsista presso l’American Academy di Roma, e ho lavorato presso lo studio professionale SOM di Chicago.
Quando è nato lo Studio Centola & Associati?
Tra il 2000 e il 2001, con due sedi, una a Roma e una a Salerno. Ora lo studio vanta una squadra di sette professionisti validissimi e di grande qualità. Basti citare i premi internazionali che abbiamo vinto… 
L’ultimo riguarda il progetto territoriale per il recupero turistico-culturale della Valle dei Mulini di Amalfi e Scala.
Il progetto Waterpower è piaciuto molto a livello internazionale. Dopo la vittoria a Ginevra del primo premio agli Holcim European Awards,  abbiamo ottenuto anche il secondo premio di 250.000 dollari ai Global Awards di Bangkok.
Ci parla di questo progetto?
Il Masterplan è realizzato in un sito Unesco, si sviluppa lungo una superficie di circa 10 kmq  e recupera oltre 20.000 mq di spazi coperti distribuiti su quindici antiche cartiere che costituiscono un importante patrimonio storico in stato di abbandono e degrado. Il progetto fa rivivere il sistema di captazione delle acque del torrente Canneto - di origine araba - per riutilizzare la potenza idrica, come già avveniva in passato; sin dal XIII secolo, infatti, più di 2 km di canali fornivano l’acqua che serviva ad attivare il movimento delle macchine che producevano la carta di Amalfi. Le antiche cartiere saranno recuperate e rese attuali nell’utilizzo come alberghi, centri benessere, ostelli, musei, ristoranti, negozi e parcheggi, attraverso l’architettura e i materiali contemporanei. A sostegno del messaggio di auto-sostenibilità energetica della Valle,  il sistema di produzione di energia idroelettrica (integrata con sistemi di fotovoltaico, solare, geotermico e idrogeno) è realizzato con una serie di microturbine che sfruttano i salti di quota principali e rendono energeticamente autosufficiente il complesso degli edifici e degli spazi pubblici.
E’ un progetto destinato ad essere attuato?
Sono in atto le procedure per realizzarlo. Si è costituito un comitato promotore composto dalla provincia di Salerno, dai comuni di Scala e di Amalfi e dalla Comunità montana. Io sono fiducioso.
Come definirebbe il suo modo di fare architettura?
Io mi considero un architetto ecologista, nel senso costruttivo del termine. Credo cioè in un’architettura integrata nel paesaggio, che non abbia timore di trasformare gli edifici storici, di “manipolare” la realtà, ma rispettandola, arricchendola, ponendo le costruzioni al servizio della collettività. La sostenibilità è il tema del futuro; di oggi, di domani e di dopodomani. Penso ad esempio al tema del recupero dei manufatti dell’archeologia industriale, presenti in tutte le città, anche a Salerno. Oppure al tema delle periferie degradate. O, ancora, al tema della riqualificazione dei paesaggi distrutti o abbandonati del Mezzogiorno, a causa dell’abusivismo o dell’industria che sta scomparendo. Prima di consumare nuove porzioni di territorio, occorre recuperare e riqualificare l’esistente.
Negli ultimi anni l’architettura vive in Italia un periodo d’oro di fermenti, di idee, di dinamismo.
C’è una nuova generazione di architetti che è meno ingessata del passato e più aperta al mondo. Per cinquant’anni in Italia l’architettura ha ignorato le categorie del bello e dell’utile. A partire dagli inizi degli anni Novanta, anche grazie alla stagione dei sindaci eletti direttamente dal popolo, e quindi depositari di un potere politico più forte, finalmente molte città hanno avviato un percorso di riscatto dalle brutture architettoniche del dopoguerra. Parlo non solo di Roma e di Milano, ma anche di città del nostro Meridione, come Cosenza, Reggio Calabria, in parte Bari, adesso anche Palermo, e ovviamente Salerno.
Che differenza c’è tra la Salerno della sua fanciullezza e quella di oggi?
