Michele Santoro: "Quel comizio del Pci con Gatto a Salerno..."

di Mario Avagliano
 
Al centralino della Rai, se si chiede di Michele Santoro, rispondono "non è più qui…". "Già, forse preferiscono immaginare che sia morto e sepolto", sibila il giornalista salernitano, 51 anni, autore e conduttore di Samarcanda, Il Rosso e il Nero, Temporeale e Sciuscià. "Ma il mio imitatore fa il picco degli ascolti nello show di Morandi. Un fantasma si aggira per la Rai", sorride amareggiato. Poi parte l’intervista, sospesa a metà tra la memoria ("mi sta facendo raccontare tutta la mia vita") e l’attualità ("Berlusconi è il Grande Censore: pensa di essere un re ma è un poveraccio pieno di miliardi").
 
Nel ’68 lei aveva 17 anni. E’ l’anno della contestazione studentesca, ma – a Salerno – è anche l’anno in cui muore Monsignor Demetrio Moscato, il "padre-padrone" della Chiesa cattolica salernitana. Cosa ricorda di quel periodo?
Avevo diciassette anni ma sono stato in prima fila nella contestazione che, a Salerno, ha avuto come protagonisti gli studenti medi. Con Ernesto Scelza e pochi altri fondammo un movimento anarchico, il "22 marzo", dal quale sono partiti gli scioperi per il diritto d’assemblea. L’anno prima, il 1967, ero stato cacciato dal liceo Tasso ed era stato censurato un giornale scolastico al quale avevo dato vita. Al De Sanctis, dove fui costretto a trasferirmi, c’era il nucleo più numeroso del "22 marzo". Fu la prima scuola ad essere occupata ed io divenni popolare in città quasi più di quanto lo sia oggi grazie alla tv.
Nel ‘68 Lello Schiavone fonda la galleria "Il Catologo", che diventa un cenacolo culturale di livello nazionale, con grossi personaggi come Alfonso Gatto, Maccari, Guttuso, Prisco, Pratolini.
Lello Schiavone e il Catologo li ho incontrati molto più tardi. Alfonso Gatto l’ho conosciuto dopo un comizio che tenne per il PCI alle elezioni del 1972. Conservai a lungo una cassetta radiofonica di quella incredibile serata durante la quale parlò anche Edoardo Sanguineti, uno dei miei maestri all’università. Alla fine di uno dei tre esami che ho sostenuto con lui, Sanguineti mi disse: "Hai buone capacità. Diventa ricercatore; ma devi lasciare tutto quello che fai per dedicarti allo studio". Risposi: "Non posso. La politica è più importante".
Nel 1970 Lino Jannuzzi diceva "andate a Mariconda, quello è il vostro Vietnam "…
Lino Jannuzzi ha dato molte indicazioni nella sua vita. Quasi sempre sbagliate. Comunque per noi giovani di allora quelli come lui non costituivano un punto di riferimento. A Mariconda ci andavamo di nostra iniziativa per organizzare l’occupazione di case popolari e all’alba eravamo all’entrata delle fabbriche di San Leonardo per diffondere i nostri volantini. Più di Jannuzzi eravamo interessati ad un capopolo sottoproletario, Matteo Ragosta. Era un simpatico "mascalzone", straordinariamente intelligente e gran conquistatore di belle popolane.
Era anche un periodo di scontri fisici tra neo-fascisti e gruppi extraparlamentari di sinistra.
Non partecipavo volentieri agli scontri e non mi piaceva un certo giocare alla guerra che era tipico di alcuni gruppi extraparlamentari. I fascisti erano intervenuti violentemente contro i nostri primi cortei (agendo in sincronia con la polizia) perché consideravano i giovani un loro terreno esclusivo di conquista. Il movimento studentesco alle origini non aveva le cupezze dei gruppi estremisti. Era allegro, proteso al dialogo; e tanti ragazzi furono conquistati alla sinistra con delle discussioni incredibili che oscillavano da Che Guevara alla Beat Generation. I fascisti divennero sempre più marginali e si dedicarono a provocazioni episodiche.
Un’immagine o un momento che per lei rappresenta quegli anni…
Separo nettamente gli anni tra il sessantotto e il settantadue in due periodi. Il movimento studentesco degli inizi, che rappresentò a Salerno anche l’affermazione del diritto dei giovani alla felicità, alla libertà sessuale, ad esprimere un proprio punto di vista in politica; e gli anni dei gruppi, in cui invece prevalse il dibattito su chi possedesse la linea giusta che portò alcuni alla deriva terroristica.
E lei?
Io scelsi il PCI, confessando di non capirci più niente di quello che stava succedendo ed essendo convinto che non si poteva lasciare la città in mano al MSI di Almirante. Fui uno dei primi a livello nazionale, che essendo stato un leader, faceva quella scelta. Ma il PCI commise un grave errore…
Quale errore?
Il PCI si trovò ad avere tra le sue fila a Salerno un gruppo di giovani di straordinaria qualità ma li disperse praticamente tutti. Erano gli effetti di quello che allora si chiamava centralismo democratico e che finiva per selezionare i signorsì. Adesso gli eredi del PCI hanno rinunciato al centralismo democratico ma non hanno certamente rinunciato a circondarsi di signorsì. Cosi oggi nel centrosinistra a volte sembra di assistere a quella guerra tra bande dalla quale sono fuggito negli anni settanta.
Chi frequentava in quel tempo a Salerno?
Con Filiberto Menna e tanti altri, Ugo Di Pace per esempio e il giovane Franco Simonetti, decidemmo di far vivere la società civile e creammo il club di Salerno, una sorta di girotondo intellettuale che si proponeva di produrre cultura e sollecitare la società politica. Gestimmo per un anno l’Apollo con grande successo di pubblico. Per esempio organizzammo la più importante serie di conferenze psicoanalitiche mai fatta in Italia con la partecipazione di migliaia di persone.
Come finì?
I Pastore, che erano proprietari dell’Apollo, si rifiutarono di farcelo gestire e anzi approfittarono del rilancio per fare i loro interessi. Così fecero anche contenti i politici, che avevano cominciato a spaventarsi, e presero due piccioni con una fava.
Negli anni Settanta inizia la sua attività giornalistica al Mattino e poi alla Voce della Campania, di cui diventa direttore. Ci parla di quegli inizi?
Fui costretto a dedicarmi completamente al giornalismo. Diventando direttore della Voce avevo abbandonato completamente l’attività politica e mi ero impegnato nel salvataggio del giornale con risultati straordinari. In pratica un rotocalco assistito nato per iniziativa del PCI riusciva a vivere con le sue forze. Avevo messo da parte i vecchi babbioni intellettuali della redazione e promosso sul campo giovanissimi come D’Avanzo, Renato Caprile, Sergio Luciano che oggi sono tra i più grandi giornalisti italiani. Avevo anche realizzato un piano per rendere la Voce un’impresa completamente indipendente.
E invece qualcosa non funzionò…
Eh, sì. Il partito intervenne per strozzare il bambino nella culla, bocciando la mia ristrutturazione. Mi dimisi con la morte nel cuore; come chi deve separarsi da un figlio. Era invece l’inizio di una grande carriera.
Il 23 novembre del 1980 la terra trema in Campania. Lei segue quel terremoto come giornalista. A distanza di oltre vent’anni, che bilancio si può tracciare della ricostruzione?
Ciò che considero veramente grave è che le popolazioni non sono state mai veramente rese responsabili degli interventi e della gestione delle risorse. I soldi del terremoto sono serviti a riscrivere la mappa del potere e ad espropriare i cittadini del diritto a decidere il futuro. Il mio sogno sarebbe stato lanciare una sfida a Bossi. Dimostrare che il Sud era capace di creare impresa, di farsi impresa cominciando dall’informazione e dalla cultura. Ma, si sa, nemo profeta in patria.
Come avviene il passaggio a Roma e nel 1982 l’assunzione alla Rai?
Quando si resta disoccupati si fanno un sacco di cose. Lavoravo per il Mattino e realizzavo sceneggiati radiofonici per la Rai collaborando con uno straordinario personaggio, Enrico Zummo. Nel frattempo ero parcheggiato a l’Unità che non mi faceva scrivere. Nel consiglio d’amministrazione della Rai c’era il filosofo Beppe Vacca che mi ha proposto di andare a Roma e io ho accettato. L’Unità si è liberata di me ed io di loro. E ho fatto bene visto che la redazione napoletana ha chiuso.
Quanto deve a Sandro Curzi e come ricorda i tempi di TeleKabul?
Con Sandro Curzi non c’è stato un rapporto facile come tutti pensano. Lui è stato straordinario a raccogliere nel Tg3 il meglio del giornalismo giovane della Rai di allora. Ma Samarcanda era già allora una repubblica a parte che il direttore esaltava o mandava a quel paese a seconda delle circostanze.
Colori, profumi, il mare. Quale ricordo si porta dietro Michele Santoro di Salerno?
Dove adesso c’è piazza della Concordia c’era un molo spezzato. Lo chiamavamo ‘il pennello’. Con il mare agitato le onde gli si infrangevano contro. Noi bambini andavamo verso la punta e poi scappavamo per evitare gli spruzzi.