Non riesco a vedere grosse differenze. La vivibilità della città è più o meno la stessa di allora. Si sono solo spostati i luoghi della socializzazione, passando dal lungomare al corso e al centro storico.
Nessuna differenza neppure dal punto di vista urbanistico?
Beh, dal punto di vista urbanistico una parte del territorio effettivamente è cambiata in modo radicale. Mi riferisco alla zona dell’espansione verso est, della tangenziale e oltre, che si è sviluppata in maniera disordinata sul finire degli anni Settanta e dopo il terremoto. Ma parlo anche della zona del nuovo stadio. Per me quella è la Salerno difficile, la Salerno più problematica ma anche più interessante a livello di sviluppo urbanistico.
Ha qualche idea al riguardo?
Sì. Penso che quell’area dovrebbe essere completata con un sistema fieristico. Questo progetto è stato purtroppo accantonato, spero che sia ripreso presto. 
Quali altre zone di Salerno avrebbero bisogno di una risistemazione urbanistica?
La parte alta del centro storico. Nel ’98 fu bandito un concorso internazionale denominato “edifici-mondo”, che fu uno dei primi a svolgersi a Salerno e fu vinto da una bravissima architetta giapponese, che propose un progetto di grande fascino, di recupero intelligente degli edifici e degli spazi pubblici. Peccato che finora non abbia avuto seguito. 
Come s’immagina la Salerno del futuro?
Molto dipenderà dalle grandi opere in costruzione. Penso in particolare alla Stazione Marittima, che costituirà la porta del mare della città, proiettandola anche verso la Costiera amalfitana. Anche il nuovo Palazzo di Giustizia è destinato a cambiare profondamente e a riqualificare un quartiere “brutto” come quello di via Luigi Quercio e del Lungoirno.
C’è poi la zona della costa del Sele, da Pontecagnano a Battipaglia.
Lì è necessario un ripensamento globale del programma di sviluppo. Io credo che quella zona non abbia una vocazione turistica paragonabile a quella del Cilento o della Costiera amalfitana, e quindi bisognerebbe puntare su altro. Per esempio sulla delocalizzazione del porto commerciale di Salerno, che nell’area del Sele potrebbe godere di maggiori spazi e di collegamenti efficaci con il sistema ferroviario e autostradale, diventando più competitivo rispetto agli altri porti del Tirreno e contribuendo fortemente al rilancio dell’economia salernitana. La delocalizzazione consentirebbe anche di recuperare la zona del porto di Salerno, riqualificandolo come porto turistico.  
Sembra quasi che ci stia lavorando…
E’ vero. Stiamo pensando di partecipare alla Biennale di Architettura del settembre 2006 a Venezia con un progetto di idee per il nuovo porto commerciale di Salerno. E’ una provocazione, mi rendo conto, ma noi architetti siamo abituato a costruire sogni che possono diventare realtà...
 
 (La Città di Salerno, 14 maggio 2006)
 
Carta d’identità
 
L’architetto Luigi Centola è nato a Salerno il 15 novembre 1968.
Titoli di studio: Laurea in Architettura all’Università di Napoli; Graduate Design Diploma dell’Architectural Association di Londra; Fulbright in architettura e arti visive
Hobby: il mare, la pesca, il golf, i viaggi.
L’ultimo libro: “Dalla culla alla culla”, di William McDonough, un designer di fama internazionale e un sostenitore di quella che lui e i suoi collaboratori chiamano la "nuova rivoluzione ecologica".
I film: tutte le pellicole di fantascienza o che parlano del futuro. 
Pubblicazioni: tra i vari saggi di Centola, segnaliamo: “Salerno, guida alla città del futuro”, sul nuovo PRG di Oriol Bohigas e la trasformazione della città attraverso i concorsi.
Ultimo progetto: la realizzazione di uno show room italiano di 800 mq in Estonia, a Tallin, con slow food, punti di accoglienza, negozi, ristorazione. 

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