Segue le sorti della Salernitana? Nonostante Zeman, quest’anno stenta…
Sì, certo. La Salernitana è un amore che non si dimentica e Zeman mi è sempre piaciuto. Spero davvero che i "granata" tornino a vincere.
Lei è uno dei personaggi più amati della tv pubblica. Tanti telespettatori, non solo di Salerno ovviamente, attendono il suo ritorno in video. Sappiamo che riceve centinaia di telefonate, di lettere e di mail. Che cosa le dicono, che cosa le scrivono?
Vivono la nostra assenza come una ferita e come la dimostrazione della meschinità e della mediocrità di chi ci governa. Berlusconi pensa di essere un re ma è un poveraccio pieno di miliardi.
Come ha vissuto il provvedimento disciplinare di sospensione da parte della Rai?
Hanno aspettato sei mesi minacciando un licenziamento che non hanno avuto il coraggio di fare. Poi la montagna ha partorito il topo di fogna della sospensione.
Ma lei si sente "colpevole" di qualcosa?
Sono colpevole di aver lavorato onestamente, di aver detto la verità.
La sua verità, potrebbero dirle.
Quella che mi appare come la verità. Mi riferisco a quello che hanno scritto sul caso italiano prestigiosi giornali stranieri come l’Economist, al conflitto d’interessi, alla vicenda di Dell’Utri, a ciò che ci viene addebitato come lavoro "criminoso".
Maurizio Costanzo, come aveva promesso, ha cantato "Contessa" per invocare il suo ritorno in video, il presidente della Rai Baldassarre ha detto che "per quanto riguarda il Cda i casi Biagi e Santoro sono chiusi", il direttore di Raitre Paolo Ruffini la vorrebbe sulla sua rete. Però nel palinsesto Rai "Sciuscià" non c’è. Ci sono novità al riguardo?
Costanzo ha quasi cantato. Diciamo che è stato un canto fioco. Berlusconi ha deciso che dobbiamo tacere. Il resto è una conseguenza.
Il Direttore generale della Rai Saccà sostiene che non è vero che lei non sta lavorando. Avrebbe realizzato il programma "Donne" e avrebbe in progetto un documentario sul bandito Giuliano. Tutto vero?
Donne è già finito e Giuliano, che è un progetto approvato dalla Rai precedente, non comincerà mai.
Il presidente Baldassarre le rimprovera le continue interviste in cui dipinge il nuovo vertice come composto da "censori".
Ripeto, il Censore è il Presidente del Consiglio. Comunque perché il programma leader di Raidue è stato cancellato?
Quali condizioni pone per tornare in video alla Rai e, viceversa, a che cosa è disposto a rinunciare?
Non rinuncio alla mia indipendenza e alla mia dignità.
Che similitudini ci sono con la vicenda di Biagi?
La nostra e quella di Biagi sono due facce della stessa medaglia coniata in Bulgaria.
Le opposizioni parlano di crollo di ascolti della Rai rispetto a Mediaset. Come giudica la tv pubblica in questo momento?
Siamo precipitati in una situazione di monopolio. Oggi la crisi della Rai è più evidente ma ben presto si evidenzierà anche una crisi di Mediaset. Senza concorrenza la televisione italiana rischia di ammalarsi gravemente, di fare la fine della Fiat. Fra cinque anni il nostro paese potrebbe non avere più un’industria televisiva, come non ha più un’industria chimica o dell’acciaio.
E come giudica la nuova Raitre di Paolo Ruffini?
Di nuovo Raitre ha ancora espresso poco. E’ una rete forte della nostalgia di un pubblico per la vecchia Rai. Ma non ha la capacità innovativa di Telekabul, il coraggio e lo spirito di avventura di quella straordinaria esperienza.
Come racconterebbe la situazione politica ed economica italiana di questi mesi? Quali temi le piacerebbe approfondire?
La Fiat e la guerra prima di tutto. Credo che nella nostra chiusura ci sia anche la volontà di mettere a tacere quei movimenti, come i No Global o i pacifisti, che solo nella nostra trasmissione parlano da veri protagonisti. Comunque Berlusconi ha sempre promesso di dare tutto a tutti. Questa è la prima volta che toglie qualcosa in maniera così vistosa. La leggo come una manifestazione di paura e di debolezza.
Se alla fine restasse fuori dalla Rai, che cosa farebbe?
Non lo so. Ma non mi arrenderei e continuerei a battermi. Scrivendo sui muri di Arcore se non mi lasciano altra scelta.
 
(La Città di Salerno, 10 novembre 2002)

